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Portuali in «zona di sacrificio»

Juan Pablo Pizarro 17 Dicembre 2021

Una storia di sindacalismo, ambiente e politica nel Cile che si trova in mezzo al guado del ballottaggio per le elezioni presidenziali

A due anni dalla rivolta popolare del 2019, il Cile si trova nel guado di un processo politico che determinerà il livello di assestamento di questo ciclo di lotte. Mentre l’assemblea costituente lavora per sostituire la costituzione della dittatura, il 19 dicembre si terrà il ballottaggio delle elezioni presidenziali, che vede un testa a testa tra la sinistra di Gabriel Boric e l’estrema destra di José Antonio Kast. I temi della precarietà lavorativa, del welfare e dell’ambiente sono stati centrali nell’estallido social. Per questo proponiamo un intervento di Juan Pablo Pizarro, 31 anni, delegato sindacale dell’Unión Portuaria de Chile a Puerto Ventanas. Il complesso industriale e portuale di Ventanas, situato nei comuni di Puchuncaví e Quintero, è conosciuto in Cile come un caso emblematico di «zona di sacrificio», in cui ambiente e salute sono sacrificati in nome di una crescita economica marcata dall’estrattivismo. In queste zone, l’intima connessione tra giustizia sociale e giustizia ambientale si esplicita, facendo emergere anche tutte le proprie contraddizioni. Da qui l’interesse di prospettive avanzate e radicate in lotte reali.

Il lavoro portuale in Cile è estremamente poco regolamentato, cosa che dà mano libera ai padroni. Per esempio, è possibile assumere gli scaricatori con contratti alla giornata, da un turno o mezzo turno, a seconda dei volumi di merci in transito. Ci sono quindi situazioni di precarietà profonda. Otto anni fa, nel Porto di Ventanas, in media il 30% dei lavoratori erano assunti mentre tutti gli altri lavoravano alla giornata. Oggi questa proporzione si è invertita grazie alle nostre lotte. Tuttavia, in altri porti il tasso di lavoro giornaliero può aggirarsi tra il 40% e il 60%.

Un tema importante delle nostre lotte è il diritto alla salute. È ora in corso una ricerca sulla nocività del lavoro portuale in varie zone del paese. Ci sono rischi diversi in base al contesto, nel nord il problema è l’isolamento, nel sud il freddo, perché la temperatura dell’ambiente di lavoro può essere di -30°. I porti per navi portarinfuse sono diversi da quelli per navi da container. Per esempio, noi carichiamo concentrato di rame per l’export e scarichiamo perlopiù carbone per le centrali termoelettriche, cosa che presenta alti rischi in assenza di una prevenzione adeguata. Ci sono poi le intemperie, il rumore, il lavoro notturno, i rischi di incidente, ecc. La riduzione della settimana lavorativa dalle attuali 45 ore a 40 ore – cosa già acquisita in moltissimi paesi del mondo – sarebbe anche un progresso in termini di salute.

In Cile i diritti sindacali sono molto limitati. Per esempio, l’unica contrattazione collettiva permessa è quella a livello aziendale. Non solo non esistono contratti nazionali di settore, ma le società si dividono in una moltitudine di aziende fittizie per polverizzare la contrattazione, rendendola in molti casi impraticabile. A causa di queste restrizioni i nostri scioperi sono al di fuori della legge, ma le nostre rivendicazioni più che legali sono giuste.

Sindacalismo partecipativo

Come sindacato di Puerto Ventanas, abbiamo sviluppato un sindacalismo partecipativo che mira a coinvolgere il territorio. La nostra sede è collocata nel quartiere popolare La Chocota, a Puchuncaví. È capitato spesso che i vicini, in conversazioni quotidiane, ci abbiano accusato di essere corresponsabili dell’inquinamento provocato dal porto e dalla zona industriale. Noi rispondiamo che i lavoratori non sono i padroni e che la responsabilità per la contaminazione del territorio di Quintero-Puchuncaví è delle imprese e dello stato che gli ha permesso d’inquinare. Anche noi viviamo perlopiù nella zona e la nostra posizione è che l’ambiente sano sia un diritto di tutte e tutti.

Inoltre, è grave il fatto che le comunità più vicine alla zona industriale siano emarginate e non abbiano servizi pubblici minimi, come il sistema fognario o un ospedale. Il sistema fiscale in Cile è estremamente centralizzato, quindi le imposte pagate dalle aziende vanno a Santiago e, per quanto riguarda le multinazionali, i profitti vanno all’estero. Le aziende danno piccoli finanziamenti di responsabilità sociale a progetti comunitari, come gli è richiesto dalla legge, ma si tratta di misure palliative più che di soluzioni reali, come sarebbe per esempio un piano di bonifica della baia.

Da più di una settimana, i pescatori della zona sono in sciopero per i mancati risarcimenti da parte della Empresa Nacional del Petróleo (Enap) per lo sversamento di petrolio nella baia avvenuto nel 2014. Stanno bloccando il porto e nessuna nave ha potuto attraccare. Noi abbiamo pubblicato un comunicato nel quale solidarizziamo con la lotta delle compagne e dei compagni pescatori. Fino a che l’Enap e il governo non avranno risolto il problema, non ci presteremo a nessuna manovra che possa indebolire il loro sciopero o dividere il movimento.

Siamo in contatto con il territorio e sappiamo quali sono le criticità del porto, per esempio le perdite di carbone. Le operazioni di carico e scarico sono state migliorate e spesso siamo noi portuali che vigiliamo sul loro corretto svolgimento. Non è ancora sufficiente ma continueremo a lavorare in questa direzione.

La decarbonizzazione

Come sindacati dei porti carboniferi cileni – le zone di sacrificio di Coronel, Huasco, Tocopilla e Ventanas – abbiamo dichiarato che il carbone deve finire, perché si tratta di un materiale obsoleto che provoca intollerabili danni ambientali e sociali. Ma se il carbone se ne deve andare, i portuali devono restare.

Il carbone costituisce un terzo delle merci che passano per Ventanas, per migliaia di turni di lavoro annuali. Per questo stiamo lavorando a un progetto di diversificazione del porto. Anche nel porto di Coronel il carbone costituisce circa un terzo delle merci. Ma la situazione è più complessa per quanto riguarda Huasco e Tocopilla, dove il carbone costituisce circa l’80% delle merci. Le misure di mitigazione dovranno essere all’altezza. Un portuale che ha fatto questo lavoro per trent’anni difficilmente potrà reinventarsi. Un altro punto interrogativo riguarda il futuro dei sindacati stessi. Per esempio, il sindacato dei portuali di Huasco ha più di ottant’anni di storia e ha resistito alla dittatura.

Dobbiamo evitare che si ripeta quanto avvenuto con la chiusura delle miniere di carbone a Lota negli anni Novanta. In quel caso, nonostante le misure di mitigazione per i minatori, il territorio si è trasformato in una delle zone più povere e degradate del Cile. Quindi noi chiediamo una transizione giusta e pianificata per uscire dal carbone e stiamo preparando proposte concrete.

Le elezioni presidenziali

Durante il cosiddetto estallido social del 2019 – che io preferisco chiamare rivolta popolare – noi portuali abbiamo aderito allo sciopero generale bloccando tutti i porti del paese e poi abbiamo partecipato al processo costituente. Abbiamo anche fatto tutti gli scioperi per mettere fine al sistema pensionistico esclusivamente privato imposto in Cile dalla dittatura. Tuttavia, l’Unión Portuaria, al livello nazionale, si è mantenuta ai margini di queste elezioni. Ci siamo sempre mobilitati con determinazione nelle strade e quindi abbiamo criticato duramente Boric per aver votato la «legge anti-barricate» nel 2019. Ma la maggior parte di noi oggi sostiene Boric, perché una vittoria di Kast significherebbe una forte regressione per i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici e un’escalation di repressione contro i militanti combattivi. A noi dell’Unión Portuaria, Kast ci ha chiamato «terroristi» senza neanche sapere chi siamo.

Credo che sia fondamentale riformare il Codice del Lavoro della dittatura, per permettere la contrattazione multi-impresa ed espandere i diritti di sindacalizzazione e di sciopero. Al di là del posto di lavoro, abbiamo bisogno di diritti ambientali, diritti delle donne e un welfare pubblico di qualità per estendere l’accesso a salute, istruzione e pensioni. Io ho dovuto lavorare da quando avevo 14 anni, ho pulito auto, lavato piatti e lavorato nei cantieri prima di entrare nei porti. La mia generazione, quella dei nati negli anni Novanta, ha lottato duramente nelle strade. Ora bisogna fare questa scommessa, e vada come vada continueremo a lottare.

*Juan Pablo Pizarro, 31 anni, è delegato sindacale dell’Unión Portuaria de Chile a Puerto Ventanas. Trascrizione, editing e traduzione di Lorenzo Feltrin.

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