Patrimonio, reddito, fisco: la triplice iniquità
Tutti gli studi più recenti indicano forti disuguaglianze nella distribuzione di reddito, ricchezza e imposte in Italia. Per contrastare questo circolo vizioso bisogna invertire la rotta
La Banca d’Italia e la Banca centrale europea hanno inaugurato il 2024 con la pubblicazione di un importante studio: i «Distributional Wealth Accounts» o, in italiano, i Conti distributivi sulla ricchezza delle famiglie che, per la prima volta, mostrano stime ufficiali sulla distribuzione del patrimonio delle famiglie. Fino a oggi, infatti, le banche centrali, pubblicavano periodicamente solo i dati aggregati della ricchezza delle famiglie, che comprendono il totale del patrimonio mobiliare, ossia gli investimenti, i depositi, il patrimonio immobiliare, che include immobili e attività aziendali, nonché il totale dei debiti, come ad esempio i mutui per l’acquisto delle case. Le istituzioni, dunque, si limitavano a riportare il dato riguardo il patrimonio medio italiano, che ammonta a circa 390 mila euro, una cifra che dice molto poco sulla situazione reale della maggior parte della popolazione. È evidente che le disparità di ricchezza esistono e sono consistenti, avendo alcune famiglie addirittura un patrimonio negativo. La pubblicazione dei dati ufficiali sulla distribuzione del patrimonio è quindi un importante passo in avanti: non solo migliora il dibattito pubblico su questi temi, ma anche gli studi economici beneficeranno di tali dati per valutare le politiche, permettendo di comprendere quali fasce della popolazione siano maggiormente colpite.
Questi nuovi dati della Banca d’Italia, ottenuti utilizzando una varietà di fonti di dati per correggere eventuali incongruenze nelle indagini campionarie, verranno pubblicati ogni trimestre e conterranno stime del patrimonio detenuto dalle famiglie appartenenti alle varie classi di ricchezza, dal 50% più povero fino al 10% più ricco.
Ufficialmente la Banca centrale europea ha rilasciato stime che si fermano al 10% più ricco, impedendoci quindi di esaminare dettagliatamente gli ultra-ricchi, come il top 5%, il top 1%, o il top 0.1%. Tuttavia, la Banca d’Italia, nel report pubblicato l’8 gennaio 2024, ha presentato stime addizionali per il top 5% delle famiglie, lasciando intendere la possibilità che in futuro verranno rilasciate stime con un dettaglio ancora maggiore.
La distribuzione del patrimonio in Italia
I dati finora rilasciati dalla Banca d’Italia mostrano un quadro preoccupante.
Tabella 1 – Patrimonio medio reale, quota di patrimonio e crescita reale per diversi gruppi di famiglie
Come si vede nella Tabella 1, dal 2011 a oggi, il 10% delle famiglie più ricche, pari a circa 2,5 milioni di nuclei familiari, ha consolidato un sempre maggior controllo sul patrimonio netto italiano. Questo gruppo di famiglie, infatti, è passato dal detenere il 52% del patrimonio netto nazionale nel 2011, al 58% all’inizio del 2023, con un corrispondente patrimonio medio di circa 2,3 milioni di euro per famiglia.
Il top 5%, ovvero 1,2 milioni di famiglie, invece detiene il 46% del patrimonio netto nazionale, con una media di oltre 3 milioni e mezzo di euro per famiglia, registrando, nel corso degli ultimi 13 anni, una crescita del patrimonio reale del 54%. Tutto ciò si verifica in un contesto in cui il 50% delle famiglie più povere possiede risparmi pari solamente a 62 mila euro, rappresentanti appena il 7.8% del patrimonio nazionale, e con una crescita del patrimonio netto che si ferma a solo il 28% in termini reali, notevolmente più moderata rispetto a quanto ottenuto dalle famiglie più ricche. Questi risultati sono in linea con un recente studio di Paolo Acciari, Facundo Alvaredo e Salvatore Morelli, nel quale gli autori descrivono una situazione di crescenti disparità, in cui lo 0.1% degli individui più ricchi detiene il 9% del patrimonio nazionale.
Tabella 2 – Composizione del patrimonio nel 2023, per diversi gruppi di famiglie
Oltre a informazioni di carattere distributivo, i dati della Banca d’Italia permettono anche di studiare la composizione del patrimonio tra i diversi gruppi familiari. Quello che emerge dalla Tabella 2 è che nel caso del 50% delle famiglie più povere la maggior parte del patrimonio è composta da immobili (oltre il 74%), da depositi bancari (17%), e una minima parte (4.5%) da patrimonio collegato ad attività di impresa, mentre le altre forme di patrimonio finanziario sono praticamente assenti. Il debito, invece, equivale a circa il 24% del patrimonio attivo, ed è principalmente detenuto sotto forma di mutui.
In contrasto, esaminando il 10% più ricco, emerge una composizione del patrimonio drasticamente diversa. Infatti, solo il 35% del patrimonio attivo è investito in immobili, mentre i depositi contano solo per l’11% e cresce la quota di patrimonio detenuta in attività di impresa (10%). Un’altra fondamentale differenza è che per il 10% più ricco, gli strumenti finanziari, come azioni e partecipazioni in società non quotate, hanno un ruolo molto importante (oltre il 18%), seguiti da partecipazioni a fondi di investimento (9%) e assicurazioni sulla vita (9%). I debiti, molto più contenuti, rappresentano solo il 5% del patrimonio attivo, e sono equamente divisi tra mutui e altre forme di debito.
Questi nuovi dati della Banca d’Italia rivelano quindi profonde disuguaglianze, evidenziate non solo dalla considerevole concentrazione di ricchezza nelle mani di poche famiglie, ma anche dall’eterogeneità nella diversificazione delle tipologie di patrimonio. È importante notare, però, che queste differenti tipologie di patrimonio hanno un ruolo fondamentale anche sui redditi percepiti dalle persone e quindi anche su tasse e imposte versate. Il 50% più povero, ad esempio, avendo un patrimonio limitato e focalizzato principalmente in proprietà immobiliari, registra redditi finanziari modesti. Al contrario, coloro che si trovano in cima alla distribuzione del patrimonio, con considerevoli fortune investite in partecipazioni aziendali e altre forme di investimento, generano significativi redditi da capitale, che godono di agevolazioni fiscali importanti rispetto ai redditi da lavoro.
La progressività del sistema fiscale italiano
In una nuova ricerca condotta insieme ad Andrea Roventini, della Scuola Superiore Sant’Anna, ed Alessandro Santoro, dell’Università Milano-Bicocca, recentemente pubblicata sul Journal of the European Economic Association, abbiamo analizzato la distribuzione dei redditi e delle aliquote fiscali effettive in Italia.
In questo studio, abbiamo combinato diverse fonti di dati, includendo dati amministrativi come le dichiarazioni fiscali, e dati di indagini campionarie di Istat e Banca d’Italia. Inoltre, abbiamo corretto i dati per tener conto dell’evasione e abbiamo ricalibrato i redditi finanziari utilizzando una distribuzione del patrimonio ottenuta da una ricerca congiunta tra accademici e ricercatori del Mef, simile a quella ottenuta dalla Banca d’Italia. Questo ci ha permesso di ricostruire la distribuzione dell’intero reddito registrato nei conti nazionali e quindi di rimanere perfettamente coerenti con i dati macroeconomici.
I nostri risultati evidenziano che in Italia, tra il 2004 e il 2015, c’è stato un aumento della concentrazione dei redditi e che questo aumento è legato anche all’andamento della concentrazione del patrimonio. Durante il periodo considerato, infatti, il 50% più povero, che percepisce redditi per una media di 13 mila euro l’anno, ha subito le maggiori perdite di reddito reale di oltre il 30%. Grazie a una maggiore concentrazione dei patrimoni nelle mani dei più ricchi, invece, il top 1%, con guadagni annui oltre i 310 mila euro, è riuscito ad aumentare i redditi da investimenti così da compensare le perdite causate dalla riduzione dei redditi da lavoro autonomo.
Come già menzionato, oltre ad analizzare la distribuzione dei redditi e la composizione del reddito per ciascuna fascia di reddito, ci dedichiamo anche all’esame del sistema fiscale nella sua totalità. Ciò implica uscire dagli schemi che considerano il sistema fiscale italiano esclusivamente attraverso l’Irpef, il quale rappresenta soltanto il 23% delle entrate statali, e considerare la distribuzione complessiva di tutte le tasse e imposte, sia dirette che indirette, a cui siamo soggetti. Tra queste rientrano l’Irpef, le imposte indirette sui consumi come l’Iva e le accise, i contributi sociali, le imposte sui redditi delle imprese, l’Irap, le ritenute sui redditi finanziari, e le oltre 77 tipologie di tasse e imposte presenti nei dati di contabilità nazionale.
I nostri risultati relativi al sistema fiscale sono preoccupanti, specialmente se analizzati in connessione con il già complesso scenario dell’incremento delle disuguaglianze
Infatti, il nostro sistema fiscale mostra una blanda progressività, partendo da un’aliquota effettiva di circa il 40% e raggiungendo il suo apice al 95° percentile con un’aliquota effettiva di circa il 50%. Tuttavia, per il top 5% più ricco, l’aliquota effettiva inizia a diminuire, assumendo quindi un carattere regressivo e arrivando a un’aliquota effettiva del 36% per il top 0,1% più ricco, il quale registra redditi medi superiori a 1 milione di euro (Figura 1).
Figura 1 – Aliquota effettiva media per percentili di reddito
Questo risultato è dovuto a una combinazione di vari fattori. Uno di questi è la regressività delle imposte indirette sui consumi, le quali gravano maggiormente sulle fasce di reddito più basse che destinano la quasi totalità del loro reddito ai consumi. Un altro elemento importante sono i contributi sociali, che sono proporzionali esclusivamente ai redditi da lavoro e presentano un limite contributivo oltre i 100 mila euro, riducendo di fatto l’impatto sui redditi più elevati. Infine, i redditi da capitale, come precedentemente accennato, sono concentrati principalmente tra i più ricchi. Questa categoria di redditi non rientra nell’imponibile dell’imposta progressiva Irpef, ma viene tassata mediante un’aliquota piatta, inferiore alle aliquote marginali per i redditi da lavoro. La combinazione di questi elementi rende il sistema fiscale italiano regressivo per i redditi più alti, in cui, paradossalmente, chi possiede la maggiore capacità contributiva, superando i 130 mila euro di redditi annui, contribuisce alle entrate dello stato in misura minore, in proporzione al proprio reddito, rispetto al resto dei cittadini.
Figura 2 – Aliquota effettiva media per percentili di reddito e tipologia di reddito prevalente
Inoltre, nel nostro studio, mostriamo anche che classificando le persone in base alla loro categoria di reddito prevalente, emerge una notevole variazione delle aliquote effettive medie (Figura 2). In particolare, i lavoratori dipendenti sono coloro che destinano una percentuale maggiore del loro reddito al pagamento di tasse e imposte, seguiti immediatamente da coloro che percepiscono prevalentemente redditi da lavoro autonomo. Chi percepisce prevalentemente redditi da pensione, presenta invece aliquote effettive sensibilmente inferiori, in quanto esentati dal versare contributi sociali. Ciò rende l’aliquota effettiva di questa categoria sostanzialmente inferiore rispetto a quella dei lavoratori dipendenti e autonomi, ma, in questo caso, l’Irpef riesce a compensare la regressività delle imposte indirette, rendendo l’aliquota effettiva di questa categoria più progressiva rispetto alla media. Tuttavia, anche nel caso di chi ha prevalentemente redditi da pensioni, quando si raggiungono livelli di reddito elevati, i redditi finanziari, soggetti a una tassazione flat favorevole, insieme alla minore quota di reddito destinata ai consumi riducono l’incidenza dell’imposta progressiva, rendendola regressiva per i pensionati più ricchi.
Focalizzandoci, invece, su coloro che percepiscono prevalentemente redditi da capitale, mostriamo che questo gruppo presenta un’aliquota essenzialmente regressiva, con un’imposta effettiva inferiore rispetto a tutti gli altri gruppi. Ciò è attribuibile alla regressività delle imposte sui consumi, alla mancanza di contributi sociali basati sui redditi da lavoro (quasi assenti in questo gruppo) e al regime fiscale favorevole che beneficia la quasi totalità dei redditi da investimenti.
Infine, mostriamo che se ordiniamo gli individui in base al loro patrimonio anziché al loro reddito, emerge che il sistema fiscale è interamente regressivo, con un’aliquota effettiva che inizia intorno al 50% e diminuisce fino al 36% per coloro con i patrimoni più elevati (Figura 3). Questi risultati sembrano supportare le recenti indicazioni da parte dell’Ocse di spostare la tassazione dal lavoro al capitale.
Figura 3 – Aliquota effettiva media per percentili di patrimonio
Il quadro che emerge è allarmante. I patrimoni sono sempre più concentrati nelle mani di poche famiglie generando di conseguenza un aumento nella concentrazione dei redditi. Occorrerebbe quindi avviare al più presto politiche che riducano il crescente livello di disuguaglianza. La politica fiscale potrebbe costituire uno dei canali per raggiungere questo obiettivo; tuttavia, attualmente, tale prospettiva non sembra essere realtà. Anzi, il sistema fiscale, anziché essere progressivo, presenta solo una leggera progressività, diventando addirittura regressivo per il top 5% degli italiani più ricchi, raggiungendo un’aliquota effettiva di solo il 36% per il top 0.1%. Pertanto, ad oggi, il sistema fiscale agisce ulteriormente a favore della concentrazione della ricchezza e dei redditi, contribuendo a perpetuare un circolo vizioso di crescenti disuguaglianze.
*Elisa Palagi è ricercatrice post-doc in economia presso la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e fellow presso il Wid – World Inequality Database (Paris School of Economics). Le sue ricerche si concentrano sullo studio delle determinanti e delle conseguenze delle disuguaglianze economiche. Demetrio Guzzardi, dottorando in economia alla Scuola Superiore Sant’Anna, si interessa di macroeconomia, distribuzione dei redditi, disuguaglianze e politiche fiscali.
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