Mezzi, dalla parte dei corpi
Nella tradizione filosofica maschile i mezzi sono per lo più pensati in modo da rendere i corpi invisibili, rimuovendone così il potenziale politico
In un passaggio di Sputiamo su Hegel (1970), tra i testi fondatori del femminismo italiano degli anni Settanta, Carla Lonzi scriveva: «il problema femminile è di per sé mezzo e fine dei mutamenti sostanziali dell’umanità. Esso non ha bisogno di futuro». Significativo che nell’ambito della sua critica alla dialettica hegeliana, Lonzi demolisca il nesso causale che, nel pensiero filosofico occidentale, ha tradizionalmente subordinato i mezzi al conseguimento di un fine, implicitamente considerato come più elevato (il famoso «il fine giustifica i mezzi»). In una prospettiva femminista è infatti necessario uscire dal paradigma secondo il quale il fine è ciò che conferisce significato ai mezzi, in quanto rimanda a una visione teleologica di processi storici e umani, secondo la struttura finalista della dialettica hegeliana che Lonzi considera nel suo intreccio con il dominio patriarcale. Pensare i mezzi e il fine in un’ottica femminista significa, al contrario, affermare che «non esiste la meta, esiste il presente». Per Lonzi, il riconoscimento delle donne come soggetto politico si colloca nel presente, in opposizione alla concezione hegeliano-marxista della temporalità della storia come movimento proteso verso l’avvenire. Quest’ultimo è infatti carico di false promesse per le donne, in quanto nell’assegnare loro il compito della continuazione della specie, il patriarcato ha trasformato i corpi femminili in meri mezzi di riproduzione. Nell’ottica patriarcale il fine, in questo caso l’avvenire dell’umanità, giustifica dunque tanto l’assoggettamento dei corpi femminili, quanto la loro rimozione dalla storia.
La breve citazione tratta da Sputiamo su Hegel fa in qualche modo da spartiacque al denso e ambizioso volume che Elettra Stimilli dedica a un’analisi critica della questione dei mezzi nel pensiero occidentale e del suo significato politico. Se infatti nella prima parte del libro – «Le ragioni dei mezzi» – l’autrice ripercorre la concettualizzazione dei mezzi nella filosofia occidentale, nella seconda parte – «Corpi che insorgono» – che si apre significativamente con le parole di Lonzi, Stimilli affronta il problema del ruolo politico dei mezzi a partire da una prospettiva che metta al centro il corpo, riprendendo una serie di posizioni della teoria femminista contemporanea. In Filosofia dei mezzi. Per una nuova politica dei corpi (Neri Pozza, 2023), l’autrice, filosofa e docente all’Università di Roma La Sapienza, analizza il modo in cui il pensiero filosofico occidentale si è interessato ai mezzi soltanto in rapporto ai fini, in una visione teleologica che rimuove il corpo dal proprio orizzonte, cancellando con esso anche la sessuazione del mondo.
Pensare i mezzi nella filosofia europea significa dunque pensare la storia come un continuum orientato a una finalità e la soggettività come disincarnata (e dunque implicitamente maschile). Nella versione hegeliana, la storia è intesa come «dinamica universale evolutiva volta ad un compimento finale», secondo la logica di una razionalità strumentale, che, come scriveva Hannah Arendt, ha trasformato la storia in un processo e la politica in un mezzo per realizzare scopi. La razionalità occidentale, scrive Stimilli, ha sempre pensato i mezzi come componente subalterna di una dinamica che si autoafferma «a partire dall’identificazione preliminare e univoca del senso con lo scopo». Nell’evocare il potere politico della teoria di produrre una visione disincarnata e neutrale tanto della storia che della soggettività, dietro la quale si cela la soggettività dei dominanti, l’autrice propone una critica serrata di quella che Gayatri Chakravorty Spivak definiva come la «violenza epistemica» della razionalità occidentale e dell’uomo bianco suo creatore.
Nella tradizione filosofica maschile i mezzi sono per lo più pensati in modo da rendere i corpi invisibili, rimuovendone così il potenziale politico. Rari sono stati i tentativi di ancorare il problema dei mezzi alla materialità dei corpi (Spinoza, Nietzsche), che però non sono mai pensati come corpi sessuati. L’autrice si sofferma in particolare su alcuni frammenti in cui Walter Benjamin tenta di sganciare i mezzi dallo scopo finale, nell’ambito della sua critica della teleologia, ovvero dello scopo finale come ciò che da senso ai mezzi. Questa «teleologia senza scopo finale» è al centro del tentativo di Benjamin di definire il ruolo politico dei mezzi senza sganciarli dai corpi e dalla vita, laddove il corpo viene inteso nella sua dimensione collettiva, come «corpo vivente dell’umanità». Questo passaggio è particolarmente importante perché mostra come, per pensare l’intreccio tra i mezzi, il corpo e la politica, sia necessario minare le basi di una concezione della storia come un processo razionale che percorre un tempo rappresentato come vuoto e omogeneo. È infatti a partire da questa struttura che l’uomo bianco ha costruito il suo potere sui corpi e sulla storia.
Il nodo della capacità politica dei corpi è introdotto da un sorprendente intermezzo che separa le due parti del libro, in cui l’autrice riprende un aneddoto legato alla Resistenza raccontato dalla storica Anna Bravo. Durante la guerra, un’anziana contadina avrebbe impedito ai tedeschi di trovare le armi nascoste nella sua stalla con il gesto di urinare in quel preciso punto, proprio di fronte ai soldati allibiti, salvando così sé stessa e i partigiani. Questo gesto inaspettato, che naturalmente non trova spazio nella narrazione eroica e maschile della resistenza, per Stimilli esemplifica «l’irruzione del corpo come strumento politico […] sintomo della forza – politica – dei corpi». La banalità dell’atto, in tutta la sua trivialità, rimanda proprio a quello scenario rimosso, perché implicitamente osceno, che il pensiero filosofico si era sforzato di occultare.
Se la filosofia occidentale ha rimosso il corpo dalla concettualizzazione dei mezzi, è possibile invece pensare i mezzi insieme ai corpi? O meglio, in quali termini il pensiero e la prassi politica contemporanea, e segnatamente quelle femministe, aprono una prospettiva inedita per pensare i mezzi dalla parte dei corpi? È questa la vera domanda al centro del libro di Elettra Stimilli ed è significativo che emerga nel modo più limpido nelle pagine dedicate al nesso che tiene insieme riproduzione sociale e politica che si afferma in particolare con i movimenti femministi degli anni Settanta. Centrale qui è la questione del lavoro riproduttivo assegnato alle donne, al quale viene però negato il riconoscimento sociale del lavoro in quanto attività retribuita. La mistica della maternità altro non è che estrazione di valore a partire dalla sua negazione, il velo dietro al quale si cela l’assoggettamento della funzione riproduttiva alla produzione di forza lavoro. È dunque il femminismo che ha permesso l’elaborazione radicale della sessuazione come pratica sociale, a partire dalla quale diventa possibile pensare non tanto il corpo come mezzo – i «mezzi di riproduzione» che rendono i corpi invisibili – ma i mezzi dalla parte dei corpi.
Il femminismo degli anni Settanta ha infatti contestato la strumentalizzazione del corpo femminile squarciando il velo di quello che Silvia Federici e altre hanno chiamato «il lavoro dell’amore», riposizionando la questione dei mezzi in rapporto ai corpi, tanto sul piano materiale che su quello simbolico, dell’immaginario di genere a essi associato. Sarà il compito dei femminismi a cavallo tra i due millenni quello di rendere visibile la capacità dei corpi di essere al contempo mezzi politici e luoghi di vitalità e di cura, o come scrive l’autrice in conclusione del suo libro, come «mezzi comuni di riproduzione sociale».
*Giovanna Zapperi, è professoressa ordinaria di Storia dell’arte contemporanea all’Università di Ginevra. Tra le sue pubblicazioni, in italiano: Carla Lonzi. Un’arte della vita (Derive Approdi 2017), L’artista è una donna: la modernità di Marcel Duchamp (ombre corte 2014) e, con Alessandra Gribaldo, Lo schermo del potere: femminismo e regime della visibilità (ombre corte 2012).
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