
Tenet, tra merce e arte
Nel nuovo film di Cristopher Nolan il nucleo teorico che regge la storia soppianta la successione dei fatti. Da qui viene fuori la tragedia della quasi impossibilità dell'arte contemporanea
È sempre difficile parlare di un film senza incorrere nel temutissimo spoiler. Ancora più difficile nel caso di un’opera complessa come l’ultimo film-evento di Cristopher Nolan, Tenet. Si può provare però a fornire alcune informazioni sugli elementi fondamentali della trama, i pochi che risultano chiari già all’inizio della visione, svelando poco del succedersi degli eventi. Perché Tenet è complicato nello svolgimento, ma i principi attorno a cui ruota (ruota letteralmente, come vedremo) sono espliciti.
Si tratta fondamentalmente di un film di guerra. Una guerra la cui posta in gioco non è lo spazio: la posta in gioco è il tempo, e il tempo è anche il mezzo utilizzato per attaccare e difendersi. Il tempo è quindi sia mezzo che fine, arma e terreno del conflitto, apparenza della battaglia e sostanza di ciò che impegna e avvolge i protagonisti, forma e contenuto, soggetto e oggetto dell’azione.
Il nucleo narrativo è questo: il futuro lancia un attacco al presente. I futuri abitanti della terra attaccano gli abitanti presenti («noi») per salvare il mondo dalla distruzione a cui lo stiamo portando. L’unica possibile salvezza per il pianeta e i suoi futuri abitanti è quella di regredire al nostro presente, occuparlo (come nella guerra si occupano i territori) e distruggerlo, affinché nasca un nuovo mondo in cui sia il futuro a guidare il presente, salvando il pianeta dalla distruzione.
Lo strumento, l’arma di questo è attacco da parte del futuro, è la possibilità di inserire nel presente oggetti temporalmente invertiti, che applicati al tempo lo facciano scorrere al contrario. Disseminata nel film è, per esempio, la scena di proiettili che invece di essere sparati rientrano nelle armi da fuoco. L’Armageddon, il momento finale di inversione totale dello scorrere del tempo sulla Terra, potrà arrivare solo se gli invisibili aggressori del futuro riusciranno a ricomporre tutti i nove elementi che costituiscono l’Algoritmo, il dispositivo inventato da una scienziata (sulla base di teoremi matematici reali come la teoria della causalità inversa di Feynmanr), che, diventata consapevole dei suoi rischi, l’ha scomposto nascondendone i nove componenti in nove posti diversi. Il cattivo del film (Sator, agente russo per conto del futuro) ha il compito di riunificarli e portare a compimento l’attacco e l’occupazione del presente.
A contrastare l’attacco temporale del futuro contro il presente c’è un’organizzazione segreta chiamata Tenet, guidata dall’eroe individuale che da solo contrasta il pericolo mortale che minaccia pianeta e umanità: lui è il Protagonista, com’è chiamato nel film. Tenet e il Protagonista tentano di resistere all’assalto nemico usando la tattica militare della manovra a tenaglia, applicata al tempo invece che allo spazio: intervenendo quindi sia sul tempo lineare che su quello invertito che va dal futuro al passato. La difficoltà di comprendere il film è tutta qui, nel seguire il flusso di scene (affascinanti) in cui i diversi sé stessi e le stesse azioni si incrociano, co-presenti su diversi piani temporali.
La parola Tenet significa «principio su cui si basa una teoria o un sistema di pensiero». Qui Nolan allude a uno scontro tra razionalità (le teorie classiche del mondo «normale») e crisi delle basi di questa razionalità. Allude così alla famosa e secolare «crisi dei fondamenti scientifici», che da un secolo colpisce la scienza, la fisica, la matematica, la letteratura, la politica, l’ideologia, tutto. Ma Tenet è anche una delle parole che formano il quadrato del Sator, un’iscrizione ricorrente nel Medioevo contenente una frase palindroma che si può leggere sia da destra che da sinistra: «Sator Arepo Tenet Opera Rotas». In questo quadrato, la parola Tenet è centrale e palindroma sia in orizzontale sia in verticale. Ciò significa che, come nel quadrato, nel film di Nolan tutto può essere letto in un senso o anche nel suo opposto, e alcuni eventi compaiono infatti diverse volte con significati diversi.
Detto degli assi fondamentali di sviluppo della trama (che è prima di tutto lo sviluppo di un concetto, quello della reversibilità del tempo e dei rapporti causa-effetto), come valutare questo film?
Tenet è un film straordinario, come straordinario è il cinema di Nolan. Un film eccezionale e irripetibile.
Perché è un film che non ha paura di parlare delle cose ultime, degli elementi fondamentali dell’esperienza umana, e di farne il centro della propria narrazione. Una narrazione puramente concettuale in cui il nucleo teorico soppianta la successione dei fatti (la «Trama»), fino ad avvolgerla e farne puro strumento. Un tipo di cinema in cui lo sguardo si spinge ossessivamente a cercare Altro, altro rispetto all’esperienza quotidiana, alle coordinate di cui è composta, al modo abituale di guardare lo spazio, il tempo, i loro intrecci, gli intrecci tra le persone e il loro rapporto col mondo.
Un grandissimo cinema, perché il suo oggetto è il mondo come totalità. Un mondo che non è solo il mondo, ma è un mondo-universo che ospita logiche non logiche che – ci dice la fisica teorica da oltre un secolo – è plausibile che informino il nostro universo e quindi (anche se non visibili) il nostro stesso mondo: logiche sistemiche e trascendenti come la mutevolezza, non linearità e reversibilità dello spazio-tempo, l’inversione dei rapporti causa effetto e il loro sbiadimento fino alla loro imperscrutabilità o assenza, i «molti mondi» della fisica quantistica (quello di Nolan può essere definito un «cinema quantistico»), gli universi paralleli che possono intrecciarsi tra loro, mondi e universi in cui si incontrano sé stessi paralleli, che in realtà formano un unico sé sempre composto da molti sé incrociati, come in fondo è anche per la psicoanalisi (sarebbe interessante provare a fare una comparazione, un giorno, tra le teorie fisiche contemporanee sulla natura dell’universo, e le teorie psicoanalitiche sulla natura dell’inconscio: spesso ci sono analogie impressionanti, e Nolan parla di questo).
Se questi sono i temi di Tenet e del cinema di Nolan – i temi della sua ossessione artistica, tanto che si può dire che Nolan abbia fatto quasi sempre lo stesso film, come i grandi scrittori che scrivono sempre lo stesso romanzo con trame diverse, o addirittura ne scrivono uno solo che li racchiude tutti, come Musil e Proust – allora si può dire che questo è un cinema filosofico. Filosofico perché i temi su cui si incentra sono gli stessi eterni della filosofia, e in particolare sono il tema eterno della filosofia: quello del rapporto tra fenomeno ed essenza, tra «le cose» e la sostanza, tra l’apparenza e la realtà, dove la realtà non è quella empirica ma quella sostanziale, quella che comprende ciò che si vede e ciò che non si vede, ciò che si tocca e ciò che non si tocca, ciò che viene adesso, ciò che viene dopo, ciò che viene prima e ciò che è «così da sempre». In questo film e nel cinema del suo autore, il «fenomeno» sono lo scorrere abituale del tempo e i meccanismi consueti della comprensione razionale; l’essenza è invece l’invasione di questo mondo da parte della logica quantistica e delle logiche che, secondo la fisica teorica, presumibilmente informano la natura dell’universo.
Come valutare in definitiva, quindi, questo film? Tenet è un pessimo film, inutile e fastidioso. È un noioso film di guerra lungo due ore e mezza. Un film in cui tutto, dall’inizio alla fine, è solo azione, pura Tecnica del montaggio, un po’ thriller un po’ spy story, un film in cui qualsiasi elemento di cinema autoriale è scardinato dalla natura spettacolare e commerciale della rappresentazione. È un film d’azione che non riesce nemmeno a coinvolgere, perché l’azione è lenta e spesso incomprensibile. È un pessimo film anche perché è sostanzialmente privo di personaggi, dal momento che i protagonisti, e soprattutto il Protagonista, sono stereotipati, monolitici, a volte ridicoli nella loro ingiustificata onnipotenza (il Protagonista capisce tutto, uccide tutti, da solo, spesso a mani nude, raggira tutti, interviene tranquillamente in ogni dimensione temporale, impara in pochi minuti a invertire la freccia del tempo e agire nel tempo invertito; non ha facce, non ha espressioni, non dice parole, non dialoga, non motiva, ha sempre un sorrisetto in faccia mentre fa qualsiasi cosa, anche la più cruenta e difficile).
Stereotipate sono anche le contrapposizioni: l’eroe è americano e buono (ammesso che provi qualcosa), il cattivo è russo (classicamente cattivo e classicamente russo), come in Rocky Balboa. Il film parla delle possibili evoluzioni della Tecnica (un Algoritmo in grado di invertire il tempo), ma questa tecnica arriva dal nulla, non ha né padri né madri. Non c’è un potere che la incarna, la dirige e la utilizza, come nel mondo reale. Non c’è il potere, il potere non esiste, come in generale non esiste nel cinema di Nolan. E la questione delle questioni (la distruzione ambientale del pianeta), che pure è il centro tematico del film, è toccata in modo velocissimo e impressionistico, quasi da fumetto per le scuole medie: «gli oceani si sono alzati e i fiumi si sono seccati», questa è l’unica frase del film dedicata al tema.
Non c’è, nel film, nemmeno soggettività, non c’è il suo sviluppo. I protagonisti vivono un’esperienza impensabile ma non si evolvono, questa esperienza non li apre a niente, non apprendono, non gli si aprono né le «porte della percezione» né nuove visioni del mondo. Tutto del loro impegno è solo un tributo alla sopravvivenza, come avviene nell’attuale pandemia e nella sua gestione politica. Tutto nel film succede perché un nuovo mondo precipiti sul vecchio per salvarlo: ma questo nuovo mondo non allude a niente, non apre a una nuova umanità, né a una sua possibilità. Paradossalmente, pur essendo un film sul tempo, Tenet è un film in cui non c’è Storia.
Manca quindi un punto di vista dell’autore sulla materia narrata. Questo film è Tecnica. Arte del Montaggio, arte riassunta nel montaggio non lineare e suppostamente spettacolare. È un film a tesi in cui manca la tesi. Scopriamo, guardando Tenet, che forse il tempo non è né lineare né irreversibile. Ma non l’avevamo già scoperto mille volte? Al cinema, forse, ce l’aveva detto perfino meglio Ritorno al Futuro.
Alla fine, senza svelare niente del finale, si ha la sensazione in Tenet di un falso movimento, di una circolarità vichiana in cui in fondo non accade davvero niente, e in cui i meccanismi più complessi del mondo e dell’universo (replicati dalla Tecnica e nella Tecnica) siano messi al servizio della semplice riproduzione del mondo così com’è.
Quindi Tenet è un film straordinario o deludente? Tutte e due le cose. Come fossero i due poli di una coppia dialettica, il film è composto da due anime, da due principi, talmente intrecciati da non toccarsi nemmeno. È chiaro il patto Faustiano di Nolan con la macchina commerciale delle major cinematografiche, che sostituisce la sua macchina da presa: per realizzare il suo cinema concettuale e avere le risorse necessarie a realizzarlo, il Regista (che è anche il Protagonista) avvolge i suoi nuclei tematici originali nella pura azione, cercando di incorporare l’originalità (a volte la genialità) del suo sguardo in una trama esteriormente spettacolare. Nolan cerca insomma di unificare merce e arte. Ma in Tenet (al contrario di quanto avviene, per esempio, nel suo Interstellar), la merce mangia l’arte e ne lascia trasparire ben poco. Ognuno dei due poli dialettici resta compromesso, perché anche il lato della merce e dello spettacolo risulta logorato da una narrazione noiosa e poco comprensibile. Queste caratteristiche di un prodotto artistico – la difficoltà e la non immediata comprensibilità – sono sopportabili e feconde se il polo dell’arte non viene inglobato dal polo della fruibilità commerciale. In questo film invece l’elemento concettuale, artistico e straniante appare impeccabile ma sterile, esercizio comprensibile quasi soltanto al suo autore, privo di un punto di vista che si ponga alla stessa altezza del suo oggetto, e forzato nelle forme di uno spettacolo che nemmeno attiva lo spettatore.
In definitiva Tenet è una tragedia: una tragedia su sé stesso, sul cinema del suo autore e sull’arte contemporanea. Probabilmente ciò che di questo film è da salvare supera ciò che è da criticare (avercene di tentativi artistici che abbiano ambizioni di questo livello e le veicolino a un pubblico così ampio: avercene anche di autori con questo coraggio faustiano, che vendono l’anima per fare questo, visto che molti, nelle diverse arti, la vendono per molto meno). Ma ciò che è messo in scena è la quasi-impossibilità dell’arte contemporanea, il suo essere quasi interamente ricompresa nei confini della tecnica, dello spettacolo e della merce, e il suo restarne confinata anche quando si pone a un’altezza come quella che Nolan cerca di imporle.
D’altra parte, questa compresenza contraddittoria tra merce e sviluppo della soggettività umana è il capitalismo stesso, come Marx ha spiegato per primo. E più il capitalismo avanza e si sviluppa, più questa compresenza di «massimo e minimo», di «vetta e scoglio», di astrazione e azione, di senso e merce, diventa evidente e diffusa.
Per questo Tenet parla involontariamente del tempo che stiamo vivendo. Perché il capitalismo allo stesso tempo sviluppa, come nessuna formazione sociale precedente, le facoltà umane (come quelle artistiche, o quelle che consentono di osservare e comprendere la natura fisica e le sue molteplici manifestazioni e implicazioni), e le nega, le amputa, le limita, le ottunde. Le sviluppa limitandole ad alcuni e limitandole ad alcune, escludendone altre. Risultando quindi continuamente, perennemente contraddittorio, ma basato su contraddizioni sempre più estreme e complesse, che lasciano comunque aperti i propri esiti ultimi. Come Tenet e il cinema di Nolan, che per questa ragione vale comunque la pena di guardare, e anche un po’ di perdercisi, per vedere se e cosa ci si ritrova di sé, del nostro tempo e del nostro «destino».
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.