Lo stress è un problema sociale
Le aziende enfatizzano soluzioni personalizzate alle nostre ansie, tanto che Fisher parlava di «privatizzazione dello stress». Ma una società mentalmente esausta deve risolvere i suoi problemi collettivamente, non solo individualmente
Continuavo a ricevere queste fatture. Ce n’era una dell’ospedale e una della Labcorp, ed entrambe sostenevano che dovevo pagare 700 dollari per un controllo di routine e un test diagnostico. Avevo appena iniziato un nuovo lavoro, il primo dopo essermi diplomata, e non avevo ancora ricevuto il mio primo stipendio. Ero esausta nel vedere i miei nuovi pazienti in terapia, incontrare i miei nuovi colleghi e imparare a svolgere i miei nuovi compiti. Inutile dire che i bollettini a sorpresa non sono arrivati in un grande momento.
Sapevo che la mia assicurazione copriva sia il controllo che il test. Così ho fatto quello che dovevo fare: ho chiamato l’ospedale per cercare di andare a fondo della faccenda. Dopo l’attesa, sono riuscita a passare, ma mi è stato detto che il problema aveva a che fare con il pagatore, non il fornitore. Così ho chiamato la mia compagnia di assicurazioni. Ma mi hanno detto il contrario: dovevo chiamare il fornitore. Così ho richiamato l’ospedale. Ma mi hanno detto di nuovo che il problema era la mia compagnia di assicurazioni. E così via. Ci sono state lunghe attese. Sono stata rimbalzata in diversi reparti.
Sfortunatamente, tutti questi uffici avevano orari che erano quasi identici a quelli del mio lavoro. Quindi infilavo le telefonate prima e dopo il lavoro, spesso mentre evitavo il traffico dell’ora di punta in autostrada. Oppure chiamavo durante la pausa pranzo o quando uno dei miei pazienti annullava la terapia. Tutto ciò si è trascinato per giorni, che si sono trasformati in settimane. Nel frattempo continuavano ad arrivare le bollette, ora timbrate di rosso con gli avvisi «Scaduta». Il mio cervello macinava ipotesi. Mi avrebbero affidato a un’agenzia di riscossione? Queste fatture avrebbero danneggiato il mio credito? Non è stata colpa mia se l’ospedale ha commesso un errore e non sono riuscita a porvi rimedio. Forse dovevo semplicemente pagare e farla finita.
È stato in quel periodo che ho iniziato a smarrire le chiavi, cosa che non è da me. Andavo al lavoro senza telefono e dovevo tornare a casa per prenderlo. Parcheggiavo sulla strada sbagliata al momento sbagliato prendendo multe da 32 dollari, anche se lo sapevo. A un certo punto, ho perso la mia tessera sanitaria e ho dovuto ordinarne un’altra, impresa non facile con le continue trattenute e i trasferimenti di reparto. Complessivamente, la mia vita stava diventando sempre più stressante, una spirale discendente. Alla fine, dopo settimane, ho risolto il problema. Poco dopo, ho iniziato a sentirmi di più me stessa. In altre parole, ho smesso di perdere le chiavi.
Sto raccontando questa storia non per discutere la politica sanitaria degli Stati uniti (sebbene sia terribile), né per spiegare la trappola della povertà (un problema di liquidità temporanea non è la stessa cosa della povertà) o i problemi con la riscossione regressiva delle entrate municipali basata su multe e tasse. Sto raccontando questo aneddoto personale per spiegare, concretamente, il modo in cui lo stress danneggia la funzione cognitiva a breve termine.
Secondo l’American Psychological Association, la funzione cognitiva è «l’esecuzione dei processi mentali di percezione, apprendimento, memoria, comprensione, consapevolezza, ragionamento, giudizio, intuizione e linguaggio». «Lo stress psicologico può influenzare la funzione cognitiva a breve termine (ad esempio: quando i pensieri di un individuo sono occupati da una discussione avvenuta all’inizio della giornata con conseguente ridotta capacità di prestare attenzione, tenere traccia o ricordare i passaggi del compito a mano) – secondo un articolo del 2015 comparso sulla rivista BMC Psychiatry. A breve termine, fattori di stress quotidiani minori possono produrre effetti transitori sulla cognizione riducendo la quantità di risorse d’attenzione disponibili per l’elaborazione delle informazioni».
Ma una vita di stress accumulato può anche avere effetti dannosi a lungo termine, in particolare quando si tratta di invecchiamento. «Coloro che soffrono di stress cronico mostrano un declino cognitivo accelerato rispetto ai loro coetanei meno stressati», afferma l’articolo.
Quello studio e anche altri hanno persino suggerito un legame tra l’aumento dello stress e il morbo di Alzheimer. «Il controllo dello stress può ridurre i problemi di salute legati allo stress, che includono problemi cognitivi e un rischio più elevato di Alzheimer e demenza», afferma un articolo del blog Harvard Health. L’articolo suggerisce di «proteggere il cervello» da questi problemi riducendo lo stress: dormire bene la notte, fare una lista di cose da fare e chiedere aiuto e supporto. Sono tutte ottime idee, quelle che metto in pratica nella mia vita e che suggerisco ai miei pazienti che si sentono sopraffatti dai fastidi quotidiani.
Ma queste soluzioni per la gestione dello stress sembreranno sempre come nuotare controcorrente in una società impegnata – nelle parole di Mark Fisher – nella «grande privatizzazione dello stress». Perché, esattamente, la gestione dello stress causato da servizi pubblici resi caotici dall’austerità, condizioni di lavoro oppressive e razzismo, sessismo e altri bigotti spetta all’individuo?
Spiego la privatizzazione dello stress ai pazienti dopo aver parlato di sonno, liste di cose da fare e chiedere aiuto. Dico loro di non abbattersi, soprattutto perché il problema è sistemico. Ma anche questo è insufficiente. In terapia, lavoriamo per identificare soluzioni reali ai problemi dei pazienti. Quindi parliamo di come le cose potrebbero essere diverse.
E se la gestione dello stress avesse davvero col far funzionare la società in modo meno stressante per tutti? Potremmo ridurre l’onere a carico dei singoli assumendo più persone e rendendo i servizi di facile fruizione (questo vale sia per i servizi pubblici che per quelli privati). Il governo potrebbe finanziare il trasporto efficiente. Potrebbe imporre salari più alti, più sicurezza sul lavoro e più permessi retribuiti, in modo che le persone possano prendersi cura di sé stesse e rilassarsi.
La riduzione dello stress dovrebbe essere trattata come un serio problema di salute pubblica. È anche una questione di equità. Come per qualsiasi malattia sociale, le persone più povere sono le più esposte e hanno i peggiori risultati. Se vogliamo davvero ridurre lo stress, l’unica soluzione è un sistema costruito per servire le persone, non il contrario.
*Colette Shade è una scrittrice e psicoterapista, vive a Baltimora. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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