
Troppo potere per un uomo solo
Elon Musk continua con la sua campagna di censura su Twitter/X: stiamo assistendo alla dimostrazione pratica dell’enorme potere dei miliardari di influenzare la politica e l'informazione
Dopo quasi un anno, il possesso di Twitter (o – sigh – X) da parte del sedicente «assolutista della libertà di parola» Elon Musk sta andando esattamente come ci si sarebbe aspettati da un padrone che ha ripetutamente dimostrato di essere un tiranno sul posto di lavoro. Fin dall’inizio, Musk è stato molto selettivo nel modo in cui ha applicato i suoi presunti principi di libertà di parola, ripristinando gli account di destra e mantenendo la censura su quelli di sinistra, sospendendo gli account che parlavano dei dati di volo del suo jet privato e piegandosi con entusiasmo alle richieste di politici autoritari per eliminare i contenuti a loro non graditi.
La definizione molto insolita di Musk di assolutismo della libertà di parola continua a regnare nell’azienda di social media, come dimostrano diversi fatti accaduti solo la scorsa settimana. Secondo Semafor, sembra che Musk stia limitando la portata del New York Times sulla piattaforma, come evidenziato da un drastico calo da luglio delle condivisioni e dei tweet di coinvolgimento per le storie del giornale, un calo che nessun altro importante mezzo di informazione ha sperimentato, e che non si è verificato su Facebook (I dati provengono dalla società di monitoraggio del coinvolgimento sui social media NewsWhip.)
Come sottolinea Semafor, Musk si è scontrato e ha attaccato il Times di recente, ed è stato colto prima ad appesantire con un ritardo di cinque secondi i link a storie del giornale e di altri organi di informazione, nonché i link che andavano a piattaforme di social media rivali. Potrebbe esserci l’antipatia di Musk nei confronti del Times dietro questo recente atto? Non lo sappiamo, ma dato il coinvolgimento personale di Musk nelle passate decisioni di censura, non sarebbe sorprendente.
Sotto Musk, Twitter sta inoltre accogliendo le censure governative con intensità inedita, non ha rifiutato una singola richiesta tra ottobre 2022 e aprile 2023, a differenza degli anni precedenti. Tra queste vi sono le richieste del governo saudita, che ha recentemente condannato a morte un uomo per alcuni tweet critici nei confronti della monarchia del paese, la cui brutale repressione interna Twitter/X è stato accusato di aver agevolato.
Dovrebbe essere molto inquietante per chiunque, per non parlare delle persone di sinistra, che un miliardario imprevedibile abbia questo tipo di potere su ciò che la gente comune può e non può dire online, così come sull’editoria giornalistica, e che gli stati di sicurezza di vari governi in tutto il mondo – compresi quelli di alcuni dei despoti più brutali – considerino questa piattaforma e le sue politiche di censura come uno strumento per i loro fini repressivi.
Non è neppure l’ultima delle notizie preoccupanti sull’estrema ricchezza e sul potere eccessivo di Musk. Il miliardario si è recentemente messo nei guai dopo che estratti di una biografia di prossima pubblicazione hanno rivelato che si è rifiutato di consentire al governo ucraino di utilizzare il suo servizio Internet Starlink – che fornisce gratuitamente al paese dall’invasione russa – per attaccare la flotta navale russa a il porto di Sebastopoli in Crimea. Non importa che si consideri la decisione di Musk oltraggiosa (per aver mutilato gli sforzi di autodifesa di Kiev) o prudente (per aver voluto prevenire una pericolosa escalation): in entrambi i casi, è assurdo che un solo uomo prenda questa decisione, soltanto grazie all’enorme quantità di ricchezza che sta accumulando (Musk sostiene che la rete satellitare è stata disattivata sulla Crimea a causa delle sanzioni statunitensi e che avrebbe rispettato una «direttiva presidenziale»).
Purtroppo, queste preoccupazioni sulla censura non riguardano solo Musk, anche se è un imbroglione monumentale nelle sue dichiarazioni a favore della libertà di parola. La scorsa settimana Meta, o Facebook, ha cancellato il profilo Facebook di un presentatore di Al Jazeera ventiquattr’ore dopo che il suo programma aveva parlato della ben documentata censura a doppio standard che la società applica al discorso palestinese rispetto a quello israeliano e della collaborazione della piattaforma con il governo israeliano a questo scopo (Il suo account è stato poi ripristinato dopo una protesta).
Nel frattempo, TikTok, la piattaforma di social media più popolare al mondo, ha finito per bloccare le ricerche di Wga – o Writers Guild of America, quando lo sciopero del sindacato è al suo quinto mese – come effetto collaterale involontario del suo tentativo di annullare i contenuti di QAnon. Lo scorso agosto, una bozza di accordo trapelata a Forbes ha rivelato che il governo degli Stati uniti, che considera la piattaforma una minaccia alla sicurezza nazionale a causa della sua proprietà da parte di un’azienda con sede a Pechino, voleva imporre un controllo di vasta portata su TikTok come parte di una mossa per far sì che la società aggiri un divieto statunitense. Le disposizioni includevano il conferimento al governo degli Stati uniti del potere di veto sui contratti dei fornitori e su alcune assunzioni di dirigenti, la capacità di bloccare le modifiche alle sue politiche di censura e privacy e il diritto di far sì che TikTok smetta di funzionare nel paese in alcune situazioni. Vale la pena immaginare come questo tipo di potere verrebbe utilizzato sotto la presidenza di Donald Trump o di un altro ideologo di estrema destra.
Le storie sulla censura tecnologica continuano ad accumularsi: dovrebbero essere un promemoria della facilità con cui queste piattaforme, diventate parte integrante dell’industria delle notizie e del discorso politico, possano, nelle mani sbagliate e con le politiche sbagliate, essere facilmente rivolte contro di noi per schiacciare l’espressione politica e la libertà di stampa. È una crociata che rappresenta un pericolo soprattutto per la sinistra.
*Branko Marcetic è collaboratore di JacobinMag. Ha scritto Yesterday’s Man: The Case Against Joe Biden. Vive a Chicago, nell’Illinois. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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