
Lo psicodramma della Brexit
La regina chiuderà il Parlamento, su richiesta di Boris Johnson, impedendo ai parlamentari di fermare un'uscita dall'Ue non concordata. La sinistra può raccontare una storia più grande della semplice alternativa tra Leave e Remain
È da quando Boris Johnson si è insediato a Downing Street che girano voci sul progetto dei conservatori di adottare la misura che permette di sospendere i lavori del parlamento britannico, chiudendolo di fatto per più di un mese, per evitare che i parlamentari impediscano un’eventuale forzatura di Johnson verso una Brexit non concordata. I rumors hanno preso consistenza quando una banda di varie persone tra cui Jacob Rees-Mogg è andata a trovare la regina in uno dei suoi numerosi castelli, a Balmoral, per chiederle di procedere con lo stop.
Immediatamente dopo l’annuncio, sulla politica britannica si è scatenato il caos. Addirittura un gruppo anti-Brexit chiamato “Best for Britain” ha rilasciato una dichiarazione molto strana che ricordava alla regina d’Inghilterra la storia del regicidio: «Non ha senso che la Regina sostenga questa manovra profondamente antidemocratica, incostituzionale e interessata da parte del governo. Quando le è stato chiesto aiuto avrebbe fatto bene a ricordare che la storia non guarda con benevolenza ai reali che contribuiscono alla sospensione della democrazia». Non c’è dubbio che il Regno Unito abbia perso la testa già dal 2016, subito dopo il referendum, ma fino a ieri non si era ancora arrivati al punto di sentire dei centristi che minacciano di tagliarla alla monarca, la testa.
Perché i conservatori stanno facendo tutto questo? Nei giorni scorsi i partiti dell’opposizione avevano parlato di possibili soluzioni comuni da adottare per sfuggire al rischio sempre più concreto di una Brexit non concordata. E la prospettiva di formare una coalizione anti-Brexit si era fatta credibile dopo che i liberaldemocratici e i cosiddetti hardcore Remainers avevano capito che il loro continuo accusare Jeremy Corbyn di essere un Brexiter non aveva alcuna presa sul pubblico e conveniva cambiare strategia. Adesso, la sospensione del parlamento blocca ogni tentativo dell’opposizione di impedire che la Gran Bretagna si catapulti fuori dall’Europa senza nessun accordo, con tutto l’incubo logistico che ne deriva.
Ai sensi della legge sui lavori parlamentari, chiamata Fixed Term Parliament Act e adottata dal governo di coalizione tra conservatori e liberaldemocratici nel 2011, solo il governo può sciogliere il parlamento per andare a elezioni, ma la sospensione rimane una prerogativa reale. Ora, nonostante la loro pretesa di essere l’unico partito a combattere davvero contro la Brexit (posizione che ogni altro partito di opposizione considererebbe una sciocchezza), i LibDem dovrebbero ammettere di aver avuto un ruolo determinante nel provocare questa situazione. Infatti hanno accettato nel 2010 di far passare questa legge in cambio di un pizzico di potere, per entrare in coalizione con i tories.
Negli ultimi giorni i conservatori hanno attinto pesantemente al manuale della campagna per il Leave orchestrata dal miliardario Aaron Banks e dall’attuale capo del nuovo Brexit Party Richard Tice. I tories stanno chiaramente cercando di trattenere i voti che hanno preso ai rivali del Brexit Party scimmiottando le loro stesse tattiche, e si preparano a ripetere lo show alle prossime, e probabilmente incombenti, elezioni politiche.
Per la sinistra, questo significa anche che le elezioni si giocheranno esclusivamente attorno al tema Brexit, con gli elettori del Leave che verranno istruiti sul “tradimento” della “casta” dei politici di Westminster, indifferenti ai desideri della piccola maggioranza che ha votato per uscire dall’Unione europea. Questa è la grande scommessa dei conservatori. I laburisti, nel frattempo, dovranno accrescere i loro punti di forza: produrre un manifesto che non si soffermi troppo sulla Brexit e sul passato, ma proponga invece la visione di un futuro diverso, di un’economia diversa, di una vita diversa per gli elettori, i loro figli, le loro comunità.
Attualmente le voci più forti continuano a essere quelle degli elettori marginali ossessionati dalla Brexit, che dividono l’intero paese sulla linea dell’opposizione tra il Leave e il Remain e considerano questo psicodramma una guerra culturale. La maggior parte dei britannici, invece, non sono così estremi come vorrebbe la visione della Brexit che hanno mass media e classe politica. Sono, piuttosto, sinceramente preoccupati delle loro vite, dei luoghi che abitano e del futuro del paese. I conservatori condurranno una campagna straordinariamente negativa, incentrata esclusivamente sulla Brexit; i laburisti e la sinistra possono raccontare una storia più grande e catturare elettori da entrambi i lati del guado.
*Dawn Foster, staff writer di Jacobin, è anche editorialista per il Guardian, ha scritto Lean Out. Questo articolo è uscito su Jacobinmag.com. La traduzione è di Riccardo Antoniucci.
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