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Polonia, il governo contro le donne

Paulina Spiechowicz 29 Ottobre 2020

La cancellazione quasi totale del diritto all'aborto da parte della corte costituzionale polacca è frutto di una più ampia caccia alle streghe contro le donne. Ma la risposta è stata un'ondata di scioperi e manifestazioni in tutto il paese

Nel libro Caccia alle streghe, Guerra alle donne, tradotto in Italia da Nero edizioni, la studiosa Silvia Federici mostra come la demonizzazione delle donne e la loro messa al rogo abbia coinciso con l’avvento del capitalismo e del mondo moderno: «La caccia alle streghe fu uno degli strumenti con cui in Europa le donne furono educate ai loro nuovi compiti sociali e la resistenza delle “classi inferiori” al potere dello Stato fu sconfitta», scrive Federici. Si voleva così distruggere quel prezioso patrimonio femminile che riguardava l’uso delle erbe, dei mezzi utili per la contraccezione o l’aborto. La donna era vista sì come un pericolo, ma la sessualità femminile, se opportunamente canalizzata, poteva diventare una potente risorsa economica: «Una volta che il suo potenziale sovversivo fu esorcizzato attraverso la caccia alle streghe, la sessualità femminile poté essere recuperata nel contesto matrimoniale e indirizzata a fini procreativi».

L’annuncio della quasi-totale cancellazione del ricorso all’aborto in Polonia sembra rispecchiare numerose delle dinamiche qui descritte: il bisogno di esorcizzare le streghe in una società dove il mercato diventa il fattore primario dei rapporti sociali, e genera impoverimento e disuguaglianze. La Polonia, uno dei pochi miracoli economici di questi ultimi anni in un’Europa profondamente in crisi, ha vissuto un passaggio dalla politica di stampo comunista del blocco sovietico all’introduzione di un’economia strutturata sul modello occidentale, e il susseguente ingresso di industrie straniere sul suo territorio per via della mano d’opera a basso costo. Come già scritto in un altro articolo, nel passaggio dal regime comunista alla democrazia liberale, sono state le donne a pagare il prezzo con la loro libertà: nel 1993, la sinistra cancellava l’aborto dalla legislazione, e lo rendeva praticabile solamente nei casi di malformazione del feto, di stupro, incesto o minaccia contro la vita della madre. Giovedì scorso, il 22 ottobre, il tribunale costituzionale polacco ha tuttavia stabilito che l’aborto sarà vietato anche in caso di una «malformazione grave e irreversibile» di un feto o di una «malattia incurabile o potenzialmente mortale», rendendo di fatto il divieto di ricorso alla pratica dell’aborto quasi-totale. Nel 2019, 98% dei 1.100 aborti legali in Polonia riguardavano la malformazione del feto. 

La proposta è stata avanzata da un gruppo di deputati del PiS (Partito Diritto e Giustizia) – ora al potere – e dal partito di estrema destra Konfederacja. Già nel 2016, poi nel 2018, due progetti di legge erano stati presentati dai «pro-life» che cercavano di abolire l’aborto, secondo loro il criterio della patologia dell’embrione era «una legalizzazione delle pratiche eugenetiche contro i bambini non nati, contraria ai principi del rispetto della dignità umana». Entrambe le volte, le proposte erano state abbandonate a seguito delle «manifestazioni nere» che avevano attraversato il paese, chiamate in Polonia «czarny protest», letteralmente «protesta nera», nelle quali le donne si erano vestite di nero per simbolizzare la fine della scelta se abortire oppure no. C’è il dubbio che il governo, questa volta, abbia approfittato di far passare la manovra per sviare l’attenzione del paese sulla gestione caotica della crisi sanitaria del Covid. 

Strajk kobiet: la manifestazione nera 

Dopo l’annuncio della decisione da parte del tribunale, migliaia di donne si sono riversate per le strade, supportate dalla comunità Lgbt – anch’essa nel mirino del PiS, e tra i manifesti spiccavano le scritte «le checche con le donne». Da allora, le città sono bloccate, alcuni negozi sono rimasti chiusi in solidarietà con il movimento di protesta, mercoledì 28 ottobre è stato indetto uno sciopero generale, venerdì 30 ottobre una manifestazione nazionale. Con una tale manovra, l’uomo forte del paese, Jaroslaw Kaczynski, ha innescato una guerra culturale di cui rischia di perdere il controllo. Domenica 25 ottobre, numerose chiese sono state testimoni di perturbazioni durante la messa, vandalizzate da graffiti e pitture rosse lasciate nei cortili, simbolo della protesta in corso. Si assiste a reazioni inaudite non solamente nelle grandi città, ma anche in quelle più modeste – considerate storicamente conservatrici – fino ad arrivare alle comunità rurali. A Nowy Gwor Gdanski, per esempio, cittadina di appena 10.000 abitanti, domenica scorsa gli agricoltori hanno fatto sfilare una decina di trattori in sostegno alle manifestazioni. 

Dinanzi a queste «profanazioni» al seno di quello che voleva essere il bastione cattolico dell’Europa, le deputate del PiS si sono presentate, martedì 27 ottobre, vestite in parlamento con una camicia bianca, in opposizione all’abbigliamento nero delle manifestanti e con un evidente rimando alla demonizzazione delle donne propria della caccia alle streghe, che storicamente erano proprio le donne che volevano disporre liberamente del proprio corpo, della sessualità, e della riproduzione. 

Traduzione didascalia: I demoni del male (in bianco), contro gli angeli della verità (in nero). Chi scegliete?

Un attacco alla dignità e ai diritti delle donne

Questa caccia alle streghe ha creato un vero e proprio regime di terrore per le donne in Polonia, e si temono ripercussioni gravi. C’è infatti il rischio di un drastico aumento del numero di aborti clandestini e una marcia indietro per la medicina prenatale. Oggi si stimano a 200.000 l’anno gli aborti clandestini in Polonia, cifra che tiene conto del «turismo dell’Interruzione di gravidanza» e l’utilizzo di metodi farmacologici disponibili su internet. La Polonia rappresenta inoltre uno dei paesi europei dove l’accesso alla contraccezione è più difficile, al pari della Bielorussia, l’Ucraina o la Turchia.

Questa politica si scontra del resto con la maggioranza della volontà della popolazione: se nel 2016 quasi due terzi dei polacchi si dichiaravano per il mantenimento dello status quo legislativo, uno studio fatto nel 2019 ha mostrato che il 53% degli interrogati erano favorevoli alla legalizzazione dell’aborto fino alla dodicesima settimana di gravidanza, e solo il 10% si era pronunciato per porre delle restrizioni maggiori. Ma soprattutto, si tratta di una manovra che toglie ogni dignità alla donna e, come dichiarato anche dal commissario dei diritti umani del Consiglio europeo, la bosniaca Dunja Mijatovic, rappresenta una «violazione ai diritti umani». Cancella difatti ogni suo potere decisionale, e lo fa a colpi di tortura. Le impone così di ricorrere a pratiche illegali, pericolose, oppure a vivere con traumi spesso irreversibili. La Polonia continua a figurare come il cattivo alunno dell’Unione europea, e le donne sono le vittime (oppure le madri-eroine) di una politica ultraconservatrice e liberticida. 

*Paulina Spiechowicz, scrittrice e ricercatrice universitaria, è nata in Polonia e cresciuta in Italia. Vive tra Parigi e Beirut, dove insegna storia dell’arte.

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