
Vita, oppressione e lotta nelle favelas
Un libro approfondisce pensiero e battaglie di Marielle Franco contro la «guerra ai poveri» condotta nelle favelas, scoprendo le analisi all'avanguardia delle donne nere latinoamericane
Sono trascorsi tre anni da quel 14 marzo 2018, quando la consigliera comunale del Psol (Partito Socialismo e Libertà) Marielle Franco e il suo autista Anderson Gomes furono uccisi nella notte, da plurimi colpi di fucile. Si trovavano nel quartiere Estácio, nel centro di Rio de Janeiro. Giorni prima della sua esecuzione, la rappresentante aveva criticato la violenza delle azioni del 41° Battaglione della Polizia Militare contro gli abitanti della favela Acarí.
Marielle Franco era una militante femminista attiva nei diritti umani e una voce importante del dibattito sulla situazione delle favelas di Rio. Presiedeva, inoltre, una commissione parlamentare nata per monitorare la cosiddetta intervenção militar, ovvero l’intervento speciale di corpi armati federali nel tessuto metropolitano carioca, sancito a seguito della dichiarazione dell’emergenza sicurezza in città.
A tre anni dal suo assassinio non si è ancora fatta chiarezza. Gli esecutori, Ronnie Lessa ed Élcio Vieira de Queiroz, sono stati arrestati. Si tratta di due «miliziani» (membri di corpi armati non ufficiali, costituiti in gran parte da ex poliziotti, che si contendono col narcotraffico il controllo di molte aree periferiche di Rio de Janeiro). Entrambi avevano rapporti con la famiglia dell’attuale presidente Jair Bolsonaro. Le indagini sembrano invece non aver fatto progressi riguardo all’individuazione dei mandanti dell’omicidio.
Oggi, nella giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale – nata per commemorare l’uccisione di 69 manifestanti neri da parte della polizia sudafricana, nel 1960, a Shaperville – e a quasi un anno dall’assassinio di George Floyd e dall’ondata di manifestazioni che hanno scosso gli Stati uniti e il mondo al grido di Black Lives Matter, è fondamentale recuperare la storia di Marielle. Non tanto della storia della sua morte quanto piuttosto della storia della sua vita e della sua lotta contro la simultanea oppressione sugli assi della razza, del genere, della classe, dell’orientamento sessuale, della disabilità.
Donna nera, latinoamericana, bisessuale e originaria della favela della Maré, Marielle Franco si trovava al centro delle contraddizioni del capitalismo contemporaneo. Rappresentava un Brasile che da secoli è vittima di una politica di Stato erede diretta del colonialismo, col suo progetto di segregazione e sterminio delle popolazioni afrodiscendenti e indigene. Quel Brasile che si racconta come una «democrazia razziale», ovvero come un paese privo di razzismo è in realtà segnato da disuguaglianze profonde, che seguono in molti casi la linea del colore. Ciò è evidente nell’organizzazione del tessuto urbano, caratterizzato da quartieri ricchi tendenzialmente bianchi e periferie e favelas prevalentemente nere.
Di tale conformazione urbana Marielle si fa interprete nella sua tesi di laurea magistrale, intitolata Upp. La riduzione della favela a tre lettere (pubblicata ora da Tamu edizioni nel libro Laboratorio favela. Violenza e politica a Rio de Janeiro). Questa studia in profondità l’istituzione delle Upp (Unidades de Polícia Pacificadora): unità speciali di polizia insediate nelle principali favelas della cidade maravilhosa negli anni tra il 2008 e il 2013.
Va detto, come premessa, che le cosiddette favelas sono storici quartieri poveri sorti attraverso il meccanismo dell’autocostruzione. Non si tratta, nel caso di Rio de Janeiro, di periferie in senso stretto, dal momento che molte di esse si trovano nel centro della città o adiacenti ai quartieri benestanti, localizzati nell’area meridionale. Le Upp nascono a cavallo tra i governi di Luiz Inácio Lula da Silva, e Dilma Roussef, contemporaneamente agli interventi di «riqualificazione urbana» che hanno interessato la metropoli nel periodo immediatamente precedente i mondiali di calcio del 2014 e le Olimpiadi del 2016. Esse hanno costituito una vera e propria occupazione militare delle favelas del centro della città e di quelle adiacenti alle zone più ricche o collegate ai principali circuiti turistici, di mobilità urbana e commerciali.
La tesi è stata discussa nel 2014 nell’Universidade Federal Fluminense e pubblicata per la prima volta in Brasile nel 2018, per la casa editrice N-1 Edições. A sette anni dalla stesura, questo lavoro stupisce per la sua attualità e per la capacità di inquadrare il fenomeno della violenza poliziesca e il suo rapporto con la segregazione urbana di stampo razzista e classista. Marielle Franco analizza il fenomeno inquadrandolo nella cornice teorica del rapporto tra neoliberismo e politiche di sicurezza pubblica. Scrive:
Le Upp si stanno configurando sempre di più come uno strumento capace di garantire una sensazione di sicurezza in vista dei grandi eventi e dei grandi investimenti, facilitando l’ampliamento del mercato e le trasformazioni della città di Rio de Janeiro.
La domanda che si pone è a vantaggio di chi si proclama questa «sicurezza» e chi invece ne è il bersaglio, arrivando a rispondere che la costruzione delle Upp si inserisce in un progetto di ristrutturazione delle aree urbane di Rio da compiere a spese delle classi meno abbienti. Un progetto che la studiosa inquadra in un’idea neoliberista di città, intesa come merce e non come diritto. In altre parole, per salvaguardare gli interessi dei grandi capitali che si mobilitano intorno alla costruzione di «grandi eventi», si colpiscono in molte forme i cosiddetti favelados. Questi non sono visti come cittadini con pieni diritti ma come un problema da gestire, spesso in forme molto violente: dalle demolizioni delle loro case, all’isolamento (si costruiscono muri per separare le favelas dalle grandi arterie di comunicazione), all’incarcerazione, al vero e proprio sterminio.
Per far questo ci si avvale del meccanismo della cosiddetta «guerra alle droghe», che in Brasile – come in gran parte dell’America Latina – sfrutta la retorica della lotta contro il narcotraffico per giustificare azioni violente da parte della polizia. Azioni che il più delle volte coinvolgono anche cittadini comuni. Come sottolinea Marielle Franco nel libro, si dovrebbe parlare più genericamente di «guerra ai poveri», dal momento che tutti i favelados, indipendentemente dal coinvolgimento nella criminalità organizzata, sono considerati in quanto corpi «scartabili», che possono essere assassinati impunemente dalla polizia di Stato.
Nella sua tesi, Marielle Franco analizza il fenomeno della violenza poliziesca e avanza la proposta di una smilitarizzazione delle favelas, una richiesta che riecheggia nelle rivendicazioni di Black Lives Matter e che dunque ci parla di una realtà che va al di là dei confini nazionali, pur assumendo forme specifiche nei vari contesti geopolitici. La realtà di cui parlo è quella dell’esclusione dall’orizzonte della cittadinanza di una moltitudine dei soggetti che, come scrive l’autrice, non vengono protetti ma repressi in nome dello Stato.
Uno degli aspetti che trovo più interessanti del suo lavoro di ricerca è che non si limita alla critica dell’intervento statale nelle favelas, ma sottolinea, parallelamente, la capacità di queste ultime di riempire i vuoti delle politiche pubbliche con l’autorganizzazione e la costruzione di iniziative dal basso.
In senso opposto, vogliamo riflettere sull’idea delle favelas e delle periferie come luoghi di produzione o, per meglio dire, di potenza. Chi abita questi spazi, per contrastare la mancanza di azioni dello stato ha trovato varie forme per resistere e gestire la propria vita, attraverso l’arte, le abitazioni, la mobilità o gli incontri.
Laddove lo Stato arriva solo come polizia, attraverso repressione e violenza, riducendo le disuguaglianze sociali a un problema di «sicurezza», l’azione autorganizzata delle favelas è capace di dare risposte politiche, costruendo iniziative autonome capaci di canalizzare il potenziale creativo ed emancipatorio dell’agire collettivo.
Nei testi di Marielle Franco che Tamu Edizioni ha finalmente messo a disposizione del pubblico italiano, troviamo profondità di analisi coniugata a passione politica. Leggerli è un’operazione che ci restituisce il pensiero di un’intellettuale e una militante interprete del suo Brasile ma anche più in generale di temi fondamentali nell’agenda di movimenti femministi antirazzisti e anticapitalisti a livello globale. Ci aiuta, inoltre, a decostruire una serie di stereotipi ancora radicati nelle nostre società, che rappresentano le donne nere e del Sud globale in chiave vittimistica, talvolta interessandosi alle loro storie ma spesso senza prendere sul serio le loro voci.
Personaggi come Marielle Franco scardinano completamente tali narrative, mostrandoci che dalle favelas brasiliane e dalle donne nere latinoamericane arrivano analisi e soluzioni politiche all’avanguardia, capaci di esercitare una spinta propulsiva sulle lotte di tutto il mondo. La sua storia ha avuto un’enorme risonanza in Brasile, dove dopo la sua morte si sono moltiplicate le donne nere nel municipio di Rio de Janeiro e di tutto il Paese e l’anno scorso è stata eletta come consigliera comunale la vedova di Marielle Franco, Mônica Benício.
Ma tale risonanza non è rimasta racchiusa nei confini nazionali, troppo stretti per contenere la forza del pensiero e dell’azione di questa donna straordinaria. Il suo assassinio ha colpito profondamente persone di tutto il mondo, provocando dolore e rabbia ma anche una profonda volontà di cambiamento che ha spinto milioni di donne, uomini, soggetti non binari a scendere in piazza insieme al grido di Marielle Presente.
Come ha detto Angela Davis in un suo intervento del 2017 a Cachoeira (Bahia, Brasile): «Quando la donna nera si mobilita tutta la struttura della società si mobilita con lei». Non a caso l’ultimo evento che ha visto la partecipazione della consigliera della Maré – la sera della sua morte, alla Casa das pretas (nel quartiere della Lapa) – si chiamava Mulheres negras movendo as estruturas: donne nere che smuovono le strutture.
E le sue parole, come lei stessa afferma a più riprese, sono il risultato di un’elaborazione collettiva, che affonda le radici nelle forme di cooperativismo delle favelas brasiliane e del femminismo intersezionale. «Io sono perché noi siamo», amava ripetere in molti suoi discorsi. Niente di più vero, se a tre anni dal suo omicidio e a un oceano di distanza sentiamo ancora la necessità di parlare di Marielle Franco.
*Dea Merlini è dottoranda di Studi Postcoloniali al Centro de Estudos Sociais dell’Università di Coimbra. Sta scrivendo una tesi sulla letteratura brasiliana di autori e autrici nere e la retorica del meticciato nella costruzione dell’identità nazionale brasiliana. Lavora come editor e traduttrice dal portoghese.
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