Per le strade di Mosca
Uno spaccato di umori e pensieri dei russi subito dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Alcuni sono spaventati, altri rimuovono il conflitto. Molti sono del tutto impreparati emotivamente a un conflitto bellico di questa portata
A differenza dei residenti di Donetsk, Kharkiv e Odessa, il 24 febbraio i moscoviti non hanno sentito esplosioni nella loro città. I cittadini russi hanno appreso dello scoppio del conflitto, che il portavoce del ministero degli esteri ha descritto come «un tentativo di prevenire una guerra globale».
Il portavoce del presidente, Dmitry Peskov, sembrava fiducioso che «i russi sosterranno l’operazione in Ucraina così come hanno sostenuto il riconoscimento del Dnr e dell’Lnr», riferendosi alle Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk. Ma la sera del primo giorno di guerra, diverse migliaia di moscoviti si sono ritrovati in via Tverskaya per esprimere il loro disaccordo con queste posizioni. La polizia ha bloccato piazza Pushkin, ma la folla abbastanza fitta si è spostata lungo i viali, la Tverskaya e i vicoli circostanti. La maggioranza erano giovani.
I giovani prevalevano anche dieci anni fa in piazza Bolotnaya e in via Sakharov durante le proteste anti-Putin del 2011-2012. Ma l’atmosfera è cambiata radicalmente nel corso degli anni. Nel 2012 i «cittadini arrabbiati» erano orgogliosi della loro «creatività» diffusa: centinaia di slogan, striscioni e canti. I loro autori se la battevano quanto ad arguzia. Ora le persone si muovevano per lo più in silenzio. Hanno scandito un unico slogan: «No alla guerra!». Almeno 955 persone sono state arrestate in serata.
Non c’erano tanti manifestanti come nelle manifestazioni più grandi degli ultimi anni, ma non così pochi come ci si aspetterebbe un giovedì sera, il primo giorno di guerra, quando ovunque regnavano confusione e depressione. In qualche modo la maggior parte di queste persone faceva parte, se non degli antagonisti incalliti, dell’ambiente dell’opposizione. La classe media politicizzata è prevedibilmente insoddisfatta delle mosse radicali della leadership del paese. Ma che dire della stragrande maggioranza dei russi non coinvolti in questo movimento contro la guerra? Ho parlato con alcuni di loro.
Chi ha bisogno della guerra?
«Certo che sono contro la guerra – dice una madre che passeggia con i suoi figli a Tagansky Park – Chi ha bisogno della guerra? Mi dispiace molto per le persone. Ho pianto tutto il giorno oggi. Ho paura per i miei figli. Cosa accadrà loro?».
I suoi due figli, che sembrano avere tra i sei e gli otto anni, nel frattempo corrono felici intorno a noi. Ma a un certo punto il ragazzo si ferma, si rannicchia vicino a sua madre e chiede: «Mamma, Snoop può diventare un cane guida in modo che possa proteggerci?».
Mi sono spostato a piedi da Piazza Taganskaya al Monastero Pokrovsky vicino ad Abelmanovskaya Zastava. Mi sono avvicinato a ogni genere di persone: ragazze, nonnine che vendono fiori, operai con le tute municipali gialle e pellegrini che vanno ad adorare la Santa Matrona di Mosca. Ho fatto alcune semplici domande. Quasi tutti hanno risposto senza problemi. Ci sono stati quelli che si sono avvicinati da soli. Molti parlavano con impazienza, come se finalmente stessero infrangendo un voto di silenzio.
«Molto brutto!» mi hanno detto due ragazze di circa diciotto anni. «Molto brutto!».
L’entusiasmo e il sostegno sperati dal portavoce del presidente non si vedono. Su trenta o quaranta intervistati, solo uno – un giovane in età da leva – ha parlato del sostegno patriottico alle azioni delle autorità russe: «Questa è la nostra terra. Bisogna difenderla. Se mi mandano, allora andrò dove mi è stato detto».
Ma quando gli ho chiesto cosa ci aspetta nel prossimo futuro, ha risposto senza molto pathos patriottico: «Penso che alcuni social network stranieri saranno banditi. Per quanto riguarda il resto… Pane a 500 rubli, un euro per 500 rubli [il tasso di cambio è attualmente di circa 1 a 100]. Il nostro governo commette molti errori. Ma una volta che abbiamo iniziato, dobbiamo arrivare in fondo».
Gli altri hanno espresso emozioni che spaziano dalla paura al risentimento. Non ho incontrato nessuno psicologicamente preparato per notizie drammatiche dal fronte. La gente semplicemente non riusciva a spiegarsi perché le truppe russe stessero scavando nel territorio ucraino. Nessuno ha dato loro risposte convincenti. Gli anziani hanno ricordato il 2014 e la primavera di Crimea.
«Allora era in qualche modo più facile – ha detto un uomo sulla quarantina che ho fermato davanti a una filiale di Sberbank – C’era un senso di unità. E un senso di giustizia, o qualcosa del genere. Allora la nostra gente era offesa e noi li difendevamo. E abbiamo preso quello che era nostro. Ora non capisco. Perché abbiamo invaso?».
«I sociologi affermano che l’azione militare in Ucraina, iniziata oggi, è stata una sorpresa per la società russa e ha generato una situazione da shock di massa. Gli analisti stanno sottolineando che le persone si sono rivelate impreparate a uno scontro militare», ammette il canale filo-Cremlino Nezigar su Telegram.
Nessuno ci ha interpellato
Due ragazzi stanno uscendo da un bar. Mi rivolgo a loro con domande sulla guerra, sul tasso di cambio e sulle conseguenze. Loro, come tutti gli altri, non capiscono questa guerra. «Non vogliamo pensarci. Non ci pensiamo. Ecco perché non possiamo dire nulla di sensato», dice uno di loro.
L’altro aggiunge: «È come qualcosa di metafisico… di cosmico. Cosa puoi fare al riguardo? Va per conto suo, per l’amor di Cristo. Dovremmo uscire di qui. Vai in campagna, nel bosco. Dovremmo accendere fuochi. E non pensare».
Questo mood è emerso molto spesso nel mio esperimento sociologico. Le persone incontrano qualcosa che supera la loro capacità di comprendere. Guerra. Qualcosa che non rientra nelle loro coordinate morali. Non è una guerra difensiva. Non ha una causa particolare. E si scrollano di dosso questa notizia per la quale non sono in grado di fare nulla.
«Ho proibito a mia madre di guardare il telegiornale – dice una donna di mezza età – Le ho detto di guardare My Fair Nanny [una sit-com russa, Ndt] È un bel programma! Ma non leggere le notizie! Ti fa male».
Un paio di matricole del college mi hanno detto che oggi i loro compagni di classe non vogliono o hanno paura di discutere di politica. «C’è la sensazione che non se ne accorgano. Cercano di non accorgersene». Molte persone hanno la stessa impressione. «Mi stupisce che tutti tacciano, come se fosse normale – si indigna un lavoratore baffuto dell’azienda energetica comunale – Sono semplicemente incollati ai loro telefoni cellulari, tutto qui!».
Ma questo sentimento di indifferenza generale può essere ingannevole. Quasi tutti quelli che ho intervistato mi hanno detto di aver discusso le notizie sconvolgenti in un modo o nell’altro. Molti hanno ammesso di averci passato «tutto il giorno». Ma le conversazioni accese con i propri cari cozzano con una città che (per ora) continua a vivere la sua routine quotidiana. E molti si sentono come se fossero gli unici a provare ansia, impotenza e solitudine. Anche se, nella folla che passa, quasi tutti stanno probabilmente provando questi sentimenti in questo momento e per lo stesso motivo.
Nessuno ha chiesto a questi uomini e donne – o a chiunque altro nel paese – cosa ne pensino. Pensano che dovrebbero inviare carri armati e aerei russi nell’ex repubblica fraterna? Sono disposti a fare sacrifici in nome di quella che Putin chiama la «denazificazione dell’Ucraina»? Credono che la sicurezza del paese necessiti di misure estreme? Era passato solo un giorno dall’inizio della guerra, ma molti già sentivano il bisogno di parlarne, di esprimere le proprie opinioni. Almeno solo per essere ascoltati.
«Scriverai davvero che sono contrario alla guerra?» mi ha chiesto ingenuamente una vecchia fuori da un negozio di alimentari.
Il problema principale
«È come se non ci fossero altre cose che [lo stato] potrebbe fare!» mi ha detto a bassa voce l’anziano venditore di fiori.
Ieri il figlio del mio vicino ha avuto un grave incidente perché la strada è crollata sotto i suoi piedi. Bene, davvero, è davvero necessario che inizino una guerra da qualche parte? Non sarebbe meglio stendere l’asfalto normalmente? Eccomi qui, una vecchia, in piedi qui a vendere. La mia pensione non è abbastanza. Be’, almeno ho vissuto in qualche modo. E adesso? Come sotto i tedeschi, è di nuovo la guerra?
Sei donne sulla cinquantina stanno in cerchio vicino alla stazione della metropolitana Marksistskaya con le loro borse sulle banchine.
«Sì, è allarmante, certo – dice la più chiassosa tra loro – E ho molta paura. Per i nostri mariti, per i nostri figli. Possono essere chiamati alle armi. Ma speriamo che tutto finisca presto. Che la nostra gente ripristinerà rapidamente l’ordine lì. Ma c’è una guerra, ragazzi… È il ventunesimo secolo e siamo in guerra. Se inizia su larga scala, coinvolgerà chiunque».
«Quindi non voleremo in Egitto a breve?», ho chiesto alla donna che stava parlando del suo viaggio recente.
«Certo che lo faremo, se Dio vuole – risponde – Tutto andrà bene. Tutto andrà bene! Penso che abbiamo un esercito forte e non coinvolgerà noi, i civili, nel breve periodo. Abbiamo un grande presidente. Quindi non è il problema principale…».
La donna balbetta. Il suo flusso di ottimismo non riesce a trovare uno sbocco. Le sue amiche scuotono la testa: «No, Lena. È un casino. Questo è il problema principale, adesso».
*Alexey Sakhnin è un attivista russo. È stato uno dei portavoce del movimento di protesta anti-Putin dal 2011 al 2013. È membro del Progressive International Council. Questo testo è uscito su Moskvichmag.ru, è stato tradotto in inglese da LeftEast e pubblicato da JacobinMag. La traduzione in italiano è a cura della redazione.
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