
Quarant’anni tra memoria e oblio
Dal «Mai più» della transizione democratica al «Non erano 30.000» di Milei, le vicissitudini del ricordo del terrorismo di Stato in Argentina dal 1983 al 2023 si intrecciano con i conflitti attuali
L’Argentina sta attraversando un momento delicato dal punto di vista economico e turbolento da quello politico, con un’inflazione del 140% annuo e il 40% della popolazione al di sotto della soglia di povertà. Nonostante ciò, le esportazioni di prodotti alimentari generano grande ricchezza, i consumi della classe media e alta sono sostenuti e i servizi permangono di qualità e a basso costo per tutti, come la sanità, i trasporti e l’istruzione – residui dell’età dell’oro del peronismo. Il ricordo utopico di un paese ricco, il paradiso perduto dell’argentino medio che si sente più europeo che latinoamericano, è in contrasto con la realtà. Questa frustrazione collettiva si è tradotta nel voto di più della metà dell’elettorato per un outsider dei partiti tradizionali. Javier Milei si è guadagnato la fama di economista eccentrico e ultraliberista, sostenitore del libero mercato – anche di organi, neonati e armi – e vicino agli ultraconservatori che simpatizzano con il regime militare che ha governato il paese tra il 1976 e il 1983.
Nel dibattito presidenziale che ha preceduto le elezioni, Milei ha relativizzato i crimini dell’ultima dittatura, affermando che non ci sono stati 30.000 desaparecidos, ma 8.800. Il numero equivale alle denunce che compaiono nel rapporto della Conadep (Commissione Nazionale sulle Sparizioni di Persone), noto come Nunca más (Mai più). D’altra parte, Milei ha definito come eccessi individuali le torture, gli omicidi e le sparizioni forzate, che giudici e storici hanno dimostrato essere parte di un piano sistematico diretto dalle più alte sfere militari. Come siamo arrivati dal patto democratico del 1983, fondato sulla condanna della repressione illegale e sulla restaurazione dello Stato di diritto, alla banalizzazione dei crimini della dittatura, che distrugge un consenso di base della democrazia argentina? Per comprendere questo punto di arrivo, possiamo pensare a tre momenti della memoria del terrorismo di Stato in Argentina, che hanno influenzato il modo in cui il passato è stato rappresentato e ha operato politicamente sul presente.
La dittatura militare e la «guerra contro la sovversione»
Il 24 marzo 1976, un colpo di Stato rovesciò il governo civile di Isabel Martínez de Perón, sostituendolo con una giunta militare guidata da Jorge Rafael Videla. Le forze armate giustificarono il loro intervento come un’azione necessaria della «guerra contro la sovversione», ma a quella data la guerriglia era già stata sconfitta politicamente e militarmente. La categoria di «sovversivo», d’altra parte, era così elastica da poter comprendere sia dissidenti armati che disarmati. Il fatto che la maggior parte delle vittime della dittatura non fossero combattenti, ma piuttosto lavoratori, studenti, artisti, religiosi e professionisti politicizzati, dimostra che il vero obiettivo della repressione illegale era quello di fermare il crescente attivismo politico e sociale degli anni Sessanta e Settanta, che nei loro aspetti più radicali avevano posizioni anticapitaliste e socialiste.
I settori più duri delle Forze Armate si resero conto che per mettere a tacere le mobilitazioni e disciplinare la società nel suo complesso era necessaria una repressione senza limiti né garanzie giudiziarie. Il terrorismo di Stato rese massiccia e sistematica la pratica del sequestro, della tortura e della sparizione forzata, attuata da gruppi armati senza uniforme, che ospitavano le vittime in centri di detenzione clandestini, veri e propri campi di concentramento da cui pochi uscivano vivi. Nacque così la figura dei desaparecidos, che, come disse Videla in televisione, «non sono né vivi né morti», il che significava che lo Stato non doveva rispondere di loro. Il regime militare giustificò le violazioni dei diritti umani sostenendo che erano la spiacevole ma logica conseguenza di una guerra sporca contro il nemico sovversivo, che si nascondeva tra la popolazione civile.
Il numero delle vittime del terrore di Stato è oggi oggetto di dibattito. Organizzazioni per i diritti umani come Madres y Abuelas de Plaza de Mayo hanno calcolato 30.000 desaparecidos (cifra poi divenuta canonica), mentre un messaggio segreto tra i servizi segreti militari argentini e cileni afferma che solo tra il 1975 e il 1976 sono state assassinate 21.000 persone. Infine, tra il 1983 e il 1984 la Conadep ha ricevuto 8.800 denunce di sparizioni forzate. La misura dell’entità del terrore di Stato fornita dal documento della Conadep, il Nunca Más, ripreso da Milei, è inaffidabile, in primo luogo, perché condizionata dall’assenza di denunce contro i militari prima del 1983, ovvero nei primi anni della transizione, quando la democrazia era ancora debole. In secondo luogo, perché in quelle denunce c’è una componente di classe, poiché le classi medie e alte avevano più accesso alla giustizia rispetto ai più poveri. Qual è stato il destino dei desaparecidos di origine operaia, dei poveri che vivevano in insediamenti precari, delle intere famiglie sterminate dalla repressione, cioè di tutti coloro che non avevano nessuno che li denunciasse?
Ciò che viene ignorato o cinicamente taciuto nel dibattito attuale è che non è possibile determinare il numero esatto di vittime a causa della natura clandestina della repressione, che non ha lasciato corpi e ha cercato di cancellarne le tracce. Come ha detto lo scrittore Martín Kohan, il numero 30.000 è una cifra aperta, simbolica, che esorta lo Stato a fornire risposte. Potrebbero essere stati di meno, ma potrebbero anche essere stati di più, ed è per questo che dubitare dell’entità del terrore di Stato porta alla banalizzazione, e la banalizzazione al negazionismo.
Dalla transizione democratica degli anni Ottanta al neoliberismo degli anni Novanta
Il crollo della dittatura militare a causa delle sconfitte subite nella guerra delle Malvine contro la Gran Bretagna ha permesso una rapida transizione alla democrazia e l’evento senza precedenti di un governo civile in grado di processare le proprie forze armate per atti criminali nel 1985. Il prologo di Nunca más, un testo chiave nel processo alle giunte militari scritto dallo scrittore Ernesto Sábato, sviluppava una nuova rappresentazione del passato recente. Sosteneva che la violenza dell’ultra-sinistra e dell’ultra-destra aveva causato l’intervento sproporzionato delle Forze Armate, che esercitavano «un terrorismo infinitamente peggiore di quello combattuto». Questa spiegazione del dramma vissuto negli anni Settanta, nota come «teoria dei due demoni», ha costruito un senso comune duraturo ed egemonico nella memoria collettiva. La maggioranza degli argentini ha giudicato le azioni della guerriglia e dello Stato come equivalenti ed esterne alla società. Quest’ultima si chiamava fuori dal conflitto, dimenticando in fretta la sua vicinanza alla dittatura o alla rivoluzione. A sua volta, la teoria dei due demoni ha creato un’immagine del desparecido come vittima innocente, depoliticizzando il suo passato militante e cancellando la sua identità. Nel contesto dei processi alle giunte militari, questa operazione era funzionale alla necessità di rimuovere lo stigma dei desaparecidos come pericolosi terroristi.
Il neoliberismo dei primi anni Novanta è stato un periodo di silenzio, oblio e regressione, a causa della politica di riconciliazione del presidente Carlos Menem, che ha rilasciato i capi militari precedentemente processati. Questa atmosfera di sconfitta cambiò drasticamente nel 1995, quando un ex marinaio confessò la sua partecipazione ai «voli della morte», in cui i desaparecidos venivano gettati vivi in mare dopo essere stati drogati. Contemporaneamente, il movimento per i diritti umani rinasceva, grazie a un ricambio generazionale che si esprimeva in nuove organizzazioni come Hijos, formata dai figli degli scomparsi. Questi gruppi inventarono forme di protesta originali come le escraches, grandi mobilitazioni in cui venivano indicate le case dei repressori, affinché subissero una condanna sociale in assenza di procedimenti giudiziari. Ma il tratto distintivo di questo momento è stato il recupero dell’identità e della storia dei desaparecidos come militanti rivoluzionari. Questa ripoliticizzazione è stata accompagnata da best-seller testimoniali, come La Voluntad. Una storia della militanza rivoluzionaria in Argentina, e dalla crescita di una passione memorialistica dal basso lontana dalla teoria dei due demoni.
Istituzionalizzazione della memoria, revisionismo e negazionismo (2003-2023)
La memoria favorevole alla militanza rivoluzionaria ha raggiunto il suo apice negli anni Duemila, con un nuovo impulso alla riattivazione dei processi agli ufficiali militari accusati di violazioni dei diritti umani, portata avanti dai governi di Néstor e Cristina Kirchner. L’incorporazione di memoria, verità e giustizia nel discorso ufficiale ha portato alla politicizzazione della memoria e le più importanti organizzazioni per i diritti umani sono diventate parte del governo, fornendo funzionari, sostegno alle mobilitazioni e legittimità al kirchnerismo. Le Madres y Abuelas de Plaza de Mayo sono state trasformate in icone viventi di una religione civica e democratica basata sul dovere di ricordare il terrorismo di Stato. La loro storia è stata insegnata nelle scuole e ha entusiasmato i giovani che iniziavano la loro militanza politica nel peronismo e nella sinistra.
L’istituzionalizzazione della memoria ha portato a una certa idealizzazione della generazione rivoluzionaria degli anni Settanta come esempio di impegno. Tuttavia, la politicizzazione della memoria da parte del peronismo ha generato anche il suo contrario, e nel 2006, a partire da un atto pubblico di omaggio alle «vittime della sovversione», ha portato alla formazione di una corrente critica nei confronti della politica ufficiale dei diritti umani e della narrazione progressista del recente passato. Questo movimento culturale ha invocato una «memoria completa», che è stata presentata come una visione alternativa alla «storia ufficiale» degli anni Settanta, accusata di essere parziale, partigiana e filo-terrorista. La verità è che in Argentina esiste una pluralità di storie della violenza politica in competizione tra loro. Una memoria completa è impossibile, perché come processo cognitivo la memoria è selettiva, presuppone l’oblio e la parzialità come condizione di esistenza. Come processo sociale la memoria è antagonista, divisa da fratture politiche, di classe, di etnia e di genere, perché tutti ricordiamo la stessa cosa ma in modi diversi. Solo uno dei personaggi letterari di Borges, Funes il Memorioso, ricordava tutto, e per questo era vicino alla follia e lontano dal pensiero, perché per lo scrittore argentino pensare era dimenticare le differenze.
La domanda crescente di una memoria integrale ha stimolato la produzione di libri con una prospettiva conservatrice sugli anni Settanta, che sono stati trasformati in best seller da un pubblico di lettori desiderosi di leggere la «vera storia» di quell’epoca. Questa letteratura revisionista è stata venduta come una descrizione oggettiva dei fatti, ma di fatto è servita come input ideologico per mettere in discussione la narrazione progressista del recente passato e la politica dei diritti umani del kirchnerismo. Il revisionismo conservatore, che oggi ha influenze nelle reti sociali e in alcuni circoli politici, ha creato il clima per l’emergere di un discorso negazionista sul terrorismo di Stato. Questo negazionismo ha utilizzato lo slogan «non erano 30.000» per relativizzare e banalizzare i crimini della dittatura, un’operazione che funziona in due modi: verso il passato, perché abbassando le cifre della repressione illegale crea una simmetria immaginaria tra la violenza della guerriglia e il terrore di Stato; e verso il presente, perché se la dittatura non aveva un piano sistematico, se il numero dei desaparecidos è una menzogna delle organizzazioni per i diritti umani, la repressione non era così terribile. Questo serve a legittimare un potenziale Stato repressivo nel 2024, a causa delle previste proteste contro la ristrutturazione economica promessa dal presidente eletto. La macchina del tempo sembra averci riportato agli anni Ottanta, quando era necessario dimostrare che i desaparecidos erano vittime e non carnefici, e dire a gran voce «Nunca más» per seppellire l’autoritarismo.
*Esteban Campos è Dottore in Storia presso l’Università di Buenos Aires e ricercatore presso il Consiglio Nazionale per la Ricerca Scientifica e Tecnica (Conicet), Argentina. La traduzione è di Marco Morra.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.