Voi siete qui
Senza l’elaborazione degli ultimi trent'anni (la cosiddetta Seconda Repubblica) non verremo a capo di molte delle sfide che si presentano oggi. L'editoriale del n. 22 di Jacobin Italia
Prima che esistessero navigatori satellitari, smartphone e geolocalizzazioni, ogni mappa esposta in un luogo pubblico conteneva un’informazione fondamentale, punto di partenza dal quale cominciare a orientarsi: una freccia con la scritta Voi siete qui. Questo numero di Jacobin Italia non è una rievocazione storica di Silvio Berlusconi e della sua discesa nel campo della politica (avvenuta esattamente trent’anni fa): è un messaggio ai navigatori per dire Voi siete qui. Il senso dei temi e delle storie che qui trovate squadernati è che quegli eventi iniziati quando ancora non esistevano gli smartphone, la Russia era in fila per entrare nella Nato e nel calcio era persino concesso il retropassaggio al portiere, continuano a produrre effetti anche nel contesto nuovo. Senza l’elaborazione di quella stagione (ciò che è mancato in questi anni) non verremo a capo di molte delle sfide che si presentano oggi.
Ida Dominijanni parte proprio da quel video spedito a tutte le televisioni con il quale Silvio Berlusconi, era il 26 gennaio del 1994, annunciava la sua discesa in campo declinando un verbo (amare) insolito per il vocabolario ingessato della Prima Repubblica. L’uomo che avrebbe plasmato e monopolizzato il discorso pubblico nei decenni successivi sfonda i confini tra rappresentazione pubblica e vita privata, tra immaginario e realtà. Sono gli anni in cui il ceto politico postcomunista si propone come forza di governo e abbraccia l’ondata neoliberista di Tony Blair e Bill Clinton. Di quest’epoca di transizione fornisce un quadro critico Rosy Bindi, intervistata da Giampiero Calapà. E sono anni, racconta Salvatore Cannavò, che finiranno per cancellare la sinistra dallo scenario parlamentare. Contemporaneamente invece, come evidenzia Rossella Borri, la destra che viene dal fascismo passa in mezzo a tanti cambiamenti eppure resta indenne in nome di un vecchio motto di Giorgio Almirante: «Filtrare il passato nel presente».
Ma sono anche gli anni dei grandi movimenti globali e della profonda innovazione nei linguaggi e nelle forme della protesta. Sono lotte, tuttavia, che pur disegnando grandi scenari non possono aggirare le vicende della politica nazionale e, sostiene Lorenzo Zamponi, nel bene e nel male si inseriscono nel flusso del cosiddetto «antiberlusconismo».
Giuliano Santoro, a questo proposito, traccia il filo che dal sentimento giustizialista scatenato da Tangentopoli conduce all’esito reazionario di questi anni. È possibile riconoscere quel filo anche nelle trame dell’immaginario e dell’egemonia berlusconiana descritte da Selene Pascarella. Del resto, Roberto De Gaetano, ripercorrendo le rappresentazioni cinematografiche di Berlusconi, ragiona sulla sua maschera capace di generalizzare valori e sentimenti diffusi nel paese, svelando quanto il «vizioso» e il suo oppositore «moralista» in qualche modo si corrispondano. E che dire di Walter Veltroni, fondatore del Partito democratico e poi autore di libri e film, il cui discorso è caratterizzato da una costante: la rimozione di ogni conflitto? Prova a rispondere Christian Raimo. Sempre a proposito di immaginario, Caterina Serra ed Ella De Riva dialogano su quello predominante nel paese che ha incoronato Berlusconi, delle gerarchie tra corpi e comportamenti sessuali e del denaro e del potere come fattori che sbilanciano il piano paritario dello scambio.
E che ne è stato degli intellettuali? Ne discutono Antonio Montefusco e Giorgio Caravale, ragionando sulla crisi del rapporto tra politici di professione e uomini e donne di pensiero: una relazione complicata da cui emergono figure nuove, figlie di quest’epoca. Contemporaneamente, nella cultura pop di quegli anni trovano non a caso il loro habitat culturale naturale gli artisti lanciati da un personaggio chiave (e trasversale) come Claudio Cecchetto, di cui si occupa Giulio Calella.
Non ne sono usciti meglio i sindacati, annota Giovanni Iozzoli, che dopo la crisi economica e politica del 1992-93 hanno intrapreso la fallimentare strategia della concertazione. Del resto, è impossibile ragionare sugli anni che abbiamo alle spalle senza fare i conti con la deindustrializzazione che ha tolto il terreno sotto i piedi alla classe operaia (se ne occupa Gilda Zazzara) e con la spaventosa opera di privatizzazione che ha cancellato con un tratto di penna la presenza dello Stato nell’economia (ne parla Giuliano Garavini). Come mostrano le infografiche raccolte nell’inserto apribile di questo numero, le politiche dei governi di centrodestra e centrosinistra di questo ventennio hanno prodotto tra l’altro l’aumento di 7 anni dell’età media pensionabile, la caduta libera dei salari (unici a diminuire in valore reale nei paesi Ocse dal 1990 a oggi) e il crollo di votanti alle elezioni politiche di oltre 20 punti percentuali.
Ovviamente tutti questi sconvolgimenti culturali ed economici si sono riflessi nel calcio, sport nazionale per eccellenza e comfort zone dello stesso Berlusconi, come osserva Giacomo Gabbuti. Giuseppe Genna, infine, ripercorre questi trent’anni affiancando immagini, scorci e seppellimenti che vanno dalla strage di via Palestro a Milano fino ai funerali di Silvio Berlusconi.
La sezione di questo numero tradotta dall’edizione statunitense di Jacobin Magazine è dedicata a un evento eccezionale. Lo scorso 29 novembre è morto a cent’anni Henry Kissinger, Segretario di Stato negli anni dell’anticomunismo e dei massacri in nome del dominio a stelle e strisce e uomo di potere dal dopoguerra in poi. Nelle stesse ore in cui la notizia della sua morte si è diffusa, negli Usa Jacobin ha pubblicato un libro sulla sua figura criminale al quale lavoravano da anni. Ve ne proponiamo alcuni saggi significativi. Dapprima, Greg Grandin ricostruisce le genealogia del pensiero e dei riferimenti culturali di Kissinger, individuando la relazione con il filosofo reazionario Oswald Spengler (quello del declino dell’Occidente). Aldo Marchesi affronta la missione di una vita: bloccare ogni istanza di cambiamento, soprattutto nel sud America. René Rojas, nello specifico, traccia la spaventosa catena di eventi e l’inquietante e meticolosa preparazione del golpe che rovesciò il governo di Allende in Cile, vicenda emblematica del suo modus operandi. Si parlava di anticomunismo, ma non bisogna dimenticare che Kissinger non si fece problemi a sostenere il genocidio di Pol Pot in Cambogia pur di colpire l’odiato Vietnam che era uscito vittorioso dalla guerra, come racconta Brett S. Morris. Infine, Christy Thornton descrive il modo in cui Kissinger passò dall’amministrazione Usa a Wall Street, svolgendo un ruolo da protagonista negli anni del neoliberismo.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.