
Cartellino rosso alla guerra
Il «doppio standard» calcistico su Palestina e Ucraina dice molto di quanto questo sport sia diventato elemento fondamentale nella definizione degli equilibri della geopolitica mondiale
Quando nel febbraio del 2022 è scoppiata la guerra in Ucraina, le massime istituzioni del calcio mondiale non hanno esitato a prendere posizione, contraddicendo il principio che professano da sempre – e che a dire il vero tirano fuori a seconda della convenienza – secondo cui «la politica deve rimanere fuori dal calcio». Fifa, Uefa e diverse Leghe e Federazioni nazionali hanno invece organizzato manifestazioni di solidarietà e vicinanza con l’Ucraina, utilizzando gli stadi di calcio per diffondere il proprio messaggio e la propria visione della situazione.
La Premier League, ad esempio, per il primo weekend di marzo decise di organizzare diverse azioni di solidarietà annunciate in pompa magna con un comunicato diffuso nelle ore precedenti l’inizio del turno di campionato, tra cui: fascia dei capitani con i colori della bandiera ucraina, minuto di silenzio all’inizio di ogni partita della giornata e la scritta «Football Stands Together» sullo sfondo dei colori giallo e blu della bandiera ucraina proiettata sui maxi schermi.
La stessa Federazione Italiana Giuoco Calcio (Figc), appena due giorni dopo lo scoppio del conflitto, aveva disposto di posticipare di cinque minuti il fischio d’inizio delle partite, sia delle leghe professionistiche che di quelle dilettantistiche, come segnale di pace.
Sempre in Italia, la Lega Serie A e i venti club che la compongono, decisero – di comune accordo – che, a partire dalla 31ª giornata della Serie A 2021/2022, tutti i capitani sarebbero scesi in campo indossando la fascia con la scritta «Peace». Non solo, in occasione del big match Juventus-Inter la cantante italo-brasiliana Gaia e la cantante ucraina Kateryna Pavlenko, leader del gruppo Go_A, si esibirono sul campo di gioco, poco prima del fischio di inizio, cantando Imagine di John Lennon (vi ricorda qualcosa?) con il benestare, ovviamente, del presidente della Lega Serie A, Lorenzo Casini.
La Fifa e l’Uefa, dal canto loro, il 28 febbraio 2022, vale a dire quattro giorni dopo l’inizio del conflitto, avevano deciso di sospendere le squadre russe, club e nazionali, da ogni competizione per la violazione dello Statuto della Fifa e, in segno di vicinanza al popolo ucraino, hanno interrotto anche la partnership con lo sponsor russo Gazprom. Sanzioni sportive e sanzioni economiche che potremmo definire come un vero e proprio boicottaggio dall’alto.
La Fifa e l’Uefa – così come le Federazioni e le Leghe nazionali – hanno invece assunto un atteggiamento totalmente differente, per non dire opposto, quando nell’ottobre del 2023, vale a dire un anno e mezzo dopo lo scoppio del conflitto russo-ucraino, Israele ha cominciato le proprie operazioni militari in Palestina. Qualsiasi calciatore manifesti pubblicamente vicinanza al popolo palestinese viene severamente punito. Qualsiasi tifoso provi a introdurre e sventolare una bandiera della Palestina dagli spalti di un qualsiasi stadio viene immediatamente fermato. Al contrario, dagli impianti di numerosi club europei (soprattutto in Germania) vengono continuamente diffusi e mostrati messaggi di solidarietà e vicinanza a Israele.
Il 17 ottobre 2023, l’Uefa indice un minuto di silenzio prima dell’avvio di tutte le gare valide per le qualificazioni ad Euro 2024 in ricordo delle sole vittime israeliane del 7 ottobre. Scena che si ripeterà il 9 novembre 2023, sempre per volere dell’Uefa, prima dell’incontro di Europa League tra il Maccabi Haifa e il Villarreal. A differenza di quanto visto per la Russia, le squadre israeliane – sia di club che nazionali – sono, infatti, libere di continuare a partecipare a tutte le competizioni Fifa e Uefa, comprese le qualificazioni per Euro 2024 e la Nations League, competizione per la quale la nazionale maggiore israeliana verrà a giocare anche in Italia, a Udine, nel settembre 2024. Nessuna esclusione, dunque, per la Federazione Calcistica Israeliana (Ifa) nonostante le 265 strutture sportive palestinesi rase al suolo dalla furia devastatrice dell’Esercito di Difesa Israeliano e gli oltre 250 calciatori palestinesi uccisi, per rimanere nel solo ambito sportivo. Nessuna sanzione, esclusione o boicottaggio dall’alto nonostante la Federazione Calcistica Palestinese (Pfa), nel marzo 2024, abbia ufficialmente richiesto alla Fifa di prendere provvedimenti nei confronti dell’omologa israeliana per le ripetute violazioni dello stesso statuto della Fifa, la cui violazione era costata l’esclusione alla Federazione Calcistica Russa (Rfs) e più di recente è costata la sospensione alla Federazione Calcistica del Pakistan e a quella del Congo.
Un evidente «doppio standard» di pensiero e d’azione che ci dice molto di quanto oggi il calcio sia diventato un elemento fondamentale, quasi imprescindibile, nella definizione degli equilibri della geopolitica mondiale. Lungi dall’essere «semplice intrattenimento», il calcio in quanto fenomeno sociale di massa viene continuamente utilizzato da chi detiene il potere politico e mediatico per influenzare e direzionare il sentire comune. Negli stadi di calcio del mondo si giocano partite ben più importanti di quelle che quotidianamente vediamo andare in scena sul rettangolo verde di gioco. Un’evidenza che dev’essere ben chiara dalle parti di Glasgow dove c’è chi sta provando a ribaltare il tavolo per riappropriarsi di uno spazio evocativo come pochi altri al mondo. Parliamo della tifoseria del Celtic di Glasgow che sta dando vita a uno straordinario tentativo di ripoliticizzazione del tempio-stadio mettendo al centro del proprio agire quella che, a oggi, è la questione madre ossia la questione palestinese.
Tra la tifoseria del Celtic spicca per la spettacolarità delle coreografie e della sua irriducibilità al sostegno alla causa palestinese il gruppo ultras Green Brigade. È proprio questo gruppo ad aver ideato e lanciato la campagna «Show Israel the Red Card», assieme alla squadra palestinese Lajee Celtic, fondata proprio grazie al contributo della tifoseria del Celtic:
La Green Brigade ha una lunga storia di solidarietà con il popolo palestinese e la sua lotta per la liberazione; nel 2016, durante uno spareggio di Uefa Champions League contro una squadra proveniente da Israele, abbiamo esposto una coreografia in solidarietà con la Palestina. Come azione preventiva rispetto alla multa Uefa che sarebbe seguita, abbiamo lanciato l’iniziativa «Match the Fine for Palestine» con l’obiettivo di raccogliere 10.000 sterline per Medical Aid for Palestinians e Lajee Center, e per denunciare l’ipocrisia dell’Uefa. Alla fine, siamo riusciti a raccogliere oltre 170.000 sterline e a dare vita al nostro progetto Lajee Celtic. Dalla nostra esperienza e dal regolare confronto con i nostri amici in Palestina, sappiamo che le dimostrazioni di solidarietà hanno un impatto reale sul campo. Tuttavia, da sole non bastano, ed è per questo che cerchiamo sempre di fare di più. Il nostro progetto Lajee Celtic è fondamentale in questo senso, perché va oltre la solidarietà: fa davvero la differenza nella vita quotidiana attraverso opportunità sportive e lavorative.
«Show Israel the Red Card» è una campagna che punta a portare la stessa coreografia e lo stesso messaggio negli stadi di tutto il mondo «per fare pressione sulle autorità calcistiche, in particolare Uefa e Fifa, affinché sospendano Israele dalle competizioni calcistiche, oltre a denunciare la loro ipocrisia», come ci hanno detto i membri della Green Brigade con cui abbiamo parlato. Ad oggi sono 99 le tifoserie o gruppi organizzati che hanno aderito alla campagna in 27 nazioni sparse su tutti i continenti, per un totale di 116 azioni: «Una risposta – continuano – estremamente positiva in tutto il mondo calcistico. Alcune delle azioni di altri gruppi sono state condivise sui social media di Lajee Celtic Twitter/Instagram, North Curve Celtic Twitter, Green Brigade Instagram e su vari altri account pro-Palestina. Ci sono ancora molte altre azioni in programma che speriamo di condividere nei prossimi giorni e settimane». In Italia la campagna è stata coordinata dal collettivo «Calcio e Rivoluzione» registrando circa trenta iniziative di tifoserie che mostravano il cartellino rosso a Israele. Della massima serie italiana ha aderito la tifoseria dell’Empoli che, durante la partita casalinga giocata contro l’Atalanta lo scorso 23 febbraio, ha mostrato una compatta ed efficace coreografia e una parte della tifoseria dell’AS Roma, non riconducibile a nessun gruppo del tifo organizzato giallorosso che ha realizzato un murales nei pressi del Gazometro che rimanda direttamente alla campagna. Nello stesso weekend anche la Curva Nord del Pisa, squadra che milita in Serie B, ha dato vita a una bellissima coreografia raffigurante Handala, fumetto simbolo palestinese, con un cartellino rosso in mano che rimandava alla campagna mentre la Curva Est della Ternana ha riempito gli spalti del Libero Liberati di cartellini rossi con tanto di striscione con su scritto lo slogan della campagna in occasione del big match del penultimo turno di campionato (Serie C) vinto contro la Torres. Campagna che ha visto il protagonismo anche di tantissime realtà del cosiddetto calcio popolare, che da nord a sud hanno mostrato il cartellino rosso a Israele e gridato alla Fifa, come alla Figc, tutto il loro disappunto per un silenzio che sa tanto di complicità.
Un risultato per nulla scontato, considerando che la sfida lanciata dalle Green Brigade e raccolta da tantissime tifoserie non è banale, né tantomeno semplice. Se c’è però una cosa che ci ha insegnato la resistenza palestinese nei suoi decenni di lotta è che non ci si può arrendere mai, nemmeno se il nemico è più grande e ci sembra infinitamente potente.
Il capitale ha sottomesso alla propria logica del profitto ogni necessità della nostra vita: da quelle di base, come l’istruzione e la sanità, a quelle ricreative, come, appunto, il calcio. Perciò se riconosciamo nella causa palestinese un esempio paradigmatico per la lotta al potere imperialista occidentale e quindi un ennesimo fronte di lotta al capitalismo non possiamo non riportarla in tutte le nostre lotte e i nostri contesti, e per quanto banale ci possa sembrare, anche negli stadi di calcio. Dobbiamo farlo non solo perché sono «grandi vetrine», ma perché in quel luogo si svolge una grande partita di egemonia culturale da parte di chi il potere oggi lo detiene e detta le regole del gioco che a noi, da tifosi e tifose, tocca cambiare. Per dirla con le parole della Green Brigade:
è difficile dire cosa succederà dopo, e non vogliamo fare promesse eccessive né parlare a nome di altri coinvolti. Speriamo che attivisti e sostenitori della Palestina in tutto il mondo possano trarre ispirazione dalla campagna Red Card e utilizzarla nelle loro rispettive lotte. Lajee Celtic è nato proprio da una campagna globale di solidarietà, quindi chissà cosa potrebbe nascere dopo Red Card…
*Andrea Ponticelli, attivista da più di dieci anni nelle lotte di Napoli e provincia, fa parte del progetto di Calcio&Rivoluzione di cui è tra i principali promotori. Gabriele Granato, attivista sociale, frequentatore di stadi e collezionista di t-shirt da gioco, è appassionato di sport e politica ed è tra i fondatori del progetto Calcio&Rivoluzione.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.