Il disordine energetico
I nuovi equilibri degli approvvigionamenti energetici conseguenti alla guerra in Ucraina allargano il rischio di conflitti
Quasi da un giorno all’altro, l’invasione russa dell’Ucraina ha trasformato la politica energetica e interrotto le catene di approvvigionamento in tutto il mondo. L’Europa e la comunità internazionale adesso devono fare i conti con un mondo in cui il più grande produttore di petrolio per energia deve adattarsi a una situazione di autarchia economica.
Il giorno dell’invasione della Russia, Helen Thompson, professoressa di economia politica all’Università di Cambridge, ha pubblicato Disorder: Hard Times in the 21st Century. Il suo libro, che delinea le linee di frattura geopolitiche causate dalla produzione e distribuzione globale di energia, parlava di un momento in cui l’Europa affrontava il suo più grande conflitto dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Hai scritto Disorder prima che iniziasse la guerra in Ucraina. È diventato un libro profetico sugli argomenti esplorati. In effetti, la politica energetica è diventata oggetto di attenzione pubblica. Che dici della nostra attuale politica energetica dopo l’invasione russa dell’Ucraina? Corrisponde a quello che sostiene il tuo libro, e che cosa ti sorprende della nostra impasse in termini di politica energetica?
Si tratta di una domanda piuttosto difficile, penso che ci siano due dinamiche che spingono in direzioni opposte. C’è una certa continuità, chiaramente, tra la storia che ho raccontato in Disorder e il 2022 dopo [l’invasione del] 24 febbraio di quell’anno. In parte perché l’Ucraina rappresenta la linea di frattura europea che risale all’inizio dell’era della Guerra Fredda.
La seconda ragione è che il 2022 ha reso molte persone più attente all’energia di quanto non fossero in precedenza. La mia possibilità di dire: «Ho scritto qualcosa in questo libro che dovremmo prendere sul serio», è stata molto facile, molto più facile di quanto sarebbe stato senza la guerra, il che è stato piuttosto inquietante. Per quanto riguarda l’energia, la continuità c’era già prima della guerra. L’autunno del 2021 è stato piuttosto difficile per quanto riguarda l’energia. Ricordo che a un certo punto ho scherzato con il mio editore prima della guerra: «Non possiamo pubblicarlo a dicembre nel giorno più freddo dell’anno?». C’era la sensazione, in autunno, che si stesse preparando una crisi energetica.
D’altro canto, in quelle prime settimane in cui è iniziata la guerra, ho pensato anche che ci fosse un mondo che finiva il 23 febbraio, un mondo che il mio libro ha colto abbastanza bene. Ora, c’è un mondo iniziato il 24 febbraio, il giorno della pubblicazione del libro, che in qualche modo si è lasciato alle spalle il libro. C’è una differenza tra dire che ci sono queste lunghe faglie geopolitiche in Europa – in particolare, quelle legate all’energia dei combustibili fossili – e poi la guerra aperta, in cui il più grande stato territoriale in Europa è soggetto alla conquista del suo vicino. Non voglio in alcun modo sottovalutare la rottura rappresentata dall’invasione. Appartiene al mondo che sto descrivendo, nel senso che la Russia e l’Ucraina erano un problema crescente. Tuttavia, anche il modo in cui Putin ha scelto di affrontare quella persistente faglia ha cambiato radicalmente il mondo.
Scrivi di come il boom delle esportazioni di shale oil dall’America, insieme alla strategia energetica di Angela Merkel intorno alla Russia, abbia fissato i parametri della politica europea negli anni Dieci del duemila. Stiamo assistendo a una configurazione simile per quanto riguarda le esportazioni di gas nazionale liquido (Gnl), che sono in aumento proprio ora negli Stati uniti? C’è anche una discussione su un contemporaneo declino della capacità di produzione industriale in Germania. Il declino tedesco e l’esuberanza Usa potrebbero essere descritti come un seguito degli anni Dieci? O si tratta di un nuovo sviluppo? Quanta continuità c’è? Si tratta di una dinamica simile ma al contrario, perché la Germania ora deve rivolgersi alle esportazioni di gas Usa piuttosto che russe?
C’è ovviamente una rottura, dato che il 24 febbraio la Germania non aveva approdi di Gnl, per non parlare della capacità di importazione di approvvigionarsi di Gnl dagli Stati uniti o da qualsiasi altra parte. Penso che si possa raccontare una storia permanente sulla concorrenza strutturale tra Stati uniti e Russia per i mercati europei del gas negli anni Zero e Dieci. Si tratta di una competizione che la Russia aveva, in gran parte, anche se non del tutto, visto negli anni Dieci.
Tuttavia, penso che Putin fosse terrorizzato dal crescere della concorrenza all’inizio del decennio. Mentre la Polonia e i paesi baltici vedono il Gnl americano come un’ancora di salvezza per la sovranità, il grande obiettivo per gli Stati uniti è sempre stato la Germania. La Germania non si è mossa dallo status quo. Questo nonostante il problema del transito di North Stream 2 e la capacità degli Stati uniti di esercitare molta pressione sulla Germania, cosa che ha fatto durante gli anni di Trump.
Nel maggio del 2021, quando l’amministrazione Biden ha tolto le sanzioni al North Stream 2, si potrebbe dire che la Germania aveva vinto, nel senso di poter affermare la propria autonomia nel decidere tra fornitura russa e statunitense. La guerra rappresenta dunque un capovolgimento completo. Non si tratta di un’inversione a U di cui la Germania è interamente responsabile.
In effetti, la Germania ha continuato a importare petrolio dall’est attraverso l’oleodotto Yamal-Europa. Quindi, sebbene Olaf Scholz abbia retoricamente separato la Germania dal rapporto sul gas con la Russia il 27 febbraio 2022 nel discorso di Zeitenwende, nulla è effettivamente cambiato materialmente fino a quando la Russia non ha fatto la sua mossa. Dopo le esplosioni del North Stream a settembre, ora è piuttosto difficile per la Germania cambiare idea senza dover attraversare una grave crisi nei suoi rapporti con Washington.
Un tema chiave in Disorder è la tensione tra Ue e Nato sulla sicurezza e l’energia, che è caratterizzata sia da interessi in competizione che da un miscuglio sintetizzato di priorità geografiche. Francia e Germania spiccano, storicamente, sia in termini di politica monetaria che di politica energetica, per la volontà di distinguersi dal più ampio progetto atlantista. La Francia ha tentato di raggiungere questo obiettivo attraverso l’autonomia energetica e l’energia nucleare, e la Germania attraverso una rigorosa politica monetaria. Ovviamente, la Germania ora fa molto più affidamento sugli Stati uniti per l’energia, mentre la Francia sotto Macron sta ancora perseguendo una strategia nucleare. Pensi che le tensioni che hai tracciato negli anni Zero e Dieci continueranno? O assisteremo a un più vasto allineamento tra Nato e Ue? O le contraddizioni materiali tra i due sono ancora un fattore vincolante? L’attuale schieramento retorico sull’Ucraina è una sorta di contraccolpo in una lunga storia di tensione?
Se si osserva la posizione franco-tedesca e, in particolare, alla posizione francese sotto Macron, allora questa ne è chiaramente l’esito. Se ripensi all’estate del 2019, Macron faceva discorsi dicendo che se l’Europa non verrà inghiottita dalla competizione tra Stati uniti e Cina e scomparirà, allora l’Europa ha bisogno di un reset con la Russia.
Parla in un linguaggio civilizzato della Russia come parte dell’Europa e sembra ammirare la volontà di Putin di fare lo stesso. Se guardi gli altri discorsi che Macron stava tenendo in quel periodo, sosteneva che «la Nato è cerebralmente morta». Il mondo ora – sulla Nato, l’Ue e l’autonomia strategica europea – è lontanissimo dal 2019. C’è un abisso tra ciò che Macron aveva in mente nel 2019 e dove siamo ora.
C’è un definitivo allineamento retorico sull’Ucraina sia con la Nato che con l’Ue. Ma un’altra questione è se l’allineameto sia anche materiale. Ho letto di recente lo storico dell’economia Adam Tooze sul divario tra la retorica che circonda gli aiuti all’Ucraina e la spesa effettiva. Ad esempio, Polonia, Estonia e Lituania, pro capite, stanno spendendo molto di più per gli aiuti all’Ucraina rispetto a Germania, Francia o Regno Unito. Ovviamente, ci sono ragioni storiche e geografiche per questa differenza. Ma il «fronte unito» nasconde diverse articolazioni di priorità in relazione alla sicurezza dell’Ue.
Assolutamente sì. Se si prende la questione dello status di candidato dell’Ucraina all’Ue, è abbastanza chiaro che Macron è, nella migliore delle ipotesi, tiepido. Preferirebbe una comunità politica europea che includa Gran Bretagna, Ucraina e un paio di altri paesi come valori anomali in una gerarchia. Una volta considerato che per far entrare l’Ucraina nell’Ue, dovrebbe entrare nella Nato (perché non esiste una politica di sicurezza dell’Ue concreta o attuabile), allora le cose si complicano.
Sull’Ucraina, in relazione all’adesione all’Ue nel 2014, sostengo che quando si guardano tutti gli altri casi di adesione, o si ottiene prima l’adesione alla Nato e poi l’adesione all’Ue o si ottengono entrambe nello stesso anno, come i baltici. Non è possibile avere l’adesione associata all’Ue per l’Ucraina senza l’adesione alla Nato. Guarda cosa è successo nel 2014. Ciò solleva interrogativi profondi perché Macron dice chiaramente che non vuole che la Russia sia umiliata, ma l’adesione alla Nato per l’Ucraina è chiaramente un’umiliazione per la Russia. C’è un abisso tra le parole di sostegno all’Ucraina, a questo proposito, e la sua traiettoria materiale a lungo termine.
Non ci sono state discussioni serie e pubbliche sulla posizione dell’Ucraina una volta che la guerra sarà finita. È un satellite della Russia? È uno stato cuscinetto indipendente ma neutrale? È un membro pienamente integrato dell’Ue e della Nato? O inverte la tendenza e in qualche modo si unisce a una sola organizzazione?
Penso che Macron preferirebbe pensarla in termini di stato cuscinetto piuttosto che attraverso il prisma dell’appartenenza alla Nato o all’Ue.
Al momento Macron sul tema non si esprime da un po’.
Penso che ogni volta che cerca di dire qualcosa sia interpretato in modo meno che caritatevole. Direi che dove il teso rapporto Ue-Nato in realtà non scompare è la questione della Turchia. La guerra ha riportato alla luce il motivo per cui la linea di faglia Ue-Nato taglia in modo così profondo e problematico. Ho trascorso molto tempo sulla politica estera della Turchia in Disorder, probabilmente tanto tempo quanto ne ho dedicato all’Ucraina. Le ho gestite come storie parallele
Sì, i parallelismi tra Turchia e Ucraina sono interessanti. Esponi questa immagine di un arco di energia, consumato nell’Europa centrale, che ha due flussi concorrenti: uno originato dall’Azerbaigian e in transito attraverso la Turchia e un altro originato dalla Russia e in transito attraverso Ucraina e Polonia.
Sono entrambi stati di transito. La speranza della Turchia è che avrà entrambe le cose: essere un hub di transito per il gas non russo, in particolare le forniture azere e forse iraniane, e una rotta per l’energia russa. La guerra ha mostrato quanto la Turchia sia ancora problematica riguardo alle relazioni Ue-Nato.
Macron viene fuori con il commento sulla «morte cerebrale» della Nato, in particolare in risposta a ciò che la Turchia stava facendo in Siria sia contro i curdi che contro il governo di Assad. Tuttavia, ciò che la guerra ucraina ha dimostrato è che se c’è un conflitto nel Mar Nero, la Turchia è assolutamente indispensabile per la sicurezza della Nato. Non è possibile risolvere il disallineamento Ue-Nato bandendo la Turchia dalla Nato. Ciò è ampiamente chiarito da quello che sta accadendo in Ucraina.
Tornando all’Azerbaigian, abbiamo visto Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, parlare con Ilham Aliyev, presidente dell’Azerbaigian, a Baku l’anno scorso, per garantire un accordo energetico per l’Ue. C’è una strana discrepanza tra l’affermare che si ridurrà il proprio consumo di energia e la dipendenza dalla Russia a causa dei suoi diritti umani, dell’espansionismo e dell’aggressione e tuttavia, parallelamente, andare col cappello in mano da un governo che sta commettendo brutali crimini di guerra contro gli armeni nel Nagorno-Karabakh. Eppure, sembra che tutto ciò sia strategicamente giusto per alcuni politici dell’Ue. C’è un Comma 22, per cui se sosteniamo che non possiamo ottenere energia eticamente dalla Russia, miniamo fondamentalmente la nostra capacità di ottenerla moralmente da qualsiasi luogo al di fuori di pochi paesi selezionati. Diresti che l’ipocrisia morale attualmente sembra l’opzione migliore rispetto all’estrema scarsità per la classe dirigente dell’Ue?
È un dilemma sulla scelta di come morire. Ovviamente, non tutti in Europa possono ottenere più forniture di gas dalla Norvegia. Anche un fornitore di energia come l’Algeria pone una serie di complicazioni, anche a causa delle controversie tra Algeria e Marocco sul Sahara occidentale e il fatto che gli Stati uniti riconoscano la pretesa di Rabat contro quella di Algeri.
Se si torna alla storia delle relazioni sul gas, in particolare tra Unione sovietica, paesi dell’Europa centrale e Italia, il grande passo per le reciproche relazioni energetiche è avvenuto subito dopo l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968. Negli anni Ottanta, quando il volume di gas verso l’Europa fu aumentato a causa della costruzione del gasdotto transiberiano, l’Unione sovietica stava invadendo anche l’Afghanistan e imponendo la legge marziale in Polonia. C’è stata tutta una storia di completa indifferenza in Europa, completa indifferenza etica. Tuttavia, non sto dicendo che sia giusto o sbagliato dal punto di vista geopolitico.
*Helen Thompson è professoressa di economia politica all’Università di Cambridge. Ha scritto Disorder: Hard Times in the 21st Century (Oxford University Press, 2022). Samuel McIlhagga è un reporter e critico letterario, si occupa di affari esteri, cultura e teoria politica. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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