
Perché Biden può ancora mandare tutto in malora
I sondaggi danno ancora un netto vantaggio del candidato Democratico su Donald Trump. Come mai allora la sensazione generale è che il «pilota designato» possa perdere il controllo da un momento all'altro?
«Non sottovalutare la capacità di Joe di mandare tutto all’aria». Sembra abbia commentato così Barack Obama, dietro le quinte, l’ufficializzazione del suo ex vice a candidato presidente: l’uomo per cui è sceso in campo personalmente perché vincesse la nomination e che, da una settimana, lui, la moglie Michelle e tutto il partito presentano come l’unica alternativa possibile a Donald Trump e alla fine della democrazia statunitense.
Quello di Joe Biden è stato probabilmente il miglior discorso della convention democratica di quest’anno. A differenza di quello di quasi tutti gli altri, infatti, non era basato su astratti inviti alla «decenza» o sul ritornello di Trump di non all’altezza del suo compito, ma si incentrava sulla promessa di migliorare la condizione dei lavoratori statunitensi, citando anche riforme concrete e specifiche. Per una volta Biden ha parlato la stessa lingua della maggior parte degli americani in questo momento, persone la cui preoccupazione maggiore non sono i tweet di Trump, ma avere da mangiare a cena e mantenere il tetto sulla testa, oppure avere un futuro tra dieci anni. Ha parlato alla loro paura e al loro disagio.
Perché queste preoccupazioni, dunque? Consideriamo alcuni fatti recenti:
- Negli ultimi due mesi il Coronavirus è esploso in tutti gli Stati uniti. L’epidemia è migrata a sud e a ovest, nelle aree rurali tanto quanto in quelle urbane, e ha infettato ormai oltre tre milioni di persone, uccidendone più di cinquantamila.
- In questo stesso periodo, il vantaggio di Biden su Trump si è ridotto di diversi punti in molti importanti sondaggi (Cnn/Ssrs, Washington Post/Abc e Wall Street Journal/Nbc) e il candidato democratico è calato di due punti nella media dei sondaggi realizzata da RealClearPolitics.
- Trump ha indebolito la struttura del servizio postale statunitense, togliendogli i fondi per funzionare. Parallelamente Louis DeJoy, l’uomo voluto dallo stesso presidente a dirigere le poste, ha progettato un metodo per rallentare le consegne e ha messo fuori servizio più di seicento macchine per lo smistamento della corrispondenza. Il risultato è stato privare potenzialmente del diritto di voto la maggioranza degli elettori pro-Biden, che a novembre prevede di votare per posta.
- Il New York City Board of Elections ha letteralmente buttato via più di ottantaquattromila schede elettorali delle primarie democratiche di New York a causa di errori e ritardi nella consegna delle schede via posta. Sono stati invalidati così un quinto dei voti per corrispondenza dei Democratici della città, di cui trentamila solo da Brooklyn.
Messe tutte insieme, queste storie dipingono un quadro molto più fosco dei mesi a venire. Da qui a novembre può accadere qualsiasi cosa (e nel 2020 abbiamo imparato quanto questa espressione sia letterale), e questi fatti possono rappresentare altrettanti allarmi sulla reale capacità di Biden di vincere le prossime elezioni, per non parlare dello stato della democrazia statunitense.
Guardiamo innanzitutto ai sondaggi. Il più drammatico è quello della Cnn, dove il vantaggio di Biden è crollato dai +14 punti di giugno a soli +4 punti, e dove l’ex vicepresidente ha perso terreno in ogni singolo gruppo di elettori (divisi per sesso, etnia, età ed educazione), afroamericani inclusi, tranne una: gli elettori over 65, rispetto ai quali Biden ha guadagnato 3 punti. Nessuno degli altri sondaggi riporta un’emorragia di consenso di tale portata per Biden, ma tutti mostrano un calo dell’ex vicepresidente di Obama. Nel sondaggio del Washington Post/Abc il suo vantaggio su Trump è sceso a luglio da 15 a 12 punti, e in quello condotto da Wall Street Journal/Nbc di 2 punti (a +9 attuali). Analogo il calo nella media di RealClearPolitics. Sembra abbastanza chiaro che Biden ha perso decisamente terreno nell’ultimo mese, anche se non riusciamo a quantificare il calo con numeri esatti.
Gli elettori anti-Trump devono preoccuparsi? Dopo tutto, come sottolinea Ed Kilgore, Biden continua a detenere un enorme vantaggio su Trump in quasi tutte le rilevazioni, e supera tuttora di gran lunga i risultati di Hillary Clinton nel 2016. Questo vantaggio potrebbe benissimo ampliarsi dopo la convention democratica, che storicamente fa sempre salire i consensi. Tuttavia, esiste più di un motivo per preoccuparsi. Che Biden abbia potuto perdere terreno contro Trump in questo momento sembra a dir poco stupefacente, visto che la risposta trumpiana alla pandemia è stata di incompetenza mortale e nei quattro mesi successivi è solo peggiorata.
Solo un breve riassunto degli eventi: il virus si è diffuso in alcune parti del paese, uccidendo decine di migliaia di persone e trasformando gli Stati a guida Repubblicana in nuovi focolai; centinaia di migliaia di piccole imprese hanno chiuso i battenti definitivamente, e almeno 16 milioni di persone sono attualmente disoccupate; il sussidio salvavita erogato dal governo è scaduto il giorno prima della scadenza degli affitti e il Congresso è andato in vacanza senza prolungarlo; Trump ha scatenato il caos inviando la guardia nazionale a gasare e brutalizzare i manifestanti, mentre lui si faceva immortalare con una Bibbia in mano a Washington, ha spinto per riaprire le scuole mentre infuriava la pandemia causando almeno 97.000 contagi tra i bambini nelle ultime due settimane di luglio, e si è comportato in modo sempre più inqualificabile in pubblico, fingendo semplicemente che il virus non fosse un problema. Non sorprende che i suoi indici di gradimento siano sprofondati. In queste condizioni chiunque avrebbe preso punti, Biden invece, in un modo o nell’altro, li ha persi.
Ma può andare anche peggio. Guardando RealClearPolitics si scopre che Biden totalizza addirittura meno di Hillary Clinton negli stati chiave della competizione elettorale, che nel 2016 hanno consegnato la Casa bianca a Trump. Al 19 agosto, infatti, la media dei sondaggi di Biden è inferiore a quella di Clinton in Wisconsin (2,5 punti in meno), Pennsylvania (2,8 punti), Michigan (1,8 punti) e North Carolina (0,6 punti). Tutti stati che nel 2016 Clinton ha perso. Unica nota dissonante: in Arizona Biden sta superando di gran lunga i punteggi passati di Clinton.
Questo discorso può sorprendere chi finora abbia seguito la campagna elettorale solo attraverso i media mainstream. Il senso comune (almeno a leggere solo la stampa statunitense) vuole infatti che la campagna di Biden sia un colpo di genio strategico, una specie di trappola fatale per Trump. Per i media, il fatto che Biden abbia evitato con fermezza la stampa e gli eventi non programmati, il suo rifiuto di rilasciare interviste (solo cinque a giugno rispetto alle ventuno di Trump), e la sua campagna elettorale molto rilassata sono tutte mosse tatticamente intelligenti, perfettamente calibrate sul momento storico. Non cose che il partito di Biden è stato obbligato a fare con un candidato che ha l’abitudine di insultare interi gruppi di persone nei suoi discorsi pubblici o dimenticare quello che dice anche mentre legge un foglio di carta.
Trump, nel frattempo, è tornato di recente ad assistere ai briefing quotidiani sulla pandemia, il che lo ha aiutato nei sondaggi. I suoi aiutanti e consiglieri strategici si sono correttamente resi conto che fingere semplicemente che il virus non esista è una strategia perdente. È per questo che Trump ha ridotto il grande vantaggio di Biden? I suoi comunicatori lo pensano di sicuro. Se è così, ciò suggerisce che Biden potrebbe essere in guai seri se Trump dovesse mostrare anche solo un barlume di capacità di agire sulla pandemia, o se un vaccino arrivasse al momento giusto.
Su tutto questo incombe il declino del servizio postale americano (Usps), cominciato prima di Trump. Il voto per corrispondenza di massa si profila come l’unica opzione sicura e sensata per le elezioni di novembre, ma è sempre meno probabile che sia effettivamente fattibile. E anche se i problemi del servizio postale americano bloccherebbero di fatto un numero relativamente esiguo di voti, questo numero potrebbe essere sufficiente per fare la differenza a favore di Trump. Anche per questo i commentatori dicono che se vuole assicurarsi la presidenza, Biden avrà bisogno di molti più consensi di Trump. L’establishment democratico se n’è reso conto: nella serata di apertura della Convention di Milwaukee Michelle Obama ha esortato l’ala liberal ad «andare a votare presto e di persona se possibile» e a portarsi scarpe comode e mascherine, e pure la cena e la colazione del giorno dopo per «stare in fila tutta la notte».
Altro indice del livello di panico che serpeggia tra i Democratici è il fatto che siano tornati ad attaccare, inutilmente, Bernie Sanders. Più probabilità hanno di perdere, più cercano un capro espiatorio, idealmente a sinistra. Così Jason Johnson della Msnbc ha dato a Sanders la colpa dei problemi attuali delle poste americane, perché nel 2015 avrebbe scelto di bloccare le nomine pubbliche proposte da Obama, cosa che avrebbe dato in seguito a Trump la possibilità di piazzare un direttore generale a lui vicino.
Non giriamoci intorno: il declino delle poste americane è a tutti gli effetti un fallimento dei Democratici. Come ha ricordato un consulente di lunga data di Sanders, Warren Gunnels, nella lista delle nomine di Obama c’erano tre dirigenti che o erano Repubblicani o volevano comunque smantellare i servizi postali, mentre Sanders all’epoca ha fatto quello che chiedevano sindacati del Naacp. Inoltre, dato che il direttore generale delle poste Louis DeJoy è stato votato all’unanimità dall’attuale consiglio di amministrazione, di cui fanno parte anche due Democratici (erano tre ma uno si è dimesso ad aprile per protesta contro la politicizzazione del servizio da parte di Trump), un rappresentante sindacale e un ex funzionario di Obama, non è chiaro in che modo la responsabilità sarebbe di Sanders.
Al di là di questo, alla radice dei problemi delle poste americane c’è il Postal Accountability and Enhancement Act del 2006, che ha costretto la società a mettere da parte entrate sufficienti per pagare le prestazioni sanitarie dei pensionati fino al 2056, obbligandola a tagli brutali dei costi. La legge è stata co-sponsorizzata da due Democratici, scritta e presentata in Senato dal Democratico del Delaware Tom Carper e infine approvata all’unanimità.
C’è di peggio, però. Perché fin dall’inizio del lockdown negli Stati uniti a marzo ci sono state diffuse richieste di ampliare il voto per corrispondenza per evitare il disastro che il Paese sta affrontando. I Democratici al Congresso hanno avuto molteplici possibilità di garantire il voto per corrispondenza a novembre, inserendolo in uno dei decreti sul Coronavirus, ma la loro leadership ha sprecato l’opportunità fino a quando l’indignazione popolare li ha costretti a prendere finalmente di petto il problema, anche se adesso potrebbe essere troppo tardi. Questo è il Partito democratico oggi: un partito che ha bisogno di essere messo sotto pressione anche per salvare sé stesso.
Purtroppo, i Democratici hanno consegnato ai Repubblicani un manuale pronto all’uso per la soppressione di una parte degli elettori. Sono stati Biden e i Democratici a insistere per non rinviare le elezioni primarie durante la pandemia, per la fretta di concludere tutto prima che l’ex vice di Obama potesse dire o fare qualcosa che avrebbe mandato in malora la sua campagna elettorale. La conseguenza è stata il crollo dell’affluenza materiale alle urne e un boom del voto per corrispondenza, e poi migliaia e migliaia di schede invalidate.
La storia scioccante di New York, dove un quinto delle schede delle primarie sono state invalidate (dopo che peraltro i Democratici avevano tentato di cancellare le primarie dello stato) è solo un caso dei tanti. Dal Michigan al New Jersey, in molti stati decine di migliaia di schede delle primarie e di altre elezioni sono state invalidate a causa di ritardi postali e problemi tecnici. Come la storia di quell’elettore malato di Parkinson che non riesce più a riprodurre la sua firma per via dei tremori. Solo in California, alle primarie di marzo sono state respinte centomila schede.
Perciò è più che probabile che i Democratici finiscano per usare la stessa strategia enunciata da Michelle Obama alla Convention: supplicare gli elettori di mettere a rischio la salute e andare a fare file in piedi di ore ai seggi, possibilmente anche di notte, per votare Biden. In questa visione, la corsa presidenziale assomiglia a una gara a chi mostra più entusiasmo, dove i sostenitori di un candidato devono superare un letterale calvario per far vincere il loro uomo.
Sappiamo che i sostenitori di Trump bussano a un milione di porte a settimana, muniti di mascherine; Biden invece si è affidato a una campagna interamente digitale. Gli elettori di Trump votano con passione per lui, quelli di Biden hanno la passione di votare, ma non necessariamente la passione per lui. Fino al 27 agosto Trump sfrutterà il palcoscenico della Convetion Repubblicana per serrare i ranghi della sua base, già molto fedele. I Democratici invece hanno usato la loro per punzecchiare i giovani elettori progressisti scettici nei confronti del loro candidato. Può darsi che, alla fine, tutti questi dettagli non saranno rilevanti per l’esito finale, ma può darsi anche di sì.
Biden ha ancora un grande vantaggio su Trump, ed è possibile che il divario si stabilizzi da qui a novembre. Ma se è vero che la forza del candidato democratico, com’è stato detto, sta nel fatto di essere il «pilota designato», il più adatto a guidare la macchina fino al traguardo per sfilare la presidenza a Trump, come mai la sensazione generale è che il pilota può perdere il controllo da un momento all’altro?
*Branko Marcetic è membro dello staff di Jacobin e autore del libro Yesterday’s Man: The Case Against Joe Biden. Vive a Toronto, in Canada. Questo articolo è uscito su Jacobinmag. La traduzione è di Riccardo Antoniucci.
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