
Uno sciopero al museo
Il personale in appalto del museo di Volterra incrocia le braccia, nonostante la legge che equipara la disciplina del settore a servizi essenziali come scuola, sanità e trasporti
Lunedì 11 settembre, per la prima volta in assoluto, le lavoratrici e i lavoratori in appalto dei musei civici di Volterra hanno scioperato. Un evento significativo poiché sono riusciti a superare le difficoltà intrinseche di chi lavora in un regime di esternalizzazione, senza contare gli ostacoli contenuti nel cosiddetto «decreto Colosseo», divenuto legge nel 2015, che equipara musei e biblioteche ai servizi essenziali come la scuola, la sanità e i trasporti, sottoponendo gli operatori del settore a normative restrittive per l’esercizio dello sciopero. L’allora ministro Franceschini definì questa legge «una conquista della civiltà», concependo una civiltà dove il diritto della classe lavoratrice di scioperare deve essere normativamente represso.
La motivazioni alla base dello stato di agitazione degli operatori in appalto, affrontate in un precedente articolo, possono essere così riassunte: il nuovo bando di gara, indetto dall’amministrazione comunale, per la gestione dei servizi museali, prevede una riduzione di 200 ore settimanali, pari a quasi il 40% rispetto all’appalto in essere. Questo si tradurrà non solo in una perdita di posti di lavoro, ma anche in una possibile contrazione salariale per il personale attualmente impiegato. In sostanza, il comune di Volterra, che avrebbe potuto risolvere una situazione già critica per le trenta persone impiegate nei propri servizi culturali, ha invece espletato una gara che di fatto mina la loro vita lavorativa, scaricando tutta la responsabilità di tale operato sulla compagine tecnica dell’amministrazione. Nonostante le conseguenti proteste di lavoratori e forze sindacali, il bando non è stato ritirato, dal sindaco sono giunte solo inconsistenti rassicurazioni.
Per aggiornarci su una vicenda che ha del grottesco, visto anche il recente premio Pegaso d’Oro assegnato alla città per la propria offerta culturale, abbiamo ascoltato tre lavoratrici, Flavia Coppola, Laura Tonelli delegata Cgil e Alessandra Bernardeschi delegata Cub, da anni impiegate in questo difficile appalto.
Quali sono le vostre funzioni all’intento del sistema museale volterrano?
A turno lavoriamo in tutti i diversi servizi: nelle aree archeologiche dell’acropoli etrusca e il teatro romano, presso il Palazzo dei Priori, la Pinacoteca, il Museo dell’Alabastro e infine nel nostro fiore all’occhiello, il Museo Etrusco Guarnacci, completamente restaurato nel 2022. Oltre a bigliettazione, sorveglianza, custodia e accoglienza ci occupiamo anche delle visite guidate, laboratori didattici, fino ad arrivare alla cura dei social.
È stato il vostro primo sciopero, come avete vissuto questo momento di lotta che per molti lavoratori e lavoratrici del settore è quasi un miraggio, anche per via di reticenze delle forze sindacali ancora troppo poco permeate nel mondo del lavoro culturale?
È stato come una liberazione, lo aspettavamo da tempo, e anche se ci sono stati problemi dovuti alla precettazione di alcuni colleghi costretti a rimanere in servizio a causa della «legge Franceschini», è stato comunque un momento liberatorio e di coesione. Tengo a precisare però che questo è solo l’inizio di un percorso, e che abbiamo intenzione di continuare la nostra lotta cercando di coinvolgere tutto il personale, con l’obbiettivo di organizzare uno sciopero che coinvolga i sei i siti dove siamo operative.
Quale è stata la reazione dell’amministrazione? C’è stata solidarietà da parte dei vari dirigenti o del personale pubblico?
Purtroppo non c’è stata nessuna manifestazione di vicinanza da parte della funzione pubblica di Volterra, siamo di fronte a un muro di gomma contro il quale lottiamo con le nostre sole forze, insieme ovviamente ai sindacati Cgil, Cisl e Cub. Durante lo sciopero, l’assessore alla cultura Dario Danti è sceso in piazza rinnovando la promessa che non ci saranno tagli al personale, ma noi siamo stanche di queste rassicurazioni informali, di narrazioni che confondono la cittadinanza. Anche perché, giusto ricordarlo, il bando che contestiamo e di cui chiedevamo il ritiro sta seguendo il suo iter mettendo in pericolo occupazione e contratti. Ci aspettiamo tavoli di confronto e non solo dichiarazioni contraddittorie.
La soprintendenza invece? Si è interessata in qualche modo alla vicenda?
La soprintendenza di Pisa, sempre attenta a rimarcare eventuali sotto organici sui siti da presidiare, non si sta preoccupando minimamente della situazione, non pronunciandosi sul fatto che il nuovo bando prevede delle assurde turnazioni a partire anche da zero unità, nella fattispecie per quanto riguarda il Museo Etrusco. Ci sentiamo completamente ignorate e anche preoccupate per la regolare fruizione dei servizi.
Oltre a concrete garanzie per il vostro futuro lavorativo, visti anche i ruoli di responsabilità che svolgente, quali sono i cambiamenti auspicabili per sanare e migliorare la vostra situazione, che purtroppo è comune in tantissime città italiane?
Al primo posto vorremmo un contratto adeguato alla nostra professionalità, con uno stipendio che tenga conto delle mansioni svolte e del ruolo che ricopriamo. Siamo quasi tutte laureate e chi non lo è negli anni ha maturato comunque un’esperienza e una competenza che deve essere valorizzata. Per fare questo purtroppo l’amministrazione difetta di progettualità, non solo atta a rivalutare il nostro operato, ma anche il servizio che offriamo.
Ci piacerebbe anche lavorare in contesti sicuri, che restituiscano dignità a noi operatrici e operatori, e non dover più affrontare postazioni disagiate come quella dell’acropoli, una struttura di fortuna priva di sistemi di condizionamento e anche di servizi igienici.
Altro tema enorme rimane quello della stagionalità. Fare scelte politiche votate principalmente al turismo stagionale contribuisce a svalutare il nostro lavoro, rendendolo ancora più precario e di conseguenza avvilendo le nostre città d’arte. Anche in questo caso cambiare prospettiva e darsi una progettualità di più ampio respiro darebbe giovamento a tutto il comparto, sia per quanto riguarda l’offerta alla cittadinanza che per le nostre condizioni di lavoro, purtroppo ottusamente escluse dalla dialettica politica cittadina.
*Alessio Nencioni è delegato Cobas, lavoratore in appalto nelle biblioteche fiorentine, regista indipendente.
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