
L’ultimo attacco Usa è la sintesi di questa guerra
Assetata di sangue dopo l’attentato dell’Isis, l’amministrazione Biden ha massacrato dieci afgani che volevano trasferirsi negli Stati uniti. Una storia tragica che rappresenta l’andamento della guerra in Afghanistan
La posizione dei media e dell’opinione pubblica in merito al ritiro statunitense dall’Afghanistan può grossomodo essere divisa in due campi.
Da un lato c’è chi crede che gli Stati uniti avrebbero dovuto rimanere in Afghanistan – e che quindi dovrebbero tornare subito a operare all’interno di quel paese – per proteggere i diritti umani degli afgani e combattere i terroristi. Questa è stata più o meno la posizione sostenuta nelle ultime settimane dalla stampa istituzionale e dagli esperti di sicurezza interna, come l’ex consigliere di Trump H. R. McMaster che, tra altre cose, ha mentito spudoratamente agli spettatori dei notiziari sostenendo che i militanti locali dell’Isis responsabili dell’attentato di Kabul della settimana scorsa non fossero altro che delle «controfigure dei talebani, intenzionate a umiliarci nel corso delle operazioni di ritiro».
Dall’altro lato, soprattutto tra i media indipendenti e di sinistra e tra gli esponenti politici contrari alla guerra, ci sono voci che sostengono che la più grande minaccia per i diritti umani degli afgani sia stata la presenza dei militari stranieri e che la fine dell’impegno statunitense in quel paese sia la notizia migliore in un oceano di scelte sbagliate. Continuare la guerra, secondo questa prospettiva, significherebbe solo sacrificare denaro e vite americane a tutto vantaggio di speculatori privi di scrupoli, aumentando la lista delle atrocità patite dagli afgani, che li ha resi così pieni di risentimento da considerare l’ipotesi di dare una seconda possibilità ai talebani.
L’attentato all’aeroporto di Kabul della settimana scorsa, rivendicato da Isis-Khorasan (Isis-K), che ha causato la morte di 170 afgani e di tredici soldati statunitensi, è stato prevedibilmente utilizzato dalla fazione favorevole alla guerra come una buona ragione per mantenere le truppe nel paese. Qualcuno ha scritto: «Le vittime di oggi mettono in dubbio uno dei principi usati da Biden per giustificare il ritiro delle truppe, ossia che anche senza la presenza militare in Afghanistan gli Stati uniti possano ancora prevenire gli attentati terroristici». Secondo un altro commentatore, «la tentazione sarebbe quella di accelerare il ritiro degli americani e dei nostri alleati. Ma sarebbe un errore […] più di prima, dobbiamo essere pronti a mantenere le truppe in quel paese ben oltre la decisione arbitraria del 31 agosto fissata dal Presidente Biden».
Eppure, come hanno dimostrato ben presto gli eventi, questa era proprio la lezione sbagliata che bisognava trarre dalla situazione terribile in corso in Afghanistan. Dopo aver promesso ai miliziani di Isis-K di «dargli la caccia e fargliela pagare», Biden – intenzionato a salvare la faccia e a ostentare «durezza» mentre la sua posizione e le modalità del disimpegno americano sono messe fortemente in discussione sia negli Stati uniti che all’estero – ha ordinato venerdì scorso un attacco aereo contro gli uomini che avevano pianificato l’attentato dell’aeroporto, assieme a un altro «attacco difensivo» contro un sospetto terrorista dell’Isis-K realizzato domenica.
Questa vicenda si è presto trasformata in una rappresentazione sintetica di questa guerra insensata durata vent’anni. Adesso sappiamo che il drone di domenica ha ucciso dieci persone appartenenti a due famiglie di Kabul. Sette di loro erano bambini, due dei quali avevano solo due anni. Quel che è ancora più tragico è che erano dipendenti del governo, ossia persone che con le loro famiglie sarebbero dovute essere trasportate in aereo fuori da Kabul. Un drone statunitense ha colpito la loro auto proprio mentre i ragazzini erano stati infilati a bordo nella speranza di trasferirsi negli Stati uniti. In altre parole l’esercito ha assassinato quegli stessi afgani che i falchi statunitensi usavano, in veste di interpreti e funzionari governativi, per far funzionare l’occupazione militare.
I vicini hanno dichiarato ad Al Jazeera che l’esplosione ha trasformato la loro abitazione in una «scena da film dell’orrore»: le pareti erano ricoperte di sangue e di pezzi di carne umana, mentre le ossa erano sparpagliate tra i cespugli. È comprensibile che questa atrocità abbia infiammato la rabbia dei residenti e uno dei vicini ha dichiarato ai giornalisti: «Se non riuscite a colpire il bersaglio giusto, allora è meglio se lasciate l’Afghanistan agli afgani».
È proprio quello che è successo nel corso di tutta questa orribile guerra: gli Stati uniti e i loro alleati, pretendendo di difendere i diritti umani e di combattere il terrorismo, hanno lanciato attacchi sui loro obiettivi in maniera incauta e imprecisa, di solito a distanza, per evitare le conseguenze negative in termini politici della perdita di vite umane tra le truppe americane. Aldilà del fatto che questi attacchi colpissero davvero i propri obiettivi, quel che facevano era uccidere molti più civili, anche dozzine di civili alla volta, tra cui intere famiglie. Tutto questo ha portato alla crescita di sentimenti di ostilità contro gli americani, aumentando le probabilità di attentati contro statunitensi e loro alleati, mentre si stringeva la presa dei talebani che si opponevano alle forze della coalizione.
Questo è quel che ha visto di prima mano il whistleblower Daniel Hale, che aveva lavorato al programma dei droni in Afghanistan e in altri paesi e che adesso si trova in prigione per aver denunciato quanto poco chirurgici siano stati gli attacchi degli occidentali, mentre chi domenica scorsa ha ucciso dei bambini non avrà problemi: hanno fatto il proprio lavoro, secondo la logica distorta degli apparati di sicurezza nazionale.
La richiesta dei falchi di tenere le forze statunitensi in Afghanistan oltre la data fissata da Biden garantirà solo la continuità di questo circolo vizioso e costerà più vite americane producendo due conseguenze negative: rimanere ancora lascerebbe le forze statunitensi vulnerabili agli attacchi di Isis-K e di altri gruppi terroristici che sono avversari dei talebani; violare la data prefissata favorirebbe anche eventuali attacchi dei talebani, che tollererebbero una presenza statunitense solo fino al 31 agosto.
Un punto a favore dei falchi guerrafondai è il seguente: più vengono uccisi soldati statunitensi, più possono fare pressione sul governo statunitense per vendicare quelle morti e continuare a rimanere militarmente presenti nel paese, alimentando ancora il circolo vizioso che farà a pezzi la vita di molti afgani innocenti.
No, quello che è accaduto a Kabul non dimostra che le forze statunitensi devono rimanere in Afghanistan. Al contrario, è una lucida dimostrazione del fatto che la decisione di andarsene è quella giusta e che l’amministrazione Biden deve lasciare quel paese.
*Branko Marcetic è staff writer di JacobinMag. Vive a Toronto, in Canada. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è di Alberto Prunetti.
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