«Siamo plurinazionali e con le dissidenze sessuali»
All’Encuentro de Mujeres argentino duecentomila donne hanno costruito un’agenda politica comune. Dopo trentaquattro anni l’evento compie un salto storico
Si è appena concluso il più grande Encuentro Nacional de Mujeres, appuntamento che da trentaquattro anni, a metà ottobre, in Argentina convoca le donne per tre giorni di dibattiti, seminari, laboratori. L’incontro serve a tessere legami, scambiare esperienze e analisi, costruire un’agenda politica comune, cospirare insieme per transformarlo todo, trasformare la società intera, perché abbattere il patriarcato implica ripensare ogni ambito della vita collettiva.
Nato dall’iniziativa di un gruppo di donne state nel 1985 a Nairobi, alla conferenza delle Nazioni unite di chiusura del Decennio della donna, il primo incontro richiamò circa mille donne a Buenos Aires con il desiderio e la necessità di confrontarsi e organizzarsi per combattere le diseguaglianze di genere. A partire dal 2015, quando è esploso il movimento NiUnaMenos in Argentina, anche l’Encuentro è cresciuto esponenzialmente. Se le mobilitazioni dell’anno scorso per la legalizzazione dell’aborto si sono conquistate il nome di «marea verde», a partire dal colore del fazzoletto simbolo della Campagna per un Aborto Libero, Sicuro e Gratuito, la metafora continua nelle numerose e creative espressioni di quella che alcune chiamano la quarta ondata del movimento femminista: come un fiume in piena, corre rapido e sembra inarrestabile.
Duecentomila persone hanno invaso le strade de La Plata – città della provincia di Buenos Aires che ha ospitato l’incontro – raddoppiando i numeri degli ultimi anni nell’immensa manifestazione che ha concluso le giornate di dibattiti e tavoli tematici; ma la novità più grande di quest’anno è stata la modifica del nome di questo storico appuntamento che non ha eguali nel mondo, perché sia plurinazionale e includa le dissidenze sessuali.
Perché cambiare il nome?
Quello femminista è tutt’altro che un movimento omogeneo, e non si muove in maniera lineare, però di sicuro sta mostrando una gran rapidità nell’appropriarsi dei dibattiti storici per avanzare verso nuove sfide, recuperare e rinnovare le forme di lotta, ampliare il terreno delle alleanze. Dentro alla battaglia per cambiare nome si misurava se l’Encuentro sarebbe stato all’altezza di un movimento che in America Latina si incarica di sconfiggere il patriarcato insieme al capitalismo, perché riconosce il legame intrinseco tra i due modelli, e dei due con il colonialismo, passato e presente.
Ecco perché, già a partire da un paio d’anni, nell’incontro delle donne si problematizza quell’aggettivo «nazionale» che stride con l’essenza internazionalista dei femminismi che da decenni tessono reti in tutta l’Abya Yala – l’America con il suo nome originario, prima della conquista spagnola. Il passaggio da «incontro nazionale delle donne» a «incontro plurinazionale delle donne, lesbiche, transessuali, travestite, bisessuali e non binarie» è diventato l’asse di un vero e proprio conflitto interno che ha portato allo scontro fin dentro la commissione organizzatrice dell’incontro.
Sebbene a questo appuntamento annuale abbiano sempre partecipato rappresentanti dei numerosi popoli indigeni che abitano tutta l’America Latina, la voce, le istanze, il sapere delle donne originarie è stato storicamente messo in ombra da un femminismo bianco e urbano, che si rivendica argentino guardando al mondo occidentale, e tende a dimenticare le proprie radici, le conoscenze ancestrali, e la storia della propria terra. Proprio quella storia e quelle radici che portano le donne indigene a difendere il loro territorio oggi, contro le grandi imprese transnazionali che deforestano e depredano, contro l’estrattivismo, i megaprogetti idroelettrici e le piantagioni di monocolture che distruggono la biodiversità. Rivendicare un Encuentro plurinazionale significa insomma mettere in discussione un modello di sviluppo che, in maniera sempre più evidente, il pianeta non può sostenere; significa denunciare il ruolo degli stati nazionali nel riprodurlo, significa ascoltare il reclamo e la proposta delle sorelle indigene, da sempre guardiane della terra, a difesa dell’acqua, della natura, della vita.
«In Guatemala è un cammino che abbiamo già fatto, siamo plurali e diverse, non c’è bisogno che ce lo riconoscano – spiega Lolita Chavez, portavoce del Consiglio dei Popoli Ki’che – ascoltare la montagna e il fiume, sentirne l’energia, connettersi con le antenate, con la luna, vivere in comunità, sono tutte espressioni di un potere collettivo, femminista e popolare, sono potere emancipatore. Sosteniamoci nel credere in noi stesse, per dire all’umanità che la nostra è una proposta di vita, in cui tutti i modelli di vita, tutti i femminismi trovino spazio».
La questione del genere
«Plurinacional, y con las disidencias» è stato uno degli slogan più gridati durante questo ultimo incontro e uno dei nodi centrali nei discorsi pronunciati da numerose referenti politiche e leader femministe invitate da tutta l’America Latina. «Ciò che non si nomina non esiste», hanno ripetuto in tante, e lo sanno bene le attiviste lesbiche, trans, travestite, che da anni danno battaglia in Argentina per uscire dall’indifferenza, per denunciare la stigmatizzazione e la violenza estrema di cui continuano a soffrire, per approfondire il dibattito sulle identità sessuali e di genere. È il secondo anno in cui si realizza un corteo contro i travesticidi e i transfemminicidi all’interno dell’Encuentro e le migliaia di partecipanti sono la prova tangibile che la lotta delle trans e travestite è la stessa lotta del femminismo, «perché soffriamo la stessa oppressione, e camminiamo fianco a fianco per impedire che continuino ad ammazzarci, per ottenere uguaglianza di condizioni sociali e lavorative, perché ci siano garantiti diritti fondamentali come quello a decidere sui nostri corpi», afferma Alma Fernandez, attivista travestita che conclude sempre i suoi interventi con il grido «Furia travesti!».
Anche nel centinaio di tavoli tematici che si sono tenuti tra sabato e domenica si è affermata la presenza delle dissidenze. Nonostante il rifiuto della parte più conservatrice della commissione che ha organizzato l’incontro, per la prima volta si riuniranno gruppi che affrontano i temi dell’intersessualità, delle identità non binarie, della mascolinità trans. Sebbene il movimento delle dissidenze in Argentina si sia sviluppato già a partire dagli anni Novanta, con la storica referente Lohana Berkins, la battaglia per l’inclusione dentro l’Encuentro è più che mai attuale, e si vede nell’emozione delle partecipanti che per la prima volta hanno ottenuto uno spazio proprio di discussione dove ritrovarsi e riconoscersi, ascoltarsi e costruire nuovi legami politici. «L’intersessualità è considerata un tabù – spiega Valeria Silva, attivista mapuche intersex – Molto spesso le persone intersessuali scoprono di esserlo da adulte, molte subiscono interventi chirurgici nei primi anni di vita, di cui anche i familiari ricevono poche informazioni, e che mirano a correggere genitali che non rientrano nello schema binario maschio-femmina, e che in realtà sono mutilazioni. Oggi sono profondamente commossa perché qui ritrovo compagne con cui non mi riunivo da tempo e si sono avvicinate nuove persone intersessuali che rivendicano il proprio corpo così com’è; né la realtà né la natura sono binarie».
Il femminismo in agenda
L’Encuentro è uno spazio di interscambio da sempre capace di ospitare un’ampia diversità di iniziative, che con gli anni si sono moltiplicate e che lo trasformano in un enorme festival con performance, teatro, musica, bancarelle e cibo di strada, uno spazio che ciascuna attraversa a suo modo, incrociando un dibattito dal palco e un tavolo tematico con il racconto della storia personale della vicina di tenda o il condividere un bicchiere di vino. Molte arrivano con le bandiere delle proprie organizzazioni sociali, altre con un gruppetto di amiche, e tanti sono gli abbracci e i sorrisi degli incontri fatti per caso in una piazza, o durante il corteo. L’Encuentro aiuta anche a dare voce e collegare le lotte delle donne in diversi luoghi del mondo, tessendo alleanze e solidarietà. Un canto che si è diffuso lungo le tre giornate di attività diceva: «Plurinacional, desde el Abya Yala hasta Kurdistan», accompagnando la resistenza delle donne e del popolo curdo in Rojava, contro l’attacco del governo di Erdogan. Allo stesso modo si è festeggiata la vittoria del popolo ecuadoriano, che dopo dodici giorni di furiosa protesta nelle strade di Quito e di tutto il paese ha ottenuto la deroga del paquetazo, un pacchetto di misure che avrebbe fatto salire alle stelle il prezzo della benzina e di tutti i beni di prima necessità. Nell’incontro c’è stato spazio per la denuncia dello sterminio della popolazione nera in Brasile, per la testimonianza della violenza che subiscono le donne haitiane, per la richiesta di giustizia per il massacro delle 56 bambine bruciate vive in Guatemala nel 2017, per la memoria delle compagne uccise a causa della loro militanza come Berta Cáceres, Macarena Valdés, Marielle Franco.
Queste narrazioni, tessute insieme, formano il terreno comune su cui camminano insieme le donne femministe, le lesbiche, le transessuali, travestite, bisessuali, intersessuali e non binarie, e in cui si incontrano le migranti, le afro-discendenti, le lavoratrici, le donne dei quartieri popolari, delle favelas, le dissidenti e le ribelli. Si tratta di una narrativa contro-egemonica e potente, che si gesta nelle piazze, nella voce collettiva che si converte in canto e slogan, e che è diventata fiume di duecentomila corpi mentre, ironicamente, si svolgeva il confronto televisivo tra i sei candidati a presidente dell’Argentina, paese che andrà alle urne il prossimo 27 ottobre. Sei candidati uomini, che quasi non hanno fatto cenno a quel che succedeva nello stesso istante a La Plata, e che tuttavia non hanno potuto evitare di posizionarsi su un tema come quello del diritto all’aborto, che il movimento femminista argentino ha imposto a partire dall’anno scorso nell’agenda governativa, prima e durante il dibattito parlamentare, e che continua a essere una delle campagne più forti nelle rivendicazioni delle argentine, che anche nell’Encuentro hanno alzato i fazzoletti verdi tutte insieme a costruire l’immagine del pañuelazo ormai famosa a livello internazionale.
Un Encuentro storico
L’apertura dell’Encuentro è sempre un momento emozionante, il primo raduno di tutte le persone che viaggiano dalle diverse latitudini dell’Argentina e di altri paesi latinoamericani, in cui è possibile osservare la moltitudine e cominciare a sentire circolare quell’energia particolare che abiterà le tre giornate di attività: «Qualcosa cambia in ciascuna donna che partecipa» è una delle frasi più note che descrivono la mistica di questo appuntamento.
Quest’anno le partecipanti sono state accolte da una pioggia torrenziale che comunque non ha impedito alla maggioranza di viaggiare per raggiungere La Plata. Le condizioni atmosferiche hanno però condotto la commissione organizzatrice ad annullare l’atto di inizio dell’incontro, mentre la campagna SomosPlurinacional, che da mesi preparava le condizioni per poter dibattere il cambio di nome proprio in quel momento assembleare, ha scelto di leggere comunque il suo comunicato di apertura davanti a un gruppo di intrepide che, tra mantelli per la pioggia e ombrelli, hanno risposto con determinazione alla sfida, facendo ironia sullo scenario epico ed eroico che caratterizza tutte le battaglie importanti. Nella plenaria conclusiva, quando ormai anche la pioggia si era arresa alla forza e alla magia dell’Encuentro, quattro rappresentanti della campagna sono riuscite a salire sul palco, nonostante il boicottaggio della parte storica e conservatrice che mantiene le redini dell’organizzazione, per dichiararlo finalmente plurinazionale, insieme alle dissidenze sessuali. Si tratta di una rivendicazione che aveva cominciato a circolare già nel 2017 in Chaco e poi l’anno scorso nel sud argentino, a Trelew, ma solo quest’anno si è raggiunto l’obiettivo, e questo segna un passaggio storico, e lancia un messaggio di forza e allegria rivolto ai femminismi di tutto il mondo.
* Susanna De Guio, dall’editoria approda alla sociologia della comunicazione, collabora con media alternativi e indipendenti in Argentina, dove risiede. Attualmente studia arti audiovisive a Buenos Aires ed è redattrice del blog Lamericalatina.net.
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