
Tornare al lavoro equivale ad allargare il disastro
La gente ha bisogno di riprendere a vivere, ma una riapertura senza tutele sarebbe tragica. Lo dice Mike Davis, che spiega la catena di comando e racconta le scelte politiche che hanno amplificato il contagio negli Stati uniti
Mentre ci avviamo verso il quinto mese dall’esplosione del contagio, milioni di famiglie lavoratrici si sentono come se fossero state rapite e poi spedite all’inferno.
La disoccupazione (secondo le stime ufficiali) sale oltre il 30%, si stima che circa 20 milioni di persone precipiteranno senza sostegno al di sotto della soglia di povertà. In un recente sondaggio Pew, il 60% dei latinoamericani sostiene di aver perso il posto di lavoro o il salario, lo stesso accade a più della metà di tutti i lavoratori di età inferiore ai trent’anni. Oltre al lavoro, milioni di persone perderanno tutto ciò per cui hanno trascorso la vita lavorando: case, pensioni, copertura medica e risparmi.
Molti di noi hanno già vissuto un’anteprima brutale del collasso economico: la «Grande recessione» del 2008-2009. Nell’arco di diciotto mesi la maggioranza delle famiglie nere e latine ha perso tutta la sua ricchezza netta e i laureati provenienti da contesti non privilegiati si sono scoperti abbandonati, apparentemente per la vita, nell’economia dei servizi a basso salario. Ecco perché in così tanti milioni si sono ritrovati sotto le insegne del New Deal di Bernie Sanders. Ma la minaccia che ci attende è l’impoverimento di massa e la fame su una scala mai vista dal 1933.
Le persone hanno un disperato bisogno di tornare al lavoro e salvare ciò che possono della loro vita. Ma ascoltare il richiamo della sirena dei sostenitori del Make America Great Again, marionette le cui corde sono mosse da hedge fund e proprietari di casinò miliardari, per «riaprire l’economia» produrrebbe una tragedia.
Teniamo presenti questi punti.
- Inviare milioni di persone di nuovo al lavoro senza protezione o test sarebbe una condanna a morte per migliaia di esse. Trentaquattro milioni di lavoratori sono oltre i cinquantacinque anni di età; dieci milioni oltre i sessantacinque. Diversi milioni soffrono di diabete, problemi respiratori cronici e così via. Direttamente da casa al lavoro in terapia intensiva all’obitorio.
- Milioni dei nostri «lavoratori essenziali» affrontano rischi intollerabili a causa della carenza di dispositivi di protezione. Nella migliore delle ipotesi, ci vorranno settimane prima che ci sia una scorta adeguata per gli operatori sanitari. I lavoratori nei magazzini, nei mercati e nei fast food non hanno alcuna garanzia di ricevere alcuna mascherina, a meno che la legge non lo imponga. Se questa è una guerra, il rifiuto di Trump di usare le leggi esistenti per gestire a livello federale la fabbricazione di maschere e ventilatori è un crimine di guerra.
- La proposta di fare test sierologici e quindi rilasciare certificati di ritorno al lavoro a chi dimostra di aver sviluppato i giusti anticorpi al momento si basa su fantasie. Washington ha permesso a più di cento aziende diverse di vendere kit sierologici senza test su esseri umani o certificazione Fda [l’attestato conferito dall’amministrazione federale, Ndt]. I risultati che forniscono sono confusionari. Potrebbero essere necessarie settimane o più prima che gli operatori sanitari pubblici dispongano di una diagnostica affidabile da utilizzare. Anche a quel punto, ci vorranno mesi per testare la forza lavoro ed è dubbio che un numero sufficiente di persone disponga degli anticorpi per poter lavorare in sicurezza in tutte le attività adesso chiuse.
- L’ipotesi più eroica è che un vaccino potrebbe essere disponibile entro la primavera del 2021, sebbene nessuno sappia quanto durerà l’effetto dell’immunità. Nel frattempo, centinaia di gruppi di ricerca e aziende biotecnologiche più piccole stanno lavorando su medicinali che ridurranno il rischio di insufficienza respiratoria e gravi danni cardiaci o renali. Ma questo esperimento scientifico tentacolare è privo di un coordinamento e finanziamenti da Washington.
Blocco indefinito
In un certo senso, viviamo in un blocco indefinito, di fronte a un’amministrazione per cui viene prima la distruzione del servizio postale degli Stati uniti rispetto al programma intensivo per produrre test, attrezzature di sicurezza e farmaci antivirali per consentire al paese di tornare al lavoro.
I complici di Trump sono mostri come Amazon, che in due settimane ha reso Jeff Bezos di 25 miliardi di dollari più ricco, e UnitedHealth Group, la più grande compagnia di assicurazione sanitaria del mondo, i cui profitti sono aumentati di 4,1 miliardi di dollari nei primi tre mesi della pandemia. Per gli operatori delle assicurazioni mediche è stata una manna, poiché la maggior parte dei loro clienti attualmente non può prenotare operazioni o ottenere trattamenti medici.
Una rabbia vulcanica sta rapidamente eruttando su questo paese e dobbiamo imbrigliarla per difendere e costruire sindacati, garantire Medicare for all e far cadere gli stronzi dai loro troni dorati.
Come siamo arrivati qui
Nella notte dell’ultimo dell’anno, mentre stavamo alzando i bicchieri al cielo, abbracciando i nostri compagni e cantando alcuni versi di una canzone scritta diversi secoli fa da un rivoluzionario scozzese, i medici cinesi stavano informando i loro colleghi di tutto il mondo che un numero crescente di casi di polmonite acuta, raggruppato intorno alla città di Wuhan, era generato da infezioni causate da un virus precedentemente sconosciuto.
Nel giro di una settimana era stata ricostruita la sequenza genetica e smascherato come Coronavirus. Fino al 2003, la ricerca su questa famiglia di virus era servita a reagire alle gravi malattie che si verificano in alcuni animali, tra questi bestiame e pollame. Solo due di questi virus erano noti per infettare gli esseri umani, ma poiché causavano solo lievi raffreddori, i ricercatori all’epoca li consideravano insignificanti.
Poi, nel 2003, quando un viaggiatore in un hotel aeroportuale cinese ha trasmesso la sua infezione a tutti coloro con cui aveva avuto contatti, è iniziata una nuova epidemia virale. Entro ventiquattro ore il virus era volato in altri cinque paesi. La sindrome respiratoria acuta grave (Sars) ha ucciso una malato su dieci.
L’agente patogeno Sars è stato identificato come un altro Coronavirus, trasmesso da pipistrelli a piccoli carnivori noti come zibetti, apprezzati da tempo nella cucina della Cina meridionale. La Sars ha raggiunto trenta paesi e ha causato un panico internazionale su vasta scala. Ma aveva un tallone d’Achille: era contagioso solo quando le persone infette mostravano sintomi come tosse secca, febbre e dolori muscolari. Essendo così facile da individuare, il virus Sars è stato contenuto.
Un virus simile, una specie di maledizione della mamma diffusa dai pipistrelli tombali ai cammelli, è emerso nel 2012 e ha ucciso mille persone, principalmente nella penisola arabica. Ma è diffuso soprattutto dal contatto diretto con i cammelli e quindi non è stato considerato in grado di iniziare una pandemia.
Il virus invisibile
I ricercatori speravano che l’attuale killer, un virus noto come Sars-C0V-2 che condivideva la maggior parte dei geni con la Sars originaria, fosse altrettanto semplice da identificare attraverso la correlazione con i sintomi dei pazienti. Si sbagliavano disastrosamente.
Dopo quattro mesi di circolazione nel mondo umano, ora sappiamo che il virus, a differenza dei suoi predecessori, vola sulle stesse ali dell’influenza: si diffonde facilmente dalle persone senza segni visibili di malattia. L’attuale patogeno si è rivelato essere un «virus invisibile» su una scala di gran lunga superiore alle influenze e forse senza precedenti negli annali della microbiologia. La marina statunitense ha testato quasi l’intero equipaggio della portaerei colpita Theodore Roosevelt e ha scoperto che il 60% di quelli infetti non mostrava mai sintomi visibili.
Un vasto universo di casi non rilevati potrebbe essere considerato una buona notizia se le infezioni producessero un’immunità duratura, ma non sembra essere questo il caso. Le dozzine di esami del sangue per la rilevazione di anticorpi attualmente in uso, tutti non certificati dalla Fda, stanno producendo risultati confusi e contraddittori, rendendo impossibile al momento l’idea che si possa rilasciare una carta d’identità degli anticorpi che consenta il ritorno al lavoro.
Ma le ricerche più recenti (che si trovano sul sito che si occupa della pandemia del National Institutes of Health, LitCovid) suggeriscono che l’immunità conferita è molto limitata e che il Coronavirus potrebbe trincerarsi quanto l’influenza. Escludendo le mutazioni drammatiche, la seconda e la terza infezione saranno probabilmente meno pericolose per i sopravvissuti, ma non ci sono ancora prove che saranno meno pericolose per le persone non infette in gruppi ad alto rischio. Quindi Covid-19 sarà il mostro che turberà i nostri sonni ancora per molto tempo.
Sapevano che stava arrivando
Ma la malattia non è un’eruzione del totalmente sconosciuto, un asteroide biologico. Sebbene la sua trasmissibilità fosse inaspettata in un Coronavirus, comunque la pandemia corrisponde precisamente allo scenario a lungo descritto per un focolaio di influenza aviaria.
Per quasi una generazione l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e tutti i governi più importanti hanno progettato piani per rilevare e rispondere a una pandemia di questo tipo. C’è sempre stata una consapevolezza internazionale molto chiara della necessità di una diagnosi precoce, di grandi scorte di forniture mediche di emergenza e della possibilità di un sovraccarico nei letti di terapia intensiva. Il più importante è stato l’accordo tra gli aderenti all’Oms per coordinare la risposta secondo le linee guida che tutti avevano accolto tramite una votazione. Il contenimento precoce veniva considerato cruciale: test completi, tracciabilità dei contatti e isolamento di casi sospetti. Quarantene su larga scala, città sigillate, i grandi settori dell’economia serrati: queste misure dovrebbero essere solo un’ultima ratio, resa superflua da un’ampia opera di pianificazione.
In questo senso, dopo l’arrivo dell’influenza aviaria nel 2005, il governo degli Stati uniti ha redatto un’ambiziosa «Strategia nazionale per l’influenza pandemica» basata sulla scoperta che tutti i livelli del sistema sanitario pubblico statunitense erano totalmente impreparati alla comparsa di un focolaio su vasta scala. Dopo la paura dell’influenza suina nel 2009, la strategia era stata aggiornata e, nel 2017, una settimana prima dell’insediamento alla Casa bianca di Trump, i funzionari uscenti di Obama e gli amministratori entranti di Trump hanno effettuato una simulazione congiunta su larga scala che ha testato la risposta delle agenzie federali e degli ospedali alla pandemia che si manifesta in tre diversi scenari: influenza suina, Ebola e virus Zika.
In questa simulazione il sistema, ovviamente, non è riuscito a prevenire l’esplosione del contagio o, appunto, ad appiattire le curve in tempo. Parte del problema erano rilevamento e coordinamento. Un altro problema era costituito dalle scorte inadeguate e dalle catene di approvvigionamento che presentavano evidenti strozzature, ad esempio la produzione di dispositivi protettivi vitali dipendeva da alcune fabbriche d’oltreoceano. Alla base di tutto ciò c’era l’incapacità di utilizzare i progressi rivoluzionari nella progettazione biologica dell’ultimo decennio al fine di accumulare un arsenale di nuovi antivirali e vaccini. In altre parole, gli Stati uniti non erano pronti e il governo sapeva di non essere pronto.
Il domino del disastro
Alla fine di gennaio 2020 sono successe tre cose. In primo luogo, l’Oms ha rapidamente distribuito centinaia di migliaia di kit di test progettati da scienziati tedeschi, ma per il tutto resto è stata messa da parte mentre ogni nazione ha chiuso i battenti e ignorato i precedenti impegni di mutuo soccorso.
In secondo luogo, tre nazioni dell’Asia orientale con arsenali medici ben preparati e sistema sanitario universale – Corea del Sud, Singapore e Taiwan – contenevano con successo focolai, con mortalità minima e periodi moderati di isolamento sociale. Dopo le prime catastrofi che hanno permesso al virus di prendere il largo a bordo di aerei e costretto al blocco di Wuhan, la Cina si è mobilitata su una scala senza precedenti e ha rapidamente estinto tutti i focolai di Covid-19 fuori da Wuhan.
In terzo luogo, negli Stati uniti i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) hanno deciso di creare il proprio kit diagnostico anziché utilizzare quello distribuito dall’Oms. Tuttavia, le linee di produzione del Cdc erano contaminate da virus e i kit si sono rivelati inutili. L’intero mese di febbraio, quando era ancora possibile prevenire l’aumento esponenziale dell’infezione attraverso test e tracciabilità dei contatti, è stato sprecato.
Questo è stato il primo disastro. Il secondo è arrivato a marzo, quando malati gravi e critici hanno iniziato ad affollare gli ospedali. Quando le istituzioni hanno cominciato a rimanere senza respiratori, maschere N-95 e ventilatori, si sono rivolte ai loro Stati e quindi alla Riserva strategica nazionale del governo federale, che è stata progettata specificamente al fine di operare durante un focolaio come quello del Covid-19.
Ma l’armadietto delle medicine era quasi vuoto. Era stato in gran parte esaurito durante il panico nazionale per l’influenza suina nel 2009 e nel corso di altre emergenze successive. All’amministrazione Trump era stato più volte ricordato che aveva il dovere legale di rifornire quelle scorte, ma aveva altre priorità come tagliare il budget del Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie e stroncare l’Affordable Care Act [la riforma del sistema sanitario voluta dall’amministrazione Obama che riduce il costo delle assicurazioni per i meno abbienti, Ndt].
Di conseguenza, milioni di lavoratori statunitensi hanno combattuto negli ospedali, nelle case di cura, nei trasporti pubblici e nei magazzini di Amazon senza il supporto di una protezione essenziale la cui produzione costa solo pochi centesimi. Nulla è più emblematico della totale negligenza dell’amministrazione Trump del fatto che lo stesso giorno in cui il presidente si vantava della «superiorità scientifica e tecnologica senza pari» degli Stati uniti, il New York Times dedicava una pagina per spiegare ai suoi lettori «Come farsi una mascherina in casa».
*Mike Davis, scrittore e sociologo urbano, è autore di diversi libri, tra cui Planet of Slums e City of Quartz (tradotto in italiano da Manifestolibri).Questo articolo, tratto da JacobinMag, è stato ripreso da Labor Notes. La traduzione è di Giuliano Santoro.
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