
Senza tetto né voce
Se ne erano accorte le Black Panthers di Huey P. Newton: la ristrutturazione urbana comporta la nascita di un popolo dell’abisso di sottoproletari. Accade in California, si sta verificando anche in Europa e in Italia
Passate le elezioni di metà mandato, la California ha dovuto affrontare uno dei momenti più critici della sua storia. Due incendi, uno al nord e uno al sud, hanno messo in ginocchio i californiani. Tra i morti e gli sfollati, le fiamme hanno messo in luce che anche in territorio probabilmente tra i più aperti alle istanze progressiste – talvolta socialiste – del Partito democratico, le classi meno abbienti vengono lasciate in condizioni di miseria.
Gli incendi hanno raso al suolo sia le ville delle star dello spettacolo che Paradise, la città che per anni è stata meta delle classi meno abbienti per il prezzo abbordabile delle case. Il vento ha trascinato il fumo fino alla Bay Area, l’area metropolitana della West coast comprendente San Francisco, Oakland e Berkeley. Per più di una settimana l’aria è diventata insalubre. All’Università di Berkeley le lezioni sono state rimandate. Sono rimasti aperti al pubblico solo gli edifici con un sistema di filtraggio dell’aria efficiente.
Solo che mentre le autorità locali hanno dato l’allerta alla popolazione raccomandando di rimanere a casa e di fornirsi di mascherine, la ricca Bay Area ha ancora una volta dimostrato la propria incapacità – molto spesso mancanza di volontà – nel gestire i problemi di una classe che continua a essere ricordata solo quando si tratta di considerarla come un problema: quella dei senza tetto, gli homeless, che potremmo definire sottoproletariato urbano. Se già prima del voto midterm era stata sottolineata l’importanza di una gestione differente della questione – con interventi radicali nel controllo degli affitti, la costruzione di nuove case e la possibilità di tassare i miliardari a San Francisco per sostenere il costo delle spese – gli incendi hanno accentuato le contraddizioni. Il sottoproletariato urbano rimane incastrato da due tensioni di senso opposto: da una parte paternalismo assistenzialista, dall’altra condanna morale associata a repressione, a cui però non seguono politiche sul lavoro.
Fortune e miserie della Bay Area
Dopo la seconda guerra mondiale, la Bay Area ha vissuto delle ondate migratorie non indifferenti dal sud degli Stati uniti. La più celebre, forse, fu quella di molti afroamericani che tra gli anni Quaranta e Cinquanta iniziarono a stabilirsi nella zona di West Oakland, quella industriale. San Francisco- secondo uno studio del geografo Richard Walker, ex allievo di David Harvey – era meno costosa dal punto di vista degli affitti rispetto ad altre metropoli statunitensi, come New York. La povertà rimase concentrata nelle zone periferiche, i ghetti degli afroamericani tra tutti, mentre nel resto della Bay Area il trend rimase costante negli anni Sessanta. Ma a Oakland qualcosa parve essersi incrinato nel mondo della working class: nella seconda metà degli anni Sessanta, già Huey P. Newton, a capo delle Pantere Nere, si rese conto che la working class afroamericana stava iniziando quasi a scomparire, tramutandosi sempre più in quel sottoproletariato che Marx e Lenin avevano definito come classe incapace di fare la rivoluzione. Nel novembre del 1970 parlando al Boston College, Newton disse: «La tecnologia sta facendo dei balzi in avanti […] e se questo circolo dominante rimarrà al potere la working class attraverserà una fase di declino a causa della mancanza di lavoro, e ingrosserà le file del sottoproletariato». Negli anni successivi alla War on Poverty di Johnson, Oakland venne inserita all’interno di innumerevoli programmi di sviluppo economico. Come spiegato nel 2004 da Chris Rhomberg nel suo libro No There There. Race, Class, and Political Community in Oakland, ciò avvenne a causa della crescente immigrazione verso la Bay Area, ma soprattutto della scelta degli amministratori della città, interessati a ghettizzare i più poveri piuttosto che agire attraverso interventi sociali.
A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta quella che fino ad allora era rimasta situazione relativa ai ghetti, iniziò a diventare il trend regolare di tutta la Bay Area. Il prezzo delle case salì in maniera spropositata, a peggiorare la situazione arrivò fu la Proposition 13 del 1978 che, come denunciato dalle Pantere Nere nel dicembre dello stesso anno, pose un limite alla tassazione locale delle proprietà private, dimezzando così il budget a disposizione delle città per gli interventi pubblici. Il taglio dei servizi fece il paio con la crescente crisi abitativa, a cui qualcuno aveva cercato di rimediare portando avanti la Proposition 10 del 1980 che, come l’omonima proposta di legge di quest’anno, chiedeva alle autorità locali di controllare gli affitti. Non passò, e nel 1995 l’elettorato californiano votò a favore del Costa-Hawkins Rental Housing Act, che ne affidava il compito alle autorità statali, mentre soltanto poche città negli anni iniziarono ad approvare il controllo locale degli affitti.
A fare aumentare le pigioni intervenne anche la gentrification, che soprattutto a Berkeley assunse un aspetto peculiare: quello della crescita smisurata degli studenti. Aumentando il costo degli affitti, gli studenti non hanno fatto altro che sovrappopolare la zona. Già nel 2017 un gruppo di ricercatori aveva dimostrato coi dati come la situazione appariva drammatica. La working class, sempre più in crisi a causa della delocalizzazione delle industrie, della cybernizzazione del lavoro e notevolmente colpita dalla crisi del 2008 e dal prezzo sempre crescente degli affitti, è sottoposta al rischio di avvicinarsi ai livelli del sottoproletariato urbano. Il sogno della Silicon Valley e il mito dell’accesso al capitalismo lasciato da icone del neoliberismo contemporaneo come Steve Jobs hanno fatto il resto. Come aveva previsto Huey P. Newton a suo tempo, il proletariato impoverito che non avrebbe avuto la possibilità di partecipare alla crescita del capitale sarebbe diventato vittima del sistema, esposta al rischio di diventare parte di quel sottoproletariato urbano (o lumpen) che del sistema capitalistico avrebbe sottolineato le contraddizioni.
Midterm: quale vittoria?
Negli Stati uniti il fronte democratico ha festeggiato a lungo i risultati delle elezioni di midterm, che nonostante non abbiano dato luogo a una vera e propria Blue Wave, hanno comunque contribuito a garantire al Partito democratico la maggioranza al Congresso, così come alcune vittorie inaspettate a più livelli. Insomma, come sottolineato da un’attivista di area democratica «Non abbiamo vinto come volevamo, ma abbiamo vinto quello che dovevamo vincere assolutamente». Il risveglio della California da dopo le elezioni ha generato alcune sorprese, come la vittoria democratica ad Orange County, caposaldo repubblicano fino al 2016. Secondo alcuni, addirittura, proprio la California potrebbe diventare l’elemento di crisi per i repubblicani e per Trump. Quanto alla Bay Area, delle numerose proposte di legge di cui si è parlato, sono state approvate quelle sull’aumento della tassazione per i patrimoni superiori al milione di dollari e il cui ricavato verrà destinato soprattutto alle cure psichiatriche dei senzatetto.
Lascia perplessi il risultato della Proposition 10, che come quella del 1980 avrebbe dovuto affidare il controllo sugli affitti agli enti locali, così da cambiare la situazione e aiutare chi rischia di diventare un senzatetto. La proposta non è stata approvata, ricevendo circa i due terzi dei voti contrari. Era stata osteggiata da chi sosteneva che sostituire la Costa-Hawkins del ’95 non avrebbe funzionato; ma ci sono elementi che fanno riflettere sulla campagna per la Proposition 10. Mentre socialisti come Bernie Sanders e Barbara Lee avevano sostenuto la legge insieme ad altre associazioni che erano riuscite a racimolare 26 milioni di dollari per la campagna, i suoi oppositori ne sono riusciti a mettere in campo 74. Colpisce non tanto la sproporzione di capitali delle due campagne elettorali, ma chi, invece, ha osteggiato in maniera drastica la Proposition 10. I risultati dimostrano l’enorme potere dei “corporate landowners” e dei super-ricchi in uno stato come la California. A contrastare la proposta di legge ci hanno pensato numerose compagnie e multinazionali. Tra questi spicca il Blackstone Group, la multinazionale più importante al mondo nel settore degli investimenti immobiliari, che ha finanziato la campagna per il “no” per oltre la metà del budget.
Dalla Bay Area all’Europa
Il numero dei senzatetto in California è in continua crescita, così come lo è il tasso nella diseguaglianza dei redditi nella Bay Area. Allo stesso tempo, come sottolineato dalla Brooking Institution, il tasso di benessere della Silicon Valley e di città come San Francisco è cresciuto a dismisura, tanto che i multimilionari del settore hig-tech hanno assistito a un aumento considerevole dei propri introiti. Le famiglie che vivono grazie alla partecipazione attiva a questa crescita dei capitali, guadagnano fino a undici volte in più di un comune lavoratore. Chi investe nel mercato immobiliare spende cifre irrisorie per costruire e massimizza i profitti all’aumentare del costo dei contratti di locazione. Solo che alla crescita degli affitti non si associa una crescita dei salari. Mentre l’affitto mensile medio per un monolocale a San Francisco raggiunge i 3.300$, lo stipendio medio di un lavoratore non qualificato è molto minore rispetto alla maggior parte degli Stati uniti. Così i salari reali crollano lasciando che sempre più membri della working class inizino a far parte della crescente classe del sottoproletariato urbano.
La Proposition 10 non avrebbe modificato significativamente il sistema, avrebbe comunque favorito una politica diversa nella gestione della situazione non solo in California e in tutti gli Stati initi, dove i grandi capitali hanno assunto sempre più il controllo dell’evoluzione urbana, partecipando così all’aumento del costo degli affitti che ha costretto molti lavoratori a migrare verso le periferie.
Da una parte l’elettorato californiano si è mostrato restìo ad approvare un maggiore intervento delle autorità locali nel costo degli affitti, dall’altra la Bay Area ha palesato la propria incapacità nel gestire la sproporzione tra centri di prima accoglienza e numero crescente di senza tetto e sfollati. Gli incendi e il fumo che hanno invaso la Bay Area hanno evidenziato il problema. A fronte del numero elevato di senza tetto, contee come Alameda County sono state impotenti nel gestire la situazione. Come sostenuto da Mike Zint, co-fondatore della organizzazione First They Came for the Homeless, la realtà è che gli spazi a disposizione non sono abbastanza. La situazione emergenziale ha reso palese la discrepanza tra la necessità di un intervento pubblico radicale e l’impossibilità di gestione delle autorità locali che rimane limitata a una logica di assistenzialismo temporaneo, nell’assenza di programmi di lungo o medio termine.
L’aumento dei senza fissa dimora non è un fenomeno circoscritto alla Bay Area. In Europa negli ultimi anni si è assistito a un numero sempre crescente di senza tetto in tutti gli stati a esclusione della Finlandia. In Italia, secondo i dati Istat, tra il 2011 e il 2014i senza tetto crescono del 6%, il che si spiega con il tasso di crescita delle diseguaglianze economiche, che cresce al diminuire dell’età media secondo i dati della Caritas italiana. Più si è giovani e, soprattutto se non si posseggono titoli di studio che vadano oltre la licenza media, più è alta la probabilità di rientrare nella classe sociale dimenticata: il sottoproletariato urbano.
A dispetto di tutto sia in Italia che negli Stati Uniti chi mantiene uno stile di vita elevato lo manterrà anche in futuro, mentre continuerà a peggiorare quello di chi si ritrova in situazioni borderline, chi vive di assistenzialismo perché costretto dalla situazione economica o chi viene escluso anche dall’assistenza perché straniero o addirittura troppo povero benché autoctono. Già nel 2016 la Federazione Italiana Organismi per le Persone senza dimora (Fio.Psd) aveva sottolineato la necessità da parte del governo italiano di affrontare diversamente la questione homeless, preferendo un percorso che avrebbe dovuto avviare un processo di inclusione dei soggetti ai margini della società ed evidenziando le molteplici nature di una classe variegata e accomunata dallo stato di marginalizzazione e dall’estrema povertà. Sarebbe stato invece necessario ripensare il rapporto senzatetto-lavoro, ovvero cercare di unire l’assistenzialismo economico – come il reddito di base – a forme di inclusione sociale dei clochard attraverso “percorsi di attivazione” e di lavoro. Dopo due l’Italia si mostra incapace di smarcarsi dalla morsa fatta di assistenzialismo emergenziale e condanna morale dall’altra.
Anche in Italia il sottoproletariato urbano mette in evidenza due elementi fondamentali. Primo: la composizione variegata dei lumpen ci dà modo di comprendere con quali strati sociali lo stato ha più problemi a svolgere politiche di integrazione sociale. Secondo: mentre la politica si affanna a difendere e affermare gli interessi delle classi agiate, proprietari e speculative, sono organizzazioni non-statali o le comunità di riferimento a gestire il problema. Se si eccettuano i casi virtuosi di alcuni comuni che si attivano per l’assistenza immediata dei più poveri, le realtà locali adottano soluzioni becere e che dimostrano l’incapacità di alcune giunte comunali di rispondere alle tensioni e alle problematiche del comune che amministrano. Se nella progressista San Francisco si provvede a multare chi è costretto a dormire sui marciapiedi, in alcuni comuni italiani si montano dissuasori sulle panchine, si multano i senzatetto che rovistano tra i rifiuti o addirittura si condanna chi fa l’elemosina. Le giustificazioni paternaliste, così come la condanna morale di una classe che viene vista come necessariamente criminale, molto spesso prendono la forma di soluzioni paradossali: l’ex sindaco dem di San Francisco – e ora governatore della California – Gavin Newsom aveva contribuito a sottolineare il legame inscindibile tra ubriachezza e homeless, stessa cosa si fa adesso in Italia quando in alcuni comuni si proibisce il consumo di alcol in quartieri specifici, o quando si elimina il servizio di residenza ai senzatetto a Genova. Anche in Italia i sottoproletari vengono descritto come una massa di criminali e sfaticati che non serve a nulla e che riguardano più la sfera penale che quella sociale. In Italia come negli Usa la povertà è in continuo aumento, e continua a crescere quella assoluta nelle famiglie appartenenti alla classe operaia. Aumentano i disoccupati e a ciò non seguono politiche del lavoro capaci di risolvere la situazione. Proposte come quella dell’attuale governo sul reddito di cittadinanza rappresenta solo un mezzo per la sopravvivenza dei disoccupati col mercato del lavoro in stallo. I poveri resteranno tali.
La classe muta
Questo sottoproletariato urbano non viene ascoltato. Mentre nella Bay Area ha la possibilità di parlare tramite giornali come lo storico Street Sheet di San Francisco, in Italia viene schiacciato dai dati statistici e utilizzato talvolta come strumento politico. Si parla ad esempio di sottoproletariato a proposito di immigrazione: in quest’ottica, soprattutto in molta narrazione giornalistica o degli esponenti dell’estrema destra, i senzatetto diventano i poveri italiani che vivono il sopruso del presunto benessere degli immigrati oppure gli emarginati che non devono mischiarsi alla società poiché parte dello schifo. Di fronte al disinteresse pubblico e alla continua emarginazione, la classe dimenticata diventa anche muta.
*Bruno Walter Renato Toscano è laureando del corso Scienze Storiche e Orientalistiche presso l’Università degli Studi di Bologna, e membro della redazione del blog C’era una volta l’America, curata dal Centro Interuniversitario di Storia e Politica Euroamericana (Cispea).
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