
Tinder vuole il denaro. Noi vogliamo l’amore
Le app di incontri stanno diventando un elemento sempre più rilevante nelle nostre vite: non dovrebbero essere in mano ad aziende a scopo di lucro che non devono rendere conto a nessuno
Ultimamente penso spesso alle app di incontri perché, come milioni di americani, anche io mi ci sono iscritto. So che molte persone odiano «le app». Se devo essere sincero, a me non dispiacciono. Rimuovono una buona parte dello stress di incontrare nuova gente o chiedere a qualcuno di uscire. Ma più uso queste app più tutta l’esperienza mi sembra strana.
Per prima cosa, una parte sostanziale dei match che mi vengono suggeriti non ha veramente senso. Mi aspetterei che ormai l’algoritmo abbia raggiunto il punto in cui le app possano prevedere le mie preferenze abbastanza bene. Quindi anche se sono una persona con la mente piuttosto aperta, mi trovo a chiedermi perché a me, un socialista democratico dai mezzi modesti e fiducioso che sarà la classe operaia internazionale a liberare l’umanità, vengano mostrati regolarmente i profili di venture capitalist e alla Wall Street.
Mi sono anche accorto che a volte il mio uso delle app sembra stranamente rimosso dall’obiettivo effettivo di incontrare gente. Apro le app solo perché la notifica push mi ha informato che ci sono dei nuovi match consigliati, o perché «c’è un picco dell’ora di punta»; quasi subito l’interfaccia fluida e scorrevole mi invita a esaminare e mettere «mi piace» ai profili. Non molto dopo, delle icone colorate e accattivanti mi persuadono gentilmente a spendere pochi dollari extra per ottenere più match o per far vedere il mio profilo a più persone.
Prima che me ne accorga, trovo che mi sono arreso alla piatta compulsione di relazioni algoritmiche – anche se non sono veramente interessato a messaggiare con qualcuno o andare a un appuntamento nel mio immediato futuro. Tutto questo mi ha dato da pensare: a cosa servono veramente queste app? So qual è la loro presunta funzione per utenti come me, ma ciò che importa ai possessori delle app non è certo procurare ai propri user dei buoni appuntamenti. A loro importa far soldi a nostre spese.
Considerando che approssimativamente un americano su cinque ha usato un servizio per appuntamenti online nel 2021, e che c’è almeno uno studio che dimostra che ormai è questa la modalità di incontro più popolare fra le coppie eterosessuali, non c’è stata penuria di attenzioni per le questioni sociali e morali sollevate dagli incontri online. Ma poco si è detto su una specifica implicazione portata dalla crescita di siti e applicazioni di incontri: il grande potere di gestire il modo in cui incontriamo potenziali partner sessuali o romantici che è stato messo in mano a aziende a scopo di lucro e fuori controllo.
C’è un modo per separare consapevolmente le nostre vite sentimentali dalla tirannia del profitto: con delle app di proprietà pubblica che renderebbero il nostro modo di incontrare la gente online più democratico.
I soldi vengono prima
Tutti coloro che hanno usato un’app di incontri per almeno un minuto – e molti di coloro che non le hanno usate – nutrono probabilmente degli scrupoli su di esse.
Una preoccupazione, che non riguarda certo solo le app di incontri, si concentra sul modo in cui queste app raccolgono e usano i nostri dati. A partire da quello che pubblichiamo sui nostri profili fino alle nostre abitudini nel fare swipe ai dati della geolocalizzazione, i proprietari di app come Tinder e Hinge raccolgono montagne di dati preziosi sui propri user, che servono a rifinire le app ma vengono anche venduti a imprese terze. Avendo già accumulato così tante informazioni dagli utenti di internet, le aziende hanno effettivamente bisogno di raccogliere quantità di dati relativamente piccole per prevedere accuratamente molti dettagli delle vite dei loro user (mettendo da parte i miei match nella finanza).
Gli utenti, ovviamente, hanno pochissimo potere decisionale su se e come le aziende usano i loro dati – si tratta semplicemente del «prezzo di ammissione» per usare le app. Questo ovviamente solleva questioni importanti sulla privacy: è nel nostro interesse impedire che anonimi sconosciuti possano accedere ai dettagli più personali delle nostre vite, e la gente potrebbe comprensibilmente preoccuparsi che queste informazioni vengano diffuse.
In effetti, la diffusione pubblica di dati degli utenti di app di incontri non è così rara come gli user vorrebbero sperare. La fuga di informazioni forse più famosa ha coinvolto gli utenti di Ashley Madison, un sito web per persone sposate che cercano relazioni extraconiugali: sulla scia della violazione dei dati per cui l’intera base di clientela è stata hackerata (con la pubblicazione di nomi e indirizzi), due utenti si sono suicidati. E questo senza contare il modo in cui le aziende di queste app passano regolarmente informazioni personali delicate agli inserzionisti, violando potenzialmente persino le leggi sulla privacy.
In aggiunta, il fatto che le imprese generino un profitto generoso dai dati dei propri user senza alcun compenso per loro odora di sfruttamento. Dopotutto, se è il mio uso dell’app a generare i dati e quindi i profitti per l’azienda, non ho anche io diritto a una parte del valore che io ho creato?
Per amore o per denaro
Problemi simili sono sollevati dalla maggior parte delle piattaforme e dei servizi online. Le app di incontri, però, danno vita a preoccupazioni speciali.
Alcune app permettono agli utenti di filtrare i profili che vedono o con cui potrebbero formare un match secondo la razza o l’etnia. Comprensibilmente, alcune persone hanno osservato come questa funzione esasperi o promuova il pregiudizio razziale, e che quindi le app debbano rimuoverla. Alcune lo hanno fatto. Ma anche senza permettere agli user di escludere i match su basi razziali, le preferenze individuali rendono difficile progettare algoritmi di incontri che siano socialmente corretti. Poiché molte persone hanno delle preferenze sulla razza o l’etnia dei loro potenziali partner, i progettisti delle app devono decidere come gestirle. È giusto accontentare le preferenze razziali? Dovrebbero cercare di ignorarle o persino scavalcarle?
Nel 2016, è stato scoperto che l’app Coffee Meets Bagel aveva usato un metodo particolarmente arbitrario, suggerendo match esclusivamente della stessa razza e etnia degli utenti anche quando questi non avevano indicato alcuna preferenza di questo tipo. Il co-fondatore dell’app Dawoon Kang ha opportunamente spiegato ai tempi a Buzzfeed News che anche se un utente diceva di non avere una preferenza, probabilmente preferiva in effetti frequentare persone della stessa razza o etnia.
Potremmo farci domande simili sulle dinamiche di classe o su come gestire le disuguaglianze di genere nell’uso e nella frequenza di match/mi piace. Non fingerò di sapere come le app di incontri debbano rispondere a queste domande. Ma mi sembra strano che la questione delle conseguenze per la giustizia sociale del mondo degli incontri online debba essere lasciata nelle mani dei master in Gestione delle Imprese della Silicon Valley – la cui motivazione essenziale è ovviamente il profitto. Sarebbe molto meglio lasciare alla pubblica e democratica deliberazione questioni come la gestione del pregiudizio o della discriminazione nelle app di incontri.
Attraverso forum di discussione online o incontri dal vivo, gli utenti delle app potrebbero ragionare sui pericoli e i benefici potenziali legati a certi filtri di preferenza, o su come gli algoritmi dovrebbero rispondere a user che prediligono in modo sproporzionato i membri di certi gruppi di minoranze. Si potrebbe arrivare a un consenso oppure votare sul modo migliore di andare avanti.
Interessi incompatibili
Alcuni ricercatori e teorici hanno osservato che le app di incontri alimentano la mercificazione delle relazioni e della vita sentimentale, o promuovono alcuni tipi di auto-alienazione. Il filosofo Axel Honneth, per esempio, suggerisce che gli incontri online potrebbero incoraggiare gli utenti ad adottare una posizione artificiale nei confronti della propria vita mentale:
Non serve un’immaginazione fiorita per figurarsi come [le app di incontri online] siano capaci di promuovere una forma di relazione con il sé in cui il soggetto smette di articolare i propri desideri e intenzioni in un incontro individuale, ma è costretto invece a raccoglierli e promuoverli secondo gli standard dell’acquisizione accelerata delle informazioni.
Considerando gli aspetti seri e potenzialmente dannosi di queste app, non dovremmo permettere che siano i dirigenti di aziende di incontri a scopo di lucro a decidere come affrontare queste implicazioni.
Il fatto che queste aziende siano sostanzialmente motivate dal guadagno ci porta al problema fondamentale con le app di incontri: ci sono pochissimi motivi per aspettarsi che gli interessi dei proprietari delle app si allineino con quelli dei loro utenti.
Ciò che importa ai proprietari è che gli user continuino a usare l’app, che può così mostrare loro più pubblicità e convincerli a comprare funzionalità o abbonamenti premium. Probabilmente non è una coincidenza che Tinder, come altre app, somiglia per molti aspetti a una moderna slot machine. La sua meccanica e i suoi segnali visivi e uditivi sono progettati per fare in modo che l’utente continui a giocare anche in assenza di un reale risultato.
Il problema fondamentale qui non è solo che le app sono incapaci di far incontrare gli user con partner a lungo termine. Molte persone non usano le app per trovare partner a lungo termine, e alcune app sono progettate per una frequentazione senza impegno o incontri occasionali. E il problema non è nemmeno che alcune app sono particolarmente fastidiose da usare (anche se a molti utenti piace lamentarsi perché le app sono terribili). Il problema più elementare è che i termini secondo cui conosciamo i nostri partner, seri o non, sono sempre più dettati arbitrariamente e in modo equivoco da attori aziendali la cui motivazione è molto diversa da quella degli utenti. Noi vogliamo l’amore, loro vogliono il denaro.
Uniamoci
Non vogliamo tutti capire come viene manipolato questo aspetto cruciale della nostra esperienza? E non dovremmo avere voce in capitolo su come viene modellato? Se anche voi la pensate così, dovremmo lottare per la socializzazione delle app di incontri: portarle sotto una gestione collettiva e democratica.
Che aspetto potrebbe avere? Non significa necessariamente stabilire un Servizio Nazionale di Incontri gestito dal governo o portare Tinder sotto il controllo dello stato. Lo studioso di piattaforme digitali James Muldoon sostiene che molte piattaforme digitali dovrebbero essere democratizzate e liberate dallo scopo del profitto, ma che l’aspetto di questo «socialismo delle piattaforme» varierà da una piattaforma all’altra.
Si potrebbero democratizzare gli incontri attraverso la creazione di cooperative di incontri online, in cui utenti e lavoratori potrebbero possedere e controllare collettivamente le proprie piattaforme. Questo approccio permetterebbe agli user di riprendersi il controllo da investitori e amministratori delegati sregolati, preservando allo stesso tempo la diversità dell’ecosistema delle app di incontri e evitando burocrazia inutile.
Gli utenti e gli sviluppatori delle app potrebbero diventare co-proprietari delle app, e la porzione di proprietà di ognuno potrebbe essere pesata in base, per esempio, alla quantità di tempo in cui la persona è stata utente o programmatore. Queste azioni permetterebbero agli utenti di votare con un certo peso nelle decisioni sulle funzioni e la gestione delle app. Ciò includerebbe scelte importanti, su che tipo di informazioni gli user offrono nei propri profili, per esempio, e come l’algoritmo affronta preferenze eticamente insidiose. Gli utenti potrebbero deliberare collettivamente sugli impatti possibili delle diverse opzioni, da una prospettiva di giustizia sociale ma anche tutelando il benessere degli utenti stessi.
Ogni utente-proprietario potrebbe pagare una tassa di iscrizione per finanziare l’applicazione e pagare i suoi dipendenti; gli user e i programmatori potrebbero decidere in modo democratico l’importo di questa tassa, non con l’obiettivo di massimizzare il profitto ma per fare un guadagno sufficiente per investire nella creazione della miglior esperienza di incontri possibile.
Liberate dall’imperativo di produrre valore per gli azionisti, le app gestite cooperativamente potrebbero eliminare gli abbonamenti premium o gli acquisti aggiuntivi (come pagare per potenziare la visibilità del tuo profilo o pagare per avere più «mi piace»), e le fastidiose pubblicità interne alle app. Le cooperative potrebbero anche instaurare politiche condivise e stabilite collettivamente riguardanti la privacy e la diffusione dei dati; non avrebbero più bisogno di sfruttare i dati degli utenti per venderli ad aziende terze.
Ma senza l’esca del profitto che attrae grandi investimenti, queste cooperative di incontri potrebbero avere difficoltà nel raccogliere abbastanza fondi dalle sole iscrizioni. Ecco dove lo stato avrebbe un ruolo importante da giocare: dovrebbe fornire fondi pubblici per lo sviluppo di app di incontri gestite cooperativamente.
L’idea non è così assurda come sembra: dopotutto, persino negli Stati uniti, i governi finanziano già molte istituzioni culturali a beneficio della qualità di vita dei cittadini: i musei, l’arte, la ricerca nelle materie umanistiche, i parchi pubblici, persino la vita notturna. Le app di incontri sono sempre più un aspetto importante dell’esperienza umana. Ha senso che il governo dedichi loro risorse pubbliche.
Di fatto, alcune nazioni già pagano per costruire i propri servizi di incontri. Il Ministro dello Sviluppo sociale e familiare di Singapore ha una pagina web dedicata ad aiutare le persone single a trovare dei partner; pubblicizza un portale di incontri gestito dal governo, agenzie di incontri ufficialmente riconosciute e un «Fondo per le imprese» che «supporta le idee e le iniziative in cui credete che creino opportunità per far incontrare i single».
Queste iniziative governative hanno comunque un secondo fine – cercano di invertire il declino repentino delle nascite. In ogni caso, questi programmi mostrano che non c’è nulla di particolarmente strano o nuovo nel finanziare pubblicamente la vita sentimentale.
Corey Robin scrisse una volta che «il senso del socialismo è convertire il tormento isterico in tristezza ordinaria». Questo vale anche per la socializzazione degli incontri online. Non eliminerebbe la frustrazione o la delusione che molte persone provano sulle app o in generale quando ci si frequenta. Ma potrebbe essere un passo avanti importante verso la costruzione di un’esperienza di incontri incentrata sulle persone e non sul profitto. A quel punto si potrebbe fare swipe non per creare ricchezza alla classe capitalista, ma per il semplice ed essenziale fine di trovare qualcuno con cui andare a un appuntamento.
*Nick French è assistant editor a JacobinMag, dal quale è tratto questo articolo. La traduzione è di Valentina Menicacci
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