Se nulla può accadere tutto è possibile
Le lotte dei riders, i fattorini comandati da una piattaforma digitale, mescolano strumenti tradizionali e pratiche innovative. Storia della Riders Union Bologna e del suo sciopero al tempo della frammentazione sociale
La vicenda dei rider, i lavoratori e le lavoratrici delle consegne a domicilio la cui organizzazione è disciplinata da una piattaforma digitale, e delle loro lotte dipanatesi nel corso dell’autunno si muove su di un doppio paradosso. Il primo è quello più generale della sinistra politica e sindacale, che ha raggiunto una condizione di afasia proprio nel momento in cui il neoliberismo attraversava l’apice della sua crisi di consenso. Il secondo è quello che ha che fare con la capacità dei rider stessi di aprire in un contesto particolarmente ostile all’autorganizzazione una finestra attraverso cui parlare a quella parte di lavoratori e lavoratrici, in crescita esponenziale, esclusi dalle tutele salariali. Per comprendere come questo sia stato possibile, ma soprattutto quali indicazioni questa lotta ci offre per il futuro, bisogna disporsi a uno sguardo dal basso, assumendo fino in fondo la prospettiva dell’organizer. Solo da questo punto di vista è possibile cogliere non solo le contraddizioni che si aprono alle frontiere dell’accumulazione capitalista, ma anche le opportunità che questa fase storica offre alle lotte dei lavoratori.
L’ascesa delle piattaforme digitali
L’esplosione delle piattaforme digitali non è avvenuta nel vuoto, né è il frutto di un naturale sviluppo tecnologico. Essa affonda le sue radici in trasformazioni di più lunga durata. È il trentennio neoliberista ad aver creato le condizioni politiche e sociali necessarie allo sviluppo delle piattaforme. Non è un caso che la maggior parte di queste emerga a seguito delle politiche neoliberiste di austerity, le quali hanno impresso nella società una trasformazione delle condizioni materiali e soggettive che spingono sempre più individui verso l’economia dei lavoretti, la cosiddetta gig economy.
Questa relazione spiega la tendenza delle piattaforme a sussumere, grazie agli strumenti tecnologici, attività una volta marginali e condotte nell’informalità, come la consegna del cibo, l’affitto di breve durata o il lavoro di cura. Un processo che pure potrebbe comportare benefici ai lavoratori in questo settore, ma che, a causa della natura estrattiva delle “leggi di produzione” delle piattaforme, fa sì che i lavoratoti finiscano non solo per restare nella medesima condizione di povertà e insicurezza che caratterizza la dimensione informale, ma subiscano anche una sollecitazione costante a intensificare la loro prestazioni e i rischi connessi. Si determina così un circolo vizioso che vede i comportamenti organizzativi delle piattaforme incrementare gli stessi fattori che hanno prodotto l’esplosione dell’economia dei lavoretti. È in questa tendenza che si articola la natura estrattiva delle piattaforme che disegnano un modello di impresa basato su ingenti finanziamenti volti a conquistare il mercato già prima di assicurarsi una sostenibilità economica. Questa caratteristica, inoltre, rende le piattaforme dipendenti dagli investimenti provenienti da alcuni tra i maggiori gruppi finanziari, tra cui Jp Morgan, Deutsche Bank, ma anche la nostrana Intesa San Paolo. In un mercato a tendenza oligopolistica, ciò finisce per innescare la“guerra mondiale delle piattaforme”. In prima linea, sul fronte di questa guerra che non hanno dichiarato, ci sono i rider, chiamati a pagare gli alti costi sociali di questo modello di impresa.
Le strategie organizzative
Il confronto con questo scenario è il punto di partenza delle strategie organizzative della Riders Union Bologna (Rub), perché sono proprio le tendenze di cui parlavamo poc’anzi a causare il forte turn-over che caratterizza questo lavoro, la spinta verso l’individualizzazione della prestazione e anche il ruolo della componente simbolica volta a legittimare l’idea del lavoretto. Così, mentre per aggirare gli ostacoli del turn-over è bastato organizzarsi attraverso lo strumento delle chat di gruppo, per riuscire a rompere il particolare isolamento e l’effetto di una narrazione volta a scoraggiare la conflittualità, è stato necessario fornirsi di strumenti di natura mutualistica. In un tale contesto, luoghi e strumenti come le ciclofficine, il dopolavoro, i punti solidali, si sono rivelati preziosi perché in grado di costruire aggregazione e solidarietà. A seguito dei primi scioperi dei rider dell’inverno del 2017 le aziende hanno cominciato a prendere alcune contromisure. Dapprima hanno scelto di porsi come interlocutori e accettato di discutere di questioni fino ad allora negate. Poi hanno scelto la pratica delle assunzioni selvagge, tentando di minare la solidarietà collettiva e sabotare la possibilità dei lavoratori di organizzarsi. Ma gli strumenti mutualistici hanno consentito ai rider di mettere in piedi un presidio in grado di durare nel tempo.
Reinventare lo sciopero
La difficoltà maggiore per la Rub è stata quella di riuscire a mettere in campo una strategia vertenziale efficace. A causa delle condizioni contrattuali cui vengono sottoposti, i rider sono esclusi dagli strumenti tradizionali della tutela sindacale. Inoltre le “leggi di produzione” che caratterizzano le piattaforme determinano un’asimmetria di potere che rende difficile incidere sui comportamenti organizzativi. In altre parole, la strategia vertenziale ha avuto la necessità di reinventare la pratica dello sciopero, reso inagibile nella sua forma tradizionale proprio dal modo in cui le piattaforme funzionano. Pur senza abbandonare l’obiettivo di praticare un’astensione collettiva che limitasse il più possibile l’operatività, il tentativo è stato quello di influenzare l’opinione pubblica più che esercitare la capacità di mettere in crisi il ciclo di accumulazione delle piattaforme. Ciò è avvenuto innanzitutto invocando la responsabilità politica di chi detiene le leve dell’amministrazione delle infrastrutture cittadine all’interno delle quali le piattaforme operano. È in questo senso che la Rub ha guardato alla città non semplicemente come agglomerato di persone, ma come una rete di relazioni sociali e istituzionali da mobilitare per mettere in crisi i giganti delle piattaforme.
Le lotte nel momento populista
Oltre che essere un’esperienza da cui trarre spunto per pensare allo sciopero nell’era della “digitalizzazione del tutto”, dunque, l’esperienza della Rub è significativa del potenziale politico e simbolico che tale pratica assume all’interno di quello che la filosofa Chantal Mouffe definisce momento populista. Le lotte dei e delle rider non avrebbero potuto ottenere dei risultati, seppure parziali, senza la capacità della Rub di riuscire a capitalizzare quei tratti del momento populista che, a causa dell’assenza di un’alternativa politica, gonfiano spesso il consenso delle destre. La centralità assunta dalla dimensione simbolica e la natura antagonista del rapporto con le istituzioni, due tra gli elementi che caratterizzano il momento populista, hanno consentito ai rider di diventare il simbolo del rifiuto della precarietà e della povertà prodotta dal neoliberismo. Dopo la sentenza d’appello del tribunale del lavoro di Torino, che ha riconosciuto la fattispecie della subordinazione del rapporto di lavoro di cinque rider di Foodora, diventa sempre più urgente riuscire a ottenere un miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita per tutti e tutte. L’efficacia della lotta si misurerà dunque sulla capacità di mobilitare quei lavoratori oggi esclusi dalle tutele salariali. Questo obiettivo necessita dell’alleanza di tutte le energie che si oppongono alle tendenze estrattive del capitalismo. Solo se ci sarà questa alleanza potremo dire che le lotte dei rider sono state una scintilla in grado di far sì che, citando lo scrittore Mark Fisher, «in una situazione in cui nulla può accadere, tutto di colpo torna possibile».
*Marco Marrone, ricercatore in sociologia presso il Center for Humanities and Social Change dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, è tra i fondatori di Riders Union Bologna.
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