L’occupazione è insicurezza per tutti
La relatrice speciale Onu sui territori palestinesi scrive su Jacobin che gli eventi in Palestina di questi giorni dimostrano che lo status quo sta massacrando chi vive nei territori occupati e al tempo stesso non serve a proteggere i civili israeliani
Gli eventi in Israele e Palestina sono sconvolgenti.
Sulla raffica di razzi che prende di mira indiscriminatamente i civili, gli orribili omicidi di massa e i rapimenti di donne e uomini innocenti, compresi anziani e bambini, il diritto internazionale è inequivocabile: questi sono crimini. Secondo il diritto internazionale, coloro che sono soggetti a un’oppressione di lunga data hanno il diritto assoluto di opporsi alla loro sottomissione, ma hanno comunque responsabilità riguardo ai mezzi e ai metodi di azione. Uccidere civili innocenti è illegale.
Ma noi osservatori non possiamo limitarci a prendere atto di questo shock. Abbiamo il dovere, come chiedono molti palestinesi e israeliani, di analizzare la situazione e individuare percorsi per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Le organizzazioni per i diritti umani nei territori palestinesi occupati e in Israele e altri, compresa me stessa e i relatori speciali che mi hanno preceduto, sottolineano questo rischio ormai da decenni, insistendo affinché le cause profonde vengano affrontate una volta per tutte. Lo status quo brutale e illegale ha rappresentato la ricetta per una maggiore insicurezza per tutti.
Per quasi sessant’anni, Israele ha tenuto milioni di palestinesi sotto un’occupazione militare che li ha privati dei loro diritti più elementari, confiscando terre, demolendo migliaia di case e scuole, sfollando con la forza centinaia di migliaia di persone, uccidendo e arrestando bambini e adulti. Ha creato insediamenti illegali e annesso terre nel territorio occupato, crimini eclatanti secondo il diritto internazionale. Ha inflitto umiliazioni quotidiane ai palestinesi in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, dove il divario tra i privilegi dell’occupante e la sottomissione degli occupati è sorprendente.
Gaza è probabilmente l’esempio più eclatante di occupazione, poiché Israele ha tenuto prigioniera la sua popolazione in un blocco aereo-navale e terrestre per sedici anni, con offensive militari regolari su larga scala che, anche prima dell’attuale offensiva, avevano provocato la morte di oltre 4.200 persone, tra cui 1.124 bambini e centinaia di migliaia di senzatetto.
Bisogna essere assolutamente chiari: niente di tutto ciò giustifica gli attacchi indiscriminati di Hamas contro i civili israeliani (né dovremmo dare per scontato che Hamas sia il rappresentante del popolo palestinese che resiste all’occupazione, interi settori del quale sono impegnati nella lotta nonviolenta). Ma fornisce il contesto per comprendere la disperazione di un’intera popolazione, soprattutto a Gaza, dove la metà dei residenti ha meno di diciotto anni: figli di blocco e guerra, abusi, depredazione e violenza permanenti.
Il discorso politico dominante che si è creato dopo la tragedia del 7 ottobre è estremamente preoccupante. Relativismo etico, indignazione selettiva, considerare solo la propria popolazione civile come meritevole di protezione e sicurezza: ciò è parte del problema, un enorme, ineludibile, scandaloso problema di disuguaglianza che, se non affrontato, condanna Israele e Palestina a ripetere lo stesso ciclo sanguinoso.
Ogni uno o due anni esplode la violenza e i bombardamenti su larga scala uccidono sistematicamente i civili. Troppe vite innocenti sono già andate perdute. È proprio lo status quo illegale e insostenibile che ha portato a questo sanguinoso fallimento.
Lo status quo non sta solo brutalizzando i palestinesi oltre ogni immaginazione costringendoli a sopravvivere per generazioni in una disperazione intollerabile; mette sempre più a repentaglio la protezione dei civili israeliani e non riesce a proteggerli, nonostante le promesse contrarie. Molti individui e gruppi in Israele insistono sul fatto che sottomettere i palestinesi è necessario per la loro sicurezza. Ciò è giuridicamente e moralmente inaccettabile. È anche sbagliato e miope. Mantenere i palestinesi sotto occupazione e dare per scontato che la situazione possa essere risolta militarmente si è rivelato ancora una volta falso.
La sicurezza per tutti è raggiungibile solo realizzando la parità di diritti, ponendo fine all’occupazione e rimuovendo la discriminazione istituzionalizzata. Dare per scontato che solo un popolo meriti dignità, sicurezza e libertà non è solo razzista; è politicamente e strategicamente imprudente e garanzia di ulteriori tragedie.
Come hanno inequivocabilmente affermato molti capi di stato in relazione ad altri territori occupati, la pace può essere raggiunta solo ripristinando la legalità internazionale. Lo stesso vale in questo caso. E non è mai stato tanto urgente.
*Francesca Albanese è ricercatrice affiliata presso l’Istituto per lo studio delle migrazioni internazionali della Georgetown University e relatrice speciale delle Nazioni unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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