
Un Green New Deal per la Gran Bretagna
Sull'onda del movimento ambientalista e del progetto lanciato dai socialisti Usa, il Labour lancia la Green Industrial Revolution. Un programma radicale di contrasto al cambiamento climatico dentro una prospettiva di giustizia sociale
Jeremy Corbyn, mio caro amico da oltre quarant’anni e spero futuro Primo Ministro della Gran Bretagna, l’anno scorso ha promesso un GI Bill, un disegno di legge su larga scala per i lavoratori del comparto energetico a combustibili fossili. Parlando a una conferenza da me organizzata sui modelli alternativi di proprietà, Jeremy disse:
«Così come l’originario GI Bill statunitense ha fornito supporto educativo, abitativo ed economico a tutti i reduci della Seconda Guerra Mondiale, il prossimo governo laburista garantirà a tutti i lavoratori del comparto energetico corsi di aggiornamento professionale, un lavoro equivalente – con termini e condizioni garantite da contratti collettivi – e il pieno supporto alle loro necessità abitative ed economiche durante la transizione».
Queste parole sono importanti, perché hanno legato il partito laburista all’impegno di mettere le necessità dei lavoratori in primo piano nel produrre la trasformazione radicale necessaria a ottenere un futuro con basse emissioni di carbonio. E non è certo una cosa da poco per la Gran Bretagna, dove il trattamento criminale riservato alle comunità di minatori da Margaret Thatcher e dall’establishment è la più rilevante esperienza di transizione energetica che ha avuto la working class.
Se come attivisti per la giustizia climatica abbiamo intenzione di portare dalla nostra parte i lavoratori del settore energetico e pubblico, le nostre politiche non devono avere ricadute sproporzionate sui poveri, e non devono prendere alla leggera le paure delle comunità working class, per cui le precedenti esperienze di transizione economica sono state devastanti.
È proprio questo duplice impegno preso dal Partito Laburista di Jeremy Corbyn nei confronti delle necessità della working class e di quelle del pianeta – la giustizia economica e quella climatica sono inestricabilmente collegate – che ci permette di sviluppare un programma con la radicalità necessaria, rendendo questa fase così interessante.
È un impegno che Corbyn e io abbiamo orgogliosamente rivendicato per anni, presentando una mozione parlamentare sull’emergenza climatica nel 2010, anche se io sostengo di aver imparato sul cambiamento climatico più dagli attivisti del Climate Camp che da tutti i dibattiti parlamentari sul tema.
Certo, il GI Bill non è l’unico pezzo della storia politica americana ad avere un’importanza internazionale per la sinistra.
Il New Deal di Roosevelt aiutò la ripresa e la ricostruzione degli Stati Uniti dopo la Grande Depressione. Ora il Green New Deal proposto dalla deputata Alexandria Ocasio-Cortez e da altri sta generando ondate di entusiasmo oltre l’Atlantico, chiamandoci a riscoprire quel modello per far fronte alla crisi climatica. Quest’impennata di attivismo ambientale va inquadrata nella crescita del movimento Extinction Rebellion [un movimento socio-politico inglese di contrasto al cambiamento climatico, ndt] in Gran Bretagna e in tutto il mondo, grazie alle stimolanti azioni degli studenti in sciopero per il clima.
Senza un New Deal nella nostra memoria politica nazionale, il partito laburista sta collocando la sua visione di un futuro ecologico nei termini di una Green Industrial Revolution, una Rivoluzione Industriale Ecologica, e sta portando avanti l’esaltante lavoro di trasformare le richieste provenienti dal quadro generale in politiche specifiche e immediate. La Green Industrial Revolution dovrà essere tanto profonda quanto lo sono stati i cambiamenti sulle vite quotidiane di coloro che hanno vissuto l’avvento della ferrovia o dell’elettricità domestica, cambiando il nostro modo di produrre e consumare il cibo, l’energia, e tutto il resto. Questa è la dimensione della sfida, ed è il motivo per cui il partito laburista ha insistito per votare a Maggio una mozione che rendesse la Gran Bretagna il primo paese a dichiarare l’emergenza climatica.
Lì dove si concentrano interessi occulti in modelli di business non sostenibili per l’energia, l’agricoltura, o qualsiasi altra cosa, sappiamo che l’opposizione delle corporation renderà il cambiamento sociale politicamente difficile da raggiungere. E dunque leggere la potenziale catastrofe che ci troviamo ad affrontare in questi termini è stato un passo fondamentale per trasmettere l’urgenza del cambiamento di cui abbiamo bisogno e conquistare il sostegno popolare. Nel caso nessuno l’abbia notato: se mai c’è stato un tempo per soluzioni progressive o piccoli aggiustamenti, è passato da un pezzo.
Il Green New Deal è una fonte d’ispirazione per noi e per tutta l’Europa, ma sono orgoglioso di dire che i miei colleghi erano già avanti nell’immaginare quali politiche specifiche sarebbero state necessarie nel caso in cui il partito laburista si fosse trovato al governo.
Nel 2018, l’allora Ministro Ombra del Commercio Clive Lewis annunciò il nostro impegno nel portare la produzione di energia da fonti a basso o nullo consumo di carbonio al 60% entro il 2030. Nel 2018, Rebecca Long-Bailey ha rilanciato la sfida, promettendo di raggiungere le zero emissioni entro il 2050. Come per tutte le nostre politiche sul clima, i nostri obiettivi sono guidati dalla scienza e dal nostro impegno a essere il più possibile ambiziosi e radicali.
Durante la conferenza del Partito Laburista, Long-Bailey e il Ministro Ombra dell’Ambiente Sue Hayman hanno pubblicato uno stimolante documento intitolato “Green Transformation”, che include, tra gli altri impegni, la stimolazione della biodiversità, la rimozione delle barriere per gli impianti eolici onshore [su terraferma, ndt], investimenti nella tecnologia del tidal lagoon [delle barriere artificiali simili a dighe contro l’innalzamento del livello del mare, ndt], una campagna per garantire l’isolamento termico a milioni di case, l’introduzione di un Clean Air Act, e politiche di incentivo nell’utilizzo dei trasporti pubblici.
Da allora il Ministro Ombra dei Trasporti Andy McDonald ha ulteriormente sviluppato le nostre proposte sui trasporti, con l’impegno a rendere gratuiti i mezzi pubblici per i giovani grazie al ripristino di vecchi fondi governativi oggi decurtati. Con i laburisti al governo il Ministero del tesoro si assicurerebbe che le regole della spesa pubblica riflettano le necessità ambientali, e che le compagnie incapaci di rispettare i criteri ecologici siano impossibilitate a quotarsi sul mercato azionario londinese. Lo scorso mese abbiamo steso un piano che prevede l’installazione di pannelli solari in 1,75 milioni di abitazioni, con priorità alle case popolari, così da diminuire sia le bollette che le emissioni di carbone.
Gran parte di tutto ciò è possibile perché, come i politici e i militanti che sostengono il Green New Deal americano, anche noi siamo pronti a presentare un piano di investimenti pubblici su larga scala. Il contesto finanziario è sicuramente diverso – non siamo nel momento peggiore della Grande Depressione o della Crisi Finanziaria Globale, e non possiamo certo attendere un’altra crisi – e dunque il nostro obiettivo è trovare nuove idee per ottenere un cambiamento radicale a guidato dall’intervento pubblico. Il nostro Fondo di Trasformazione Nazionale – 250 milioni di sterline di investimenti in dieci anni – è centrato sulla transizione verso un futuro a basso impatto ambientale, e ogni progetto sarà giudicato in base non solo a cosa promette, ma a come lo vuole realizzare.
Data l’entità del danno ambientale causato dal Regno unito sin dall’inizio della rivoluzione industriale, per non parlare dei collegamenti tra la schiavitù e il capitale industriale, è essenziale che la Gran Bretagna sia una guida – non nel decidere cosa è necessario fare e come, compito in mano a chi è in prima linea nel contrastare il collasso ambientale, ma nel portare avanti i cambiamenti nazionali necessari a far proseguire la vita umana sulla Terra.
Come ha scritto Dalia Gebrial, dobbiamo assicurarci di non replicare implicitamente o esplicitamente gli assunti razzisti sull’importanza delle vite occidentali, e dobbiamo mettere al centro gli sforzi di coloro che nel sud del mondo sono stati i pionieri della resistenza contro il modello industriale degli ultimi secoli.
Non potrei essere più orgoglioso di lavorare con il Ministro Ombra dello Sviluppo Internazionale Dan Carden e continuare il lavoro del suo predecessore Kate Osamor nell’affrontare il collasso climatico attraverso «lo sviluppo internazionale di una politica che cerchi di trasformare – anziché conservare – lo status quo».
Ciò che ci differenzia dall’ala corporativa del movimento ambientalista è l’analisi politica che vede le necessità di soluzioni collettive ai problemi della società. Nel 2017 il nostro manifesto elettorale, «Per i molti, non per i pochi», ci ha impegnato a rendere pubblica la proprietà delle forniture di gas e luce, così come a far sì che i miliardi attualmente pagati in dividendi agli azionisti possano essere investiti nelle infrastrutture necessarie ad attivare le energie rinnovabili.
Ora abbiamo pubblicato i dettagli di come proponiamo di mettere il potere sotto il controllo democratico in modo tale che i lavoratori e gli utenti della rete energetica possano gestire il servizio democraticamente. Il fondamento teorico alla base di tutto questo si trova nel nostro report sui Modelli Alternativi di Proprietà, dove sosteniamo che abbandonare la proprietà privata è fondamentale in quei settori che puntano a obiettivi non commerciali, come affrontare il cambiamento climatico.
Così, quando ho stilato un progetto per esporre in che modo l’energia da fonti rinnovabili potesse creare 50.000 posti di lavoro green in Scozia, al centro di tutto c’era l’idea che un pensiero e una direzione pubblica strategica, messi insieme, possono rendere economicamente sostenibili le iniziative comunitarie ambientaliste. Tenevo conto della frustrazione dei membri del sindacato che hanno sentito tante promesse di lavori green ma non le hanno mai viste realizzate: non perché questi lavori non esistano, ma perché i governi che si sono succeduti non hanno supportato in questo senso le industrie chiave.
Dieci anni fa abbiamo provato e fallito nel persuadere l’allora governo a intervenire per salvare i posti di lavoro alla manifattura delle turbine eoliche Vestas, e nel lottare per nuovi posti di lavoro green.
Dovrebbe essere chiaro che le uniche soluzioni politiche sono quelle che permettono di prendere decisioni chiave in maniera veloce e collettiva, svincolandoci dai brutali meccanismi di mercato che per anni non sono riusciti ad affrontare il problema. Non solo per assicurarci che la transizione avvenga, ma per assicurarci che sia giusta.
Ma il principio del GI Bill per i lavoratori del comparto energetico va ben al di là. Semplicemente, non riusciremo a vincere la battaglia per una transizione rosso-verde se non saremo in grado di dimostrare che i costi della transizione saranno coperti dai pochi, e non dai molti. Riconfigurare l’economia è alla base di tutto ciò che stiamo progettando, non da ultime le considerazioni ambientali, ma ha bisogno di una direzione forte verso una transizione giusta, per non gravare sulle spalle di quelli che sono meno in grado di pagare.
La degradazione ambientale non è un problema di classe solo a livello internazionale, è un problema di classe anche nel Regno Unito – per quanto riguarda gli effetti, ma anche per le soluzioni. Un approccio globale basato sulla classe per noi è essenziale, non solo perché è necessario politicamente e ambientalmente, ma perché al centro della nostra idea di socialismo c’è l’umanità.
Questo significa che mentre rigettiamo il modello economico che privilegia la crescita economica alla sostenibilità, rigettiamo anche il triste credo malthusiano che l’alternativa sia limitare le persone o i loro standard di vita. Ci sono dei limiti ambientali, ma i limiti interni sono principalmente politici non naturali. E sono queste le catene – imposte dal modo in cui è organizzata la società – che vogliamo rompere. Il nostro socialismo riguarda la liberazione da un sistema che contrappone una migliore qualità della vita per il genere umano al benessere degli ambienti naturali.
Il collegamento inestricabile tra giustizia sociale e giustizia ambientale è ciò che rende questa battaglia la più importante per le nostre vite. Quello che sta avvenendo negli Stati Uniti dovrebbe generare entusiasmo al di là dell’Atlantico. È chiaro che lo slancio ideale per la sinistra, in gran parte del mondo, è ora, ma il tempo passa e potremmo non avere un’opportunità migliore per costruire un futuro sostenibile.
Per usare le parole di Naomi Klein:
«Le soluzioni reali alla crisi climatica sono anche la nostra miglior speranza di costruire un sistema economico più illuminato, che restringa la forbice delle diseguaglianze, rafforzi e trasformi la sfera pubblica, generi posti di lavoro dignitosi e controlli in modo radicale il potere delle corporation».
*John McDonnell è il Cancelliere Ombra del Partito Laburista e membro del parlamento per Hayes e Harlington. Questo articolo è uscito su Jacobinmag.com. La traduzione è di Gaia Benzi.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.