
Negli Stati Uniti si sciopera ancora
I numeri dimostrano che la tradizionale pratica di lotta di chi lavora è tornata di moda: negli Usa lo scorso anno 485 mila persone hanno partecipato a scioperi importanti, come non si vedeva da decenni
All’inizio del mese, il Bureau of Labor Statistic (Bls) ha diffuso il rapporto sulle azioni di sciopero nel 2018, e i numeri confermano che la guerra di classe – a lungo combattuta da un solo versante – è finalmente tornata ad essere una guerra su due fronti. Il 2017 ha visto partecipare a grandi scioperi solamente 25.000 lavoratori (un numero deprimente), ma nel 2018 il totale è salito a 485.000.
I nuovi numeri arrivano giusto due settimane dopo un altro report della Bls, che mostra come nel 2018 le adesioni ai sindacati siano ulteriormente diminuite. Dopo la sentenza Janus della Corte Suprema [che regolamenta in maniera più rigida il diritto di sciopero, ndt], questa diminuzione di iscrizioni non sorprende. Copisce invece che il declino delle iscrizioni ai sindacati ufficiali si verifichi in contemporanea al risveglio della militanza sui luoghi di lavoro.
Prima che venissero diffusi i dati relativi agli scioperi, Doug Henwood aveva passato in rassegna un po’ di numeri di iscrizioni ai sindacati, notando che sicuramente i numeri erano in calo ma che questo calo non corrispondeva esattamente al salasso che i commentatori mainstream avevano predetto sull’onda di Janus, o almeno non ancora. Anche se lavoratori e lavoratrici vivono oggi una condizione di debolezza, il loro principale strumento di lotta – lo sciopero – sta conoscendo un significativa rinascita.
Questa nuova diffusione a tutto campo è dovuta all’utilizzo di differenti strategie all’interno delle leadership sindacali, e alla crescita della militanza sui luoghi di lavoro innescata (e ultimamente rinvigorita) dalle insegnanti della West Virginia.
Mentre alcune sezioni locali si sono concentrate sul coinvolgere una persona alla volta e su una contrattazione aggressiva per mostrare il valore della rappresentanza sindacale, altri continuano a focalizzarsi su una cosiddetta “filosofia del servizio”. Il presidente uscente del sindacato Seiu Local 775 David Rolf era famoso per questo tipo di approccio: sosteneva che il sindacato avrebbe dovuto adottare «una strategia che offre vantaggi quantificabili unicamente attraverso prodotti, servizi, o interventi differenziati singolarmente, per risolvere problemi o migliorare delle situazioni».
Se i sindacati non possono garantire contratti forti e benefici reali sui posti di lavoro, il discorso di destra di «darsi un aumento da soli» lasciando il sindacato e risparmiando la quota mensile di iscrizione sembra nell’immediato più vantaggioso. Ridurre l’iscrizione al sindacato a una mera transazione economica, che a fronte di un investimento deve dare benefici immediati, mina le fondamenta di una più larga solidarietà di classe che è invece così evidente nell’ultima ondata di scioperi.
Ma per chiunque abbia una familiarità con il movimento dei lavoratori e delle lavoratrici degli ultimi cinquant’anni tutto ciò non è certo inaspettato. La parola d’ordine del business unionism che ha dominato il mercato del lavoro è stata quella della cooperazione con i capitalisti e i politici “amici”, per preservare la “pace sociale”, ed evitare le rotture costose e distruttive degli scioperi, considerando i propri membri come semplici “quote”.
Incapaci sin dagli anni Settanta di contrastare con un’offensiva a tutto campo l’attacco al lavoro organizzato, le leadership sindacali, ormai burocratizzate, hanno accettato la concertazione come norma. Anni e anni di salari stagnanti o in diminuzione hanno però spalancato le porta alla domanda: «ma allora perché pagare le quote?».
Questa situazione si rispecchia anche nel settore privato, come recentemente emerso nella sua drammaticità dalle negoziazioni sui contratti portate avanti dalla Teamster [un sindacato nordamericano, ndt] con la United Parcel Service (UPS). La gestione di Hoffa, contrario allo sciopero, ha imposto un contratto rifiutato dai suoi stessi membri, contratto che prevede una nuova forma di inquadramento lavorativo per i corrieri con condizioni peggiori rispetto a quelle già in vigore. Aggiungendo alla beffa anche il danno, il salario minimo d’ingresso per i lavoratori Ups sindacalizzati è ora di due dollari più basso di quello dei lavoratori non sindacalizzati di Amazon – una mossa calcolata dal colosso del commercio per stroncare sul nascere ogni velleità sindacale.
Il lato positivo di tutta questa storia per le lavoratrici e i lavoratori sta nel fatto che i dati impressionanti sugli scioperi non possono essere separati dalle loro caratteristiche specifiche. La cosa più esaltante di quest’ultima ondata di scioperi è che ha rotto i confini ristretti delle azioni programmate e ha liberato l’energia creativa di lavoratori e lavoratrici. Tra gli scioperi del 2018 ci sono scioperi illegali, scioperi dal basso, e scioperi organizzati al di fuori del sindacato – soprattutto quelli contro le molestie sessuali dentro Google.
E allora, non sorprende che le sezioni locali dei sindacati che si sono battute per contratti migliori e quelle che hanno indetto degli scioperi siano cresciute nel tempo e facciano da scudo contro Janus. Le iscrizioni sono addirittura salite del 2,2 percento in quegli stati che l’anno scorso hanno visto scioperi combattivi, dove fare sindacato ha assunto il significato di partecipare ad azioni dirette.Lo sciopero delle insegnanti di Los Angeles è stato uno sciopero d’avanguardia, che ha messo sul tavolo temi di giustizia sociale che esulavano dai loro contratti. Le immagini di insegnanti, studenti e genitori che mangiano insieme tacos e ballano per le strade hanno inondato i notiziari. E gli scioperanti si parlano gli uni con le altre, usando i social media, guardando le dirette live e partecipando a video conferenze per sostenersi tra diversi confini statali e settori
Il lavoro organizzato si trova di fronte a molteplici attacchi, a una burocrazia testarda, e a una militanza emergente, tutti segnali di un momento esplosivo. La bilancia può facilmente pendere a favore di lavoratori e lavoratrici se la base del movimento riesce a essere ancora più coesa e continua a portare avanti quelle azioni politiche, democratiche e aperte che ora come ora stanno confluendo in una strategia più ampia di attacco al capitalismo. Nel prossimo futuro, man mano che la lotta avanza, ci saranno cambiamenti nelle leadership sindacali, lotte interne e divisioni. Non tutte le battaglie che verranno saranno portate avanti dai sindacati esistenti, e la sindacalizzazione non sarà sempre l’obiettivo più importante.
La storia della lotta di classe negli Usa ha sempre conosciuto lunghi periodi di quiete e grandi ondate di lotta. I sindacati sono stati costruiti proprio in queste enormi ondate, e c’è la speranza di farli rinascere. Ma la speranza è anche quella di rompere i confini del business unionism, per costruire un movimento che includa tutta la classe e si batta per la sanità gratuita universale, per smantellare le riforme dell’educazione neoliberali, per difendere e includere i lavoratori migranti, e per sconfiggere razzismo e sessismo nei luoghi di lavoro.
Forse il movimento attuale produrrà una nuova ondata di iscrizioni al sindacato. Ma offre soprattutto la possibilità di fare qualcosa di più importante: rimodellare un movimento di lavoratori e lavoratrici che davvero includa tutte e tutti, e che combatta per la working-class.
*Amy Muldoon è una socialista di lungo corso e un membro dei Communications Workers of America a Verizon, New York City. Questo articolo è uscito su Jacobinmag.com. La traduzione è di Gaia Benzi.
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