
Scioperare nelle università
La crisi dell'accademia è arrivata al punto tale che tutti e tutte quelle che ci lavorano hanno interesse a un cambiamento radicale. E per ottenerlo non bastano appelli e azioni di lobbying
L’università statunitense è in crisi, lo sanno tutti. Gli studenti pagano tasse sempre più esorbitanti, affidandosi a prestiti con tassi di interesse usurari, per corsi tenuti da dipendenti e laureati sempre più stressati e sottopagati. Secondo un rapporto della Service Employees International Union’s Adjunct Action, a Boston un collaboratore dovrebbe tenere da diciassette a ventiquattro corsi all’anno semplicemente per sbarcare il lunario. Nel frattempo, le lavoratrici e i lavoratori laureati riescono a cavarsela con piccoli stipendi mentre producono ricerca all’avanguardia e corsi di insegnamento, sperando che questo porti a una posizione di ruolo. Ma queste sono diventate rare, con la maggior parte dei docenti a rischio.
Anche i pochi fortunati studenti laureati che riescono a superare la battaglia del percorso di ruolo devono affrontare sfide serie. Oltre alle grandi aspettative per la ricerca e l’insegnamento, sono gravati da molto lavoro nei consigli e nell’amministrazione. Il che sottrae loro tempo che altrimenti potrebbero dedicare sia agli studenti che alle proprie famiglie: nuclei spesso formatisi tardi, interrotti o sradicati dalla ricerca di lavoro. Quanto ai docenti di ruolo, molti possono ricevere un aumento solo tramite un’«offerta esterna» da un’altra istituzione, difficile da ottenere nell’attuale mercato del lavoro.
Tra istituzioni e discipline ci sono differenze, ma il fatto che il mondo accademico sia in crisi vale per tutte. Praticamente tutte nel mondo accademico sono in serio pericolo e praticamente tutte avrebbero interesse a un cambiamento radicale. Per effettuare il cambiamento sulla scala necessaria per affrontare la crisi, le strategie standard semplicemente non funzionano. Lo sappiamo perché sono state applicate di continuo: se pressioni politiche, dichiarazioni interne o editoriali potessero risolvere questo problema, l’avrebbero già fatto. La crisi universitaria riguarda il potere quanto le risorse. C’è bisogno di docenti: la popolazione studentesca è cresciuta, non si è ridotta. Ma le priorità di bilancio in molte grandi istituzioni quadriennali si sono spostate sulla costruzione di nuovi edifici elaborati per impressionare i finanziatori e attirare gli studenti.
Per sfidare le relazioni di potere nell’università e stimolare la trasformazione, gli accademici devono scioperare. La semplice minaccia di sciopero ha ottenuto importanti concessioni presso singole istituzioni. Nel mio stesso istituto, Rutgers, con le minacce di sciopero nel 2019 si è ottenuta una maggiore equità salariale e aumenti per lavoratori e lavoratrici laureate. Una recente autorizzazione allo sciopero alla Howard University ha ottenuto aumenti di stipendio per i docenti precari. A differenza della sola pressione politica o della semplice resistenza, uno sciopero non può essere affrontato con mezze misure o distrazioni. Dal momento che interrompono il funzionamento regolare e premono per aprire vertenze, gli scioperi spostano l’attenzione su lavoratori e lavoratrici, consentendo a queste ultime piuttosto che agli amministratori di decidere che tipo di richieste portare avanti.
Per trasformare veramente la formazione superiore con gli scioperi, gli accademici dovranno costruire relazioni tra soggetti. Una crisi nazionale richiede una risposta nazionale. Gli scioperi singoli possono migliorare la retribuzione aggiuntiva, ma non possono risolvere la crisi aggiuntiva o rimodellare le strutture di governo dell’università limitando le richieste che i lavoratori possono fare. Un’azione coordinata di sciopero, d’altra parte, ha il potenziale per forzare il cambiamento tra le istituzioni, arrestando e invertendo l’attuale corsa al ribasso.
Anche se i singoli scioperi possono ottenere più di quanto si è fatto finora, probabilmente miglioreranno i risultati solo nelle istituzioni più ricche. Le università statali e i college comunitari stanno soffrendo di una grave diminuzione a lungo termine dei finanziamenti pubblici. Ciò riflette le preferenze dei politici piuttosto che dell’opinione pubblica, il 62% dei cittadini sostiene un aumento dei finanziamenti per i college comunitari. Un’ampia azione collettiva può mobilitare questa maggioranza contro le politiche orientate all’austerità. Tempi coordinati e sforzi di comunicazione, fino a un possibile sciopero generale in futuro, potrebbero sopraffare le forze anti-lavoratrici all’interno delle università e creare opposizione a esse oltre le mura accademiche.
Gli accademici si trovano in una posizione di forza per coordinare l’azione collettiva in più luoghi di lavoro contemporaneamente. Partecipiamo a conferenze più volte all’anno, abbiamo forti relazioni lavorative e personali tra le istituzioni e condividiamo un senso di coscienza ed esperienza di gruppo. Nella mia disciplina, la storia, l’umore tra le e i dottorandi alle conferenze è simile a quello di alcuni dei marinai del Settecento: compagni riuniti da un inevitabile destino, che sussurrano storie di amici perduti dopo tre anni strazianti sul mercato del lavoro. È tempo di un ammutinamento.
Spostandoci dalla disperazione individuale alla speranza e all’azione collettiva, gli scioperi possono trasformare la diffusa simpatia tra i lavoratori accademici in forte solidarietà. L’azione collettiva può utilizzare e rafforzare i legami interistituzionali esistenti, estendendoli a più discipline per dare ulteriore forza al lavoro nelle università. Il supporto e le basi per questo tipo di collaborazione, come la Higher Education Labor United di recente creazione, esistono già.
Scioperare per salvare l’università richiederà anche la collaborazione all’interno degli organismi accademici. L’importanza e il potere delle facoltà sono una risorsa cruciale in qualsiasi confronto con l’amministrazione. Unità di contrattazione più grandi sono un passo importante verso la concretizzazione di tutto questo: se sfruttare lavoratori e laureati significa rischiare uno sciopero di tutti i docenti, diventerà molto più difficile per gli amministratori farlo.
Le docenti di ruolo fanno sforzi coraggiosi per aiutare i propri studenti laureati, ma questi per loro natura non possono risolvere il problema più ampio che dobbiamo affrontare. Organizzando e sostenendo gli scioperi, i docenti di ruolo possono aiutare gli studenti laureati a trasformare l’attuale mercato del lavoro piuttosto che competere meglio in esso. Ma è importante che i docenti di ruolo non partecipino solo per empatia: l’azione collettiva li aiuterà anche ad affrontare le proprie rivendicazioni, come i carichi di lavoro pesanti, la mancanza di aumenti o gli incrementi del costo della vita.
La regola pratica è che più i lavoratori e le lavoratrici universitarie sono unite nella lotta, meno capace l’amministrazione è di respingere le loro richieste. Per questo motivo, la facoltà dovrebbe collaborare con altri lavoratori universitari, come i lavoratori della ristorazione e delle strutture, per creare potere e affrontare la disuguaglianza all’interno delle nostre istituzioni.
Questo tipo di solidarietà può essere al centro di una nuova visione dell’università. La crisi accademica è solo una faccia delle tendenze economiche e sociali più ampie che colpiscono tutti i lavoratori, dalla crescente precarietà agli orizzonti limitati al breve periodo fino alla finanziarizzazione. Per i riders che lottano contro le leggi che ostacolano la nascita di sindacati, forse le preoccupazioni degli accademici sul problema post-dottorato della scienza o sulla morte delle discipline umanistiche possono suonare vane. Ma non è detto che sia così se la lotta per salvare l’università viene ridefinita come parte integrante della lotta per una più ampia giustizia economica.
Le università possono essere centri gestiti dai lavoratori e dalle lavoratrici per l’organizzazione nelle loro comunità. Possono orientare il discorso pubblico e la creazione di conoscenza verso gli obiettivi pubblici piuttosto che verso i finanziatori privati e la minoranza benestante della società più in generale. I lavoratori e le lavoratrici possono lottare per fermare il debito studentesco, formare sindacalisti piuttosto che manager e sfidare la legittimità delle gerarchie nella nostra scrittura e nelle nostre conferenze. Molti accademici lo fanno già.
Questa visione rinnovata e ampliata dell’università potrebbe essere sia popolare che potente. Raggiungerla insieme richiede di fare qualcosa in cui notoriamente non eccelliamo: smettere di lavorare.
*Henry Snow è uno storico del lavoro e dottorando alla Rutgers University. La sua attività di ricerca si dedica ai porti atlantici del diciottesimo secolo e alla creazione dei moderni regimi di lavoro. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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