
You can(‘t) be anything
Nonostante gli slogan, le nuove Barbie ricalcano gli stereotipi assegnati alle donne già 60 anni fa. E la Mattel non è un caso isolato, ovunque troviamo disparità nell’offerta commerciale di giocattoli per bambine e bambini
Tatuaggi con glitter. Borsette. Crema per le mani. Cerchietti per capelli da decorare. Lucidalabbra. Questi alcuni dei regali visti di recente a festine di compleanno di bambine di cinque, sei anni. Bambine femmine, ovviamente. Bambine esaltate dai regali stessi.
Non un’età qualunque
Secondo uno studio di Science, è proprio a sei anni che bambine e bambine iniziano a differenziare la percezione del loro grado di intelligenza e in cui le bambine cominciano a non associare più loro stesse al più alto tasso di intelligenza proposto («really, really smart»). Lo stesso studio viene citato dalla multinazionale del giocattolo Mattel per promuovere la propria iniziativa legata al marchio Barbie, Closing the dream gap, parafrasabile così: «il fatto che le bambine non pensino di essere smart è terribile! La maggior parte delle professioni del futuro sarà basata su professioni in ambito matematico e scientifico, non possiamo lasciare le bambine indietro!».
Si tratta di un punto di partenza difficilmente opinabile e in cui si potrebbe riconoscere qualche nobile fine. Tuttavia, una grattatina sotto la superficie fucsia mostra facilmente come le buone intenzioni dei comunicati stampa vengano velocemente a patti con il realkapitalism dei cataloghi commerciali.
Bisogna che tutto cambi perché tutto resti come prima
Da quando tutte le Barbie venivano fatte con lo stesso stampo in plastica rosa porcello, Mattel ha fatto qualche sforzo per includere rappresentazioni del corpo femminile di tipo diverso: Barbie nere, asiatiche, in sedia a rotelle, petite, curvy (ovvero: taglia 42). Tuttavia, cosa possono fare tutte queste Barbie così diverse? Semplice: le solite cose.
Nell’area acquisti del sito di Barbie troviamo ben 51 scenari lavorativi: è vero, ci sono uno studio da dentista, un alveare per l’apicultrice e un lavaggio auto. Tuttavia la stragrande maggioranza degli scenari rappresenta professioni che gli stereotipi assegnavano alle donne già 60 anni fa, alla nascita di Barbie stessa. Ecco quindi la maestra di scuola d’infanzia, la baby-sitter, l’insegnante di ginnastica artistica, la toelettatrice di animaletti. Barbie che va al mercato, Barbie che fa l’orto, Barbie che prepara la colazione, Barbie in grembiulino in una cucina così grande da chiamarsi Ultimate kitchen.
È difficile immaginare che saranno questi questi percorsi narrativi di carriera – i percorsi che Barbie narra alle bambine che giocano con i set e che noi narriamo alle bambine, attraverso i giocattoli stessi – a suscitare le ambizioni che colmeranno il tanto denunciato dream gap, lo scollamento tra le ambizioni delle bambine e quelle dei coetanei maschi.
Non voglio mica la Luna
In parte questa differenza dovrebbe essere colmata dalla collezione di Barbie professioniste prodotte per celebrare il 60esimo compleanno di Barbie: pilota d’aereo, pompiere, annunciatrice tv, candidata politica, giocatrice di calcio e astronauta. Per quanto siano i prodotti che più rispecchiano il motto della campagna, You can be anything, tuttavia la loro stessa realizzazione mostra lo scarso investimento portato nel progetto.
Un esempio su tutti è Barbie Astronauta. Con pochissime rifiniture specifiche, una tuta di poliestere con qualche disegnino sopra e un casco che non proteggerebbe neanche da una caduta in motorino, Barbie sembra più pronta a impersonare l’astronauta in una festa di carnevale che a partire sicura per la Stazione Spaziale Internazionale.
Il contrasto con la Barbie dedicata a Samantha Cristoforetti, ricca di dettagli e molto realistica, è schiacciante: peccato che la Barbie con le fattezze di Cristoforetti sia solo un prodotto celebrativo e una operazione di marketing – e che non sia in commercio.
Il genere come filtro e l’offerta polarizzata
Barbie e Mattel sono casi isolati? Sarebbe bello poter rispondere di sì, tuttavia si tratta solo di alcune delle espressioni delle continue disparità e differenziazioni nell’offerta culturale e commerciale di giocattoli per bambine e bambine.
Toys Center è uno dei più grandi distributori di giocattoli presenti sul territorio italiano e sul loro shop online sono presenti circa 6.200 giocattoli, divisi in varie categorie e fasce di età, dalla nascita fino ai 12 anni. Per selezionare i giocattoli dalla vasta offerta si può usare anche il filtro per Genere, che divide i giocattoli tra Femmina, Maschio e Unisex. È un sito commerciale: deve vendere, e aiutare a scegliere prodotti ritenuti adatti o interessanti nel minor tempo possibile. Anche partendo da questo presupposto, le categorizzazioni rivelano un’offerta di prodotti triste e preoccupante al tempo stesso.
In alcune delle categorie merceologiche di giocattoli, il genere Unisex (che potremmo meglio definire Per tutti) copre per fortuna quasi la totalità dell’offerta: sono quindi per tutti i puzzle e i giochi da tavolo, i giochi all’aperto e sportivi (biciclette, braccioli per la piscina), i giochi elettronici e i peluche.
Con altre categorie, tuttavia, i risultati sono ben diversi. Tra i giochi di costruzione, i maschi hanno cinque volte la scelta delle femmine: tra i giochi per maschi da montare ci sono soprattutto astronavi e automobili, mentre tra le costruzioni «da femmina» si contano soprattutto abitazioni e castelli (regine delle cucine e delle casette, sempre!).
Una distinzione che viene confermata anche nella categoria veicoli e piste giocattolo: al 75% di solo appannaggio maschile. Le bambole, invece, sono di totale predominio femminile, con pochissime scelte sia in modalità unisex che per maschi (queste ultime, solo tre, sembrano in realtà errori di assegnazione del filtro e non bambole pensate per maschietti).
Rossetti e pistole
Sempre con riferimento al sito di Toys Center, appannaggio delle bambine è anche l’interessante categorizzazione dei giochi creativi: solo 5 per maschi e ben 151 per femmine. Ma di che tipo di creatività stiamo parlando? Trucchi, tatuaggi, creazione di gioielli, personalizzazione di scarpe con tacco, tinture temporanee per capelli, piastre per capelli: essere creative significa accessoriarsi, migliorarsi, essere più belle e più desiderabili.
Una idea confermata dai giochi di emulazione, di modellismo ed educativi: i giochi divisi per genere sono qui quasi in pari numero, ma mentre le femmine possono crearsi in laboratorio di saponette o rossetti, anche i maschi sono vittime di stereotipi crudeli che propongono loro fucili, pistole e armi di vari tipi (giochi, appunto, educativi).
Cosa impariamo da questa polarizzatissima offerta di giocattoli? Che, ancora una volta, con costruzioni, piste giocattolo e armi ai maschi vengono proposti giocattoli del fare, giocattoli in cui i giocatori vengono incitati a una presa sul mondo e a un’azione concreta di cambiamento del medesimo, mentre le femmine sfuggono a fatica dai giocattoli dell’essere: essere donne, essere mamme (delle loro bambole), essere belle, essere a casa.
You can be anything (but try to be cute)
In questo desolante panorama generalizzato, i messaggi che vengono lanciati alle bambine tramite la scelta di giocattoli prescritta per loro ha la chiarezza dissonante del doppio vincolo. L’ormai cinquantenne teoria di Bateson ci racconta ancora oggi che fornire due messaggi contraddittori su due piani contigui (verbale e non verbale, pubblicità e catalogo dei giocattoli) mette in confusione chi li ascolta e lo porta a non riuscire più a elaborare una risposta corretta e soddisfacente.
Se un banner fucsia ricorda alle bambine che «possono essere tutto ciò che vogliono», ma poi le proposte dei giocattoli possibili insistono su trucchi, bambole-ginnaste e scuole di cucina, cosa possono essere davvero le bambine? Paradossalmente, i messaggi contraddittori richiederebbero alle bambine di voler essere ingegneri aerospaziali. (Di più: la nostra economia futura avrebbe bisogno di più bambine, ragazze e donne studiose di materie scientifiche). Ma, come e grazie alla Barbie astronauta dalla tuta squallidamente economica, le bambine percepiscono che quello che si richiede veramente da loro è differente: cupcake e ninnoli – e al massimo qualche soddisfazione sulla carta.
Il dovere di scegliere
Uscire dalla contraddizione sociale e culturale non è impossibile, ma solo molto complesso. Le bambine (e i bambini) sono prese nella trappola in cui si trovano già molte donne adulte: la necessità capitalistica di volere tutto, il passaggio per il dover essere come piccola, limitata forma di azione sul mondo. Eppure – come amici, parenti, genitori, consumatori in generale – abbiamo sempre il potere di scegliere qualcosa di migliore per le nostre piccole e i nostri piccoli. Bloccare bieche operazioni di marketing. Cercare un oggetto diverso, con qualunque filtro venga etichettato. Regalare una ruspa. Un kit di chimica. Una macchina fotografica. (Una bambola, a un bambino). Spostare una differenziazione fasulla, un gesto alla volta. Ricordiamocelo, al prossimo compleanno.
*Eugenia Burchi è laureata in Discipline Semiotiche e in Teorie della Letteratura. Si occupa da più di dieci anni di social media e tecnologia e scrive di libri, fumetti e genitorialità. Vive, lavora e fa l’attivista a Milano.