
C’è un giudice ad Atene
Dopo decenni di attacchi omicidi contro migranti e persone di sinistra, un tribunale greco ha stabilito che Alba dorata è un'organizzazione criminale. Un verdetto che aiuta la resistenza contro le forze di estrema destra
Magda Fyssas è uscita dall’aula del tribunale di Atene dopo il verdetto, alzando i pugni. «Ce l’hai fatta! Figlio mio, l’hai fatto!» ha esclamato con la voce roca. Intorno alla corte, una folla di decine di migliaia di persone ha cantato il nome del suo defunto figlio: «Pavlos vive! Combatti il nazismo!»
Mercoledì mattina, dopo un processo durato cinque anni e mezzo, è stato annunciato il verdetto nel procedimento penale contro il partito neonazista Alba dorata. Il partito è stato dichiarato colpevole di un attacco a membri di un sindacato, del tentato omicidio di un gruppo di pescatori egiziani e, cosa più nota, dell’omicidio del rapper antifascista Pavlos Fyssas, quel figlio che Magda Fyssas ha invocato sui gradini del tribunale. Il caso è culminato con la sentenza che ha certificato come Alba dorata sia stata fondata e operava come organizzazione criminale. Mentre le notizie filtravano dall’aula, un applauso ha squarciato la folla.
«Questa sentenza è storica – ha detto Lefteris Papagiannakis, membro dell’osservatorio legale che ha seguito il processo passo per passo – Riconosce quello che molti di noi hanno detto per molti anni. E quello che il movimento antifascista ha affermato per decenni: che Alba dorata è un’organizzazione criminale».
Il caso contro Alba dorata ha appassionato la Grecia, in parte a causa della sua estensione. Ci sono stati sessantanove imputati (diciotto dei quali erano ex parlamentari) accusati di oltre cento episodi di violenza, in un processo che ha coinvolto 120 testimoni e ha impegnato il tribunale per 454 giorni. Inoltre, il caso ha illuminato le linee di frattura in un paese che deve affrontare una crisi economica schiacciante, l’ascesa dell’estrema destra e l’afflusso di migranti. Per un decennio Alba dorata si messa al centro di queste contraddizioni, sostenendo che la sua ideologia fascista e le azioni violente fossero la soluzione dei problemi della Grecia. La sentenza è una boccata di aria fresca, ma non è chiaro se segni davvero la fine del movimento.
L’ascesa di Alba dorata
Alba dorata è nata nel 1980, come rivista di propaganda che spesso elogiava Adolf Hitler e altri fascisti e antisemiti. L’organizzazione è cresciuta, è stata riconosciuta come partito politico nel 1993 e ha iniziato a guadagnare terreno nell’estrema destra greca ponendosi al centro dei dibattiti sulla disputa sulla Macedonia e fomentando la paura dei migranti. Alla fine degli anni 2000, quando la Grecia ha resistito a una crisi economica debilitante seguita da anni di austerità, Alba dorata si è presentata come l’unico sostenitore dei greci oppressi. Nel 2010, il leader del partito Nikolaos Michaloliakos, chiamato il «Supremo Führer» dai membri del partito, è stato eletto nel consiglio comunale di Atene. Nelle elezioni parlamentari greche del 2012, il partito ha ottenuto il 7% dei voti, e diciotto seggi in parlamento.
Una costante della sua storia è stato il brutale uso della violenza. La chiave della struttura di Alba dorata erano le sue squadracce, che – sotto la specifica direzione dei leader del partito – pattugliavano i quartieri con l’obiettivo di picchiare, torturare e uccidere chiunque fosse al di fuori della loro visione del mondo, concentrandosi in particolare sui migranti. Le aggressioni raramente venivano segnalate alla polizia, sia a causa delle preoccupazioni delle vittime sul loro permesso di soggiorno, sia per il fatto che era noto che Alba dorata godesse del sostegno delle forze dell’ordine. Dopo le elezioni del 2012, diversi giornali e televisioni greci hanno stimato che oltre il 50% degli agenti di polizia dei servizi speciali ad Atene ha votato per il partito neonazista. In quartieri come Agios Panteleimonas di Atene o il porto del Pireo, le squadre di Alba dorata picchiavano e accoltellavano i migranti impunemente.
«C’era un’atmosfera di paura – ha testimoniato Naim Elghandour, presidente dell’Associazione musulmana greca – Abbiamo dovuto dire alla gente di non avere in tasca più di venti euro. Di portare con loro le fotocopie del documento d’identità e non l’originale, di non uscire da soli e di chiedere a qualcuno di stare fuori dalla moschea durante le preghiere».
Quando, nel 2012, Elghandour ha ricevuto una chiamata da un gruppo di pescatori egiziani picchiati nelle proprie case e quasi uccisi da una squadra di Alba dorata, non si è affatto sorpreso. Come testimone nel processo, ha raccontato questo attacco, insieme a diversi roghi di moschee, percosse e casi di tortura. Lo stesso Elghandour è stato minacciato dal gruppo. «Avevano forza e potere – ha detto – Hanno usato il populismo e la crisi li ha aiutati».
Dopo le elezioni del 2012, i violenti attacchi del gruppo si sono fatti più audaci. «Nel 2012, quando sono entrati per la prima volta in parlamento, molti pensavano che sarebbero cambiati e sarebbero diventati un normale partito politico, di estrema destra ovviamente, ma normale – ha detto Dimitri Psarras, un giornalista che si occupa di Alba dorata dagli anni Ottanta – Ma non è accaduto. Al contrario, hanno guadagnato coraggio e hanno cominciato a essere più violenti e più criminali».
Fyssas
Il 18 settembre 2013, una squadra di Alba dorata ha eseguito l’omicidio pianificato del rapper antifascista Pavlos Fyssas, picchiandolo e accoltellandolo. In una ricostruzione video della notte creata dal team di ricerca di architettura forense della Goldsmiths University di Londra, è apparso chiaramente che un convoglio di motociclette è arrivato dalla sede regionale di Alba dorata a un bar dove Fyssas e i suoi amici stavano guardando una partita di calcio. «Abbiamo visto che attaccavano Pavlos a ondate – ha detto Stefanos Levidis, il coordinatore delle indagini – Lo hanno tenuto lì fino all’arrivo dell’assassino. Tutto questo conferma che era tutto organizzato».
L’inchiesta ha anche rivelato che la polizia greca era presente al momento dell’omicidio, nonostante siano intervenuti troppo tardi per fare qualcosa. «Non è mio compito dire se questo è un reato – ha detto ancora Levidis – Ma è chiaro che avrebbero potuto fare qualcosa».
L’omicidio di un giovane greco, già noto per la sua attività di musicista, ha creato indignazione in Grecia e ha catapultato le discussioni sulla violenza di Alba dorata in primo piano nel dibattito pubblico. Dieci giorni dopo l’omicidio di Pavlos, il leader e molti altri membri di spicco di Alba dorata sono stati arrestati con l’accusa di dirigere un’organizzazione criminale. Nel febbraio 2015, il tribunale ha annunciato che sessantanove persone sarebbero state processate.
Il processo
Le prove erano vaste e schiaccianti. Gli avvocati hanno dimostrato che la violenza era diretta dai vertici dell’organizzazione, con un’ideologia nazista specifica e ossessiva. Magda Fyssas ha assistito ogni singolo giorno alla tortuosa causa giudiziaria, in lutto ma con fermezza, diventando per i greci un simbolo della resistenza antifascista.
Nel corso di anni di procedimenti, la popolarità di Alba dorata è iniziata a diminuire. Nel 2019 non ha ottenuto voti sufficienti per entrare in parlamento e ha dovuto chiudere il suo ufficio centrale di Atene. La decisione di questo mercoledì sembra essere l’ultimo chiodo sulla sua bara. «Paralizza Alba dorata e dà un segnale forte a chi vuole prenderne il posto», secondo Papagiannakis.
In effetti, molti vogliono prendere il posto di Alba dorata. Nel 2019, quando il partito neonazista è uscito dal parlamento, il partito di estrema destra Soluzione greca ha ottenuto dieci seggi. L’anno scorso, due importanti ex membri di Alba dorata hanno dato vita ai loro partiti, Coscienza popolare nazionale e Greci per la patria. Il partito ha anche dato vita a una rete di estremisti provenienti da Germania, Bielorussia, Ungheria, Ucraina. Le loro tattiche ispirano i razzisti a livello internazionale: nel 2017, un nazionalista bianco in occasione delle manifestazioni violente di Charlottesville specificò che avevano usato tattiche organizzative modellate su quelle di Alba dorata.
Sebbene le squadre del battaglione di Alba dorata non pattugliano più le strade di Atene, si registrano ancora reati d’odio contro i migranti. Vassilis Tsarnas, ricercatore per il Greek Helsinki Monitor, organizzazione che tiene traccia dell’incitamento all’odio e delle violenze in Grecia, ha affermato che dallo scorso anno ha registrato un aumento dei crimini ispirati dall’odio razziale. «Tuttavia, questa sentenza è davvero un minimo vitale, a dimostrazione del fatto che lo stato di diritto nel paese non è completamente infranto».
Psarras, che ha dedicato quasi gli ultimi quarant’anni della sua vita a documentare i crimini di Alba dorata, è rimasto cautamente ottimista. «Naturalmente, questo non significa che questa sia la fine dell’estrema destra o del razzismo – ha detto -– Non significa che non esisteranno nella società greca, o che non faranno un altro partito. No. Ma non avremo un partito politico che arriva nella notte e uccide, distrugge tutto e picchia le persone che ritiene subumane».
Il caso contro Alba dorata ha fornito un raro momento di unità in Grecia. Nell’ultimo mese, i social media greci sono stati sopraffatti da post che affermavano: «Non sono innocenti». I leader dei maggiori partiti politici del paese – di solito restii a mettersi d’accordo su qualsiasi cosa – hanno finalmente rilasciato dichiarazioni di condanna del partito neonazista. Atene è stata ricoperta di striscioni e cartelli, che siano stati issati da gruppi anarchici o da stimati musei d’arte, tutti prendevano posizione sul caso.
Mercoledì mattina, una folla di circa ventimila persone si è radunata davanti alla Corte suprema civile e penale di Atene, ansiosa e piena di speranza. La parola della sentenza è stata annunciata da un altoparlante ed è stata accolta dalle urla di soddisfazione. Tra gli abbracci, le persone alzavano i pugni al cielo.
Elghadour ha aspettato tutta la mattina alle porte dell’aula. In precedenza, aveva parlato a lungo dell’estrema destra greca e della necessità di una vigilanza continua. Ma la sentenza è stata un innegabile momento di vittoria. Quando ha sentito il verdetto, ha cominciato a piangere, ha abbracciato sua moglie e hanno pianto insieme. «Ce l’abbiamo fatta – mi ha detto al telefono – Dopo tanti anni di lotta. Contro il fascismo, il razzismo, l’odio. Ce l’abbiamo fatta».
*Moira Lavelle è una giornalista indipendente che vive in Grecia, ad Atene. Si occupa di migrazione, confini, questioni di genere e linguaggio. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è di Giuliano Santoro.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.