Un comico in una tragedia
Gli ucraini hanno votato un comico pur di bocciare il regime autoritario uscito dalla rivolta di Maidan del 2014. Ma nonostante la sconfitta, i nazionalisti rappresentano una bomba a tempo situata sotto la poltrona del nuovo presidente
Per i lettori americani la storia di un candidato inesperto che vince contro il prescelto dall’establishment non può essere una sorpresa. Ma nel caso del nuovo presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelenskiy, questo paragone già abusato è persino troppo riduttivo. Immaginate che Donald Trump avesse trent’anni di meno e non avesse mai scritto alcun libro o partecipato a nessun (anche solo presumibilmente) dibattito serio. Non c’erano né le primarie né il Gop da affrontare. E Zelenskiy è un comico professionista.
Ma i paragoni con Trump reggono solo in parte. Zelenskiy, figlio di un professore universitario e di un ingegnere, non è un eroe della classe operaia, ma non è nemmeno un oligarca come il presidente uscente (e sconfitto al secondo turno) Petro Poroshenko, che ha fatto fortuna privatizzando le fabbriche di confetti sovietiche nei selvaggi anni Novanta. La campagna nazionalista aggressiva di quest’ultimo aveva molto più in comune con i populisti di destra, specialmente quelli dei paesi vicini come il premier ungherese Viktor Orbán o il leader polacco de facto Jarosław Kaczyński.
Lo slogan principale di Poroshenko era «Esercito. Lingua. Fede» e ha chiamato a raccolta i nazionalisti dicendo: «O me, o Putin». Al secondo turno di domenica, una società solitamente polarizzata si è radunata in gran numero – il 73% – contro il presidente uscente. Zelenskiy ha vinto perché ha cavalcato l’ondata di tutto ciò che il suo avversario simboleggiava, per diversi tipi di elettori. Per loro, Poroshenko significava povertà, corruzione senza vergogna, la guerra senza fine nel Donbass e iniziative nazionaliste aggressive tramite politiche che andavano dalla religione alla lingua e alla storia pubblica. Nel corso del confronto elettorale nello stadio più grande dell’Ucraina, Zelenskiy si è descritto esattamente come «il risultato dei tuoi errori [di Poroshenko]».
Eppure il candidato vincitore non aveva né programma né un partito, si è semplicemente limitato ad adottare il nome del suo programma televisivo, Servitore del Popolo. Zelenskiy prende possesso della carica circondato da “volti nuovi” che potrebbero non essere i reali responsabili delle decisioni. La cosa inquietante è che ha relazioni oscure con il noto oligarca Ihor Kolomoiskyi, che ha spostato miliardi di dollari dall’Ucraina in fondi offshore. Nella veste di politico, il nuovo presidente ha una superficialità unica, e ciò rende l’idea di quanto gli ucraini abbiano apprezzato i successi di Poroshenko e gli sviluppi dei cinque anni dalla rivolta di Euromaidan del 2014.
Da questo punto di vista, il ballottaggio è stato una specie di referendum su Poroshenko e sull’interno campo nazional-patriottico. L’intellighenzia «nazional-liberale» e gran parte della società civile «liberale» filo-occidentale si è mobilitata aggressivamente a favore di Poroshenko, attaccando Zelenskiy e i suoi elettori come filo-russi, antipatriottici, traditori, stupidi e ignoranti. Hanno detto che la sua vittoria avrebbe rappresentato la fine dell’Ucraina. Eppure la scorsa domenica abbiamo visto che queste voci rappresentano appena un quarto del paese.
Cinque anni dopo che la rivolta di Maidan scosse l’Ucraina, oggi vediamo che l’establishment politico e intellettuale che era salito al potere nel 2014 ha fallito come i precedenti.
Un referendum sull’ordine post-Maidan?
In effetti, gli elettori che hanno votato per Zelenskiy sembrano piuttosto diversi da quelli che gli entusiasti media occidentali di solito presentano come autenticamente rappresentantivi dell’Ucraina. In parole povere, possiamo dire che alla sua base elettorale non piace quello che il governo russo ha fatto, ma che non voglia nemmeno combatterlo fino all’ultimo sangue. Probabilmente sono pro-europei, ma a causa di ragioni piuttosto pragmatiche – le persone a ovest dei confini dell’Ucraina vivono meglio di quelle a est – e non per la “scelta civilizzatrice” razzista (per l’Europa, contro la Russia) promossa da molti intellettuali ucraini .
Preferiscono parlare in ucraino, o in russo, o in una miscela di entrambi, ma riderebbero di fronte all’idea che questa diventi una scelta ideologica. Sono stanchi del clima conflittuale, della propaganda patriottica e della continua ricerca di agenti russi sotto al letto. Sono indifferenti sia all’Unione Sovietica che al fanatismo della decomunistizzazione dei monumenti sovietici e della toponomastica. Piuttosto preferirebbero guardare i film sovietici proibiti, leggere libri russi e chattare sui social network russi senza vincoli. Non amano il patriottismo pretenzioso e il nazionalismo radicale. Dal governo si attendono un tangibile miglioramento degli standard di vita della maggioranza della popolazione, non la lotta alla corruzione fine a se stessa.
Dopo le proteste di Euromaidan 2014, l’estremo segmento filo-russo della vita pubblica ucraina è stato represso ed emarginato. Negli ultimi cinque anni un’estrema corrente filo-occidentale e nazionalista è diventata invece egemonica. Nonostante la retorica pro-democratica, le forze che erano andate al potere avevano mostrato notevoli tendenze autoritarie.
Prima hanno deciso di bandire il Partito comunista ucraino. Si trattava di un importante partito di opposizione, forse il più grande in termini di adesione reale, che aveva raccolto il 13% dei voti alle elezioni parlamentari del 2012. Politici dell’opposizione, media, giornalisti e blogger hanno sofferto la repressione di stato e la violenza nazionalista radicale. Questa è arrivata fino ai pogrom, agli attacchi incendiari, alla detenzione di oppositori e alle montature giudiziare. La situazione era così grave che l’editore della principale pubblicazione online dell’opposizione, Strana.ua, ha dovuto chiedere asilo politico all’Austria. Allo stesso tempo, un esercito pagato di troll di Poroshenko produceva un clima tossico e intollerante verso ogni dissenso. Molti docenti universitari sono stati licenziati o attaccati per le loro posizioni politiche e costretti a lasciare il paese.
La guerra con la Russia è stata decisiva per creare questa situazione. Nel dicembre 2018, dopo una probabile provocazione deliberata nello stretto di Kerch che si è conclusa col sequestro di navi e l’arresto di marinai ucraini da parte della marina russa, l’allora presidente Poroshenko ha indetto la legge marziale in metà delle regioni dell’Ucraina. Non c’erano prove di una crescente minaccia dalla Russia; ma per l’assediato Poroshenko il provvedimento era un pretesto utile a ritardare le elezioni e guadagnare un po’ di tempo. Secondo i sondaggi, oltre il 50% degli ucraini aveva dichiarato che non avrebbe mai votato per lui in nessun caso. L’estensione della legge marziale e persino la reiterazione della provocazione nello stretto di Kerch sono stati seriamente presi in considerazione dall’entourage di Poroshenko, ma non hanno ricevuto il sostegno dei leader occidentali, in particolare di Angela Merkel.
Alla fine, Poroshenko ha disputato il ballottaggio nel momento giusto: nel primo turno del 31 marzo aveva eliminato l’ex premier Yulia Tymoshenko grazie all’acquisto di voti e persino all’inganno in alcuni distretti. Tuttavia, sia gli Stati uniti che l’Unione europea non erano disposti a permettergli di forzare la vittoria definitiva e ottenere una rielezione illegittima attraverso metodi così ingannevoli e fraudolenti, minacciando di destabilizzare l’Ucraina. I media locali sostengono che esponenti della diplomazia statunitense hanno assicurato a Poroshenko che non sarebbe stato processato dopo aver perso il potere.
Anche all’interno dei circoli dominanti ucraini la sua influenza stava calando. Il potente ministro degli interni Arsen Avakov si è posizionato come il garante indipendente di elezioni libere ed eque, mentre il partito di estrema destra del National Corps, con collegamenti con Avakov, ha condotto una campagna dirompente contro la corruzione degli stretti partner commerciali di Poroshenko. La maggior parte degli altri oligarchi è sembrata opporsi alla rielezione di Poroshenko, cosa resa evidente dalle notizie politiche prodotte dai loro canali televisivi.
In definitiva, il supporto per Zelenskiy è stato semplicemente travolgente. Molti osservatori hanno sottovalutato la portata dell’opposizione al regime post-Maidan. Zelenskyi ha lanciato un messaggio pro-Ue e pro-Nato e ha persino definito un leader nazionalista radicale molto divisivo come Stepan Bandera come «un eroe indiscusso». Eppure, nelle regioni tradizionalmente anti-occidentali del sud e dell’est dell’Ucraina, che di solito considerano Bandera come un collaborazionista nazista, Zelenskiy ha preso oltre l’80% dei voti, il che dimostra chiaramente quanto volessero liberarsi di Poroshenko. Il margine tra i due contendenti non è mai stato tale da consentire a Poroshenko di tentare di arginare il risultato.
Nel 2019, la transizione pacifica del potere, con l’ammissione della sconfitta da parte di Poroshenko, non è indice della forza della democrazia ucraina, ma della dipendenza dall’Occidente, del pluralismo oligarchico e del giudizio negativo senza precedenti verso il presidente uscente al secondo turno. Dobbiamo ancora guadagnare la democrazia in Ucraina e si spera che la schiacciante sconfitta di Poroshenko apri un’opportunità in questo senso.
Un’occasione per la sinistra?
Come ha commentato un giornalista di sinistra, se non sei felice della sconfitta di Poroshenko non hai cuore; se credi alle promesse di Zelenskiy non hai testa.
In questo momento, quando ancora non si conoscono tante cose di Zelenskiy, la maggior parte delle previsioni sulla sua politica sono come letture del futuro nei fondi del caffè. Le sue opinioni personali esposte in una manciata di interviste non rappresentano un’ideologia coerente ma solo le convizioni in libertà di una figura dello spettacolo di successo che non ha passato molto tempo a pensare seriamente a questioni politiche. In generale, è contrario a un’eccessiva interferenza statale nelle questioni che riguardano l’identità, l’economia e la vita privata; e sostiene un approccio meno conflittuale alla guerra in Donbass e alla Russia.
Sostiene l’adesione alla Nato e passi verso l’adesione all’Ue, ma è anche pronto a comunicare e provare a convincere coloro che vi si oppongono. Ciò rappresenta una rottura con chi era precedentemente al potere che disprezzava (e non aveva alcun problema ad isolare) questa grossa minoranza della società ucraina. È per un alllegerimento fiscale e, naturalmente, come ogni politico dell’Europa orientale, «contro la corruzione». Zelenskiy si è detto anche a favore della legalizzazione delle droghe leggere e della prostituzione e contro il divieto di abortire, anche se questo tipo di tematiche non sono state centrali fino a ora nel dibattito politico ucraino.
Tuttavia non si sa ancora quanto le sue opinioni personali possano avere importanza e quanto sarà autonomo come presidente. Evidentemente era sostenuto dall’oligarca Ihor Kolomoiskyi e dal suo celebre canale televisivo, ma l’esatta natura della loro relazione e dei loro accordi, forse, la conoscono solo loro stessi. Kolomoiskyi potrebbe aspettarsi un considerevole compenso per la nazionalizzazione della Privatbank – la più grande banca in Ucraina, di cui era proprietario – ma una mossa del genere risulterebbe davvero impopolare e senz’altro screditerebbe il nuovo presidente. Non sappiamo quanta influenza avranno i suoi attuali consiglieri e non sappiamo chi Zelenskiy nominerà come ministro. Allo stesso tempo, non si sa chi costituirà il nucleo del partito di Zelenskiy, o addirittura come si relazionerà con un parlamento in cui non ha una sua fazione.
Tuttavia, ci sono alcuni vincoli strutturali che qualsiasi presidente ucraino avrebbe dovuto affrontare, che restringono le possibilità di una politica progressista in Ucraina. Ma finora non ci sono motivi seri per le paure, espresse da alcuni osservatori di sinistra, di una sorta di apocalisse neoliberale sotto Zelenskiy. In effetti, se c’è qualcosa di certo sul governo di Zelenskiy, è che la politica economica sarà decisa dall’equilibrio tra gli interessi degli oligarchi e le esigenze di austerità del Fondo monetario internazionale, proprio come accadde sotto Poroshenko. Qualsiasi politica economica radicalmente alternativa semplicemente manca di una base in una forza politica significativa.
Ancora, la rivalità tra gli oligarchi e la struttura della società civile ucraina – dove i nazionalisti radicali rappresentano il segmento più forte, meglio organizzato e più mobilitato, mentre i liberali sono deboli e la sinistra è quasi inesistente – metterà sicuramente dei limiti a qualsiasi tentativo di andare oltre il consenso nazional-patriottico. Tali mosse troveranno la forte opposizione dei nazionalisti che stanno già scatenando la paura del «revanscismo russo». E potrebbero essere sostenuti da oligarchi in competizione, ad esempio, se Poroshenko cercasse di consolidare l’opposizione nazionale-patriottica attorno a lui.
Ciononostante, la sinistra ucraina adesso ha la possibilità di diventare un movimento più forte e più incisivo nella vita pubblica del paese. Tre risultati innegabili della vittoria di Zelenskiy avvantaggiano la sinistra. In primo luogo, l’escalation della repressione e le tendenze nazionaliste negli ultimi anni hanno costretto una sinistra debole e stigmatizzata in una situazione semi-clandestina. Ma la vittoria di Zelenskiy promette la fine del crescente autoritarismo che abbiamo visto sotto Poroshenko. Anche se il regime politico dell’Ucraina rimane strutturalmente invariato e se intravediamo un altro gruppo oligarchico (per esempio quello di Kolomoiskyi) tentare di monopolizzare il potere, c’è almeno un momento temporaneo di sollievo.
In secondo luogo, l’egemonia dei liberal-nazionalisti ucraini che per lo più si sono consolidati attorno a Poroshenko è stata nettamente incrinata. La crisi della loro leadership morale e intellettuale è ormai evidente; molte persone vedono quanto sia irrilevante la loro visione dell’Ucraina e del suo futuro che è stata sfidata dalla stragrande maggioranza. Vedremo molte riflessioni su ciò che è andato storto suscitando interesse e aprendo opportunità per tendenze politiche alternative, inclusa la sinistra.
Infine, la campagna di Zelenskiy ha portato in politica quei gruppi che non se ne erano mai interessati o che si erano sentiti esclusi da Maidan: in primis, i giovani delle regioni sudorientali. Nel frattempo, la maggior parte degli elettori del comico non si aspettano molto da lui, a parte il fatto che non sia diverso da Poroshenko. Di fronte all’inevitabile delusione per il suo governo, si può almeno sperare che molti non tornino alle loro vite private, ma cerchino altre forme di politica non-elettorale che possano ottenere un cambiamento più profondo.
Sarebbe sbagliato illudersi della promessa di Zelenskiy di una nuova politica, aspettarsi passi avanti nella campagna contro la corruzione, la pace nel Donbass, o un’inversione della crescita che l’estrema destra ha visto negli ultimi anni. Tutto ciò, senza dubbio, richiederà molto di più del semplice fatto di sbarazzarsi di Poroshenko. Tuttavia, il primo passo è compiuto e l’indebolimento del regime uscente apre maggiori opportunità per il futuro.
*Volodymyr Ishchenko, sociologo, vive a Kiev. Ha pubblicato articoli e interviste sul Guardian e sulla New Left Review. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è di Giuliano Santoro.
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