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Estradare Bolsonaro

Ben Burgis 14 Gennaio 2023

Negli Stati uniti cresce la voce di chi chiede che l'ex presidente brasiliano venga espulso dal paese. Sarebbe anche una rivincita storica, dopo che per decenni Washington ha appoggiato i golpisti

Jair Bolsonaro è in Florida. Due settimane fa era presidente del Brasile. C’erano già diverse indagini penali in corso sulla sua condotta prima che lasciasse l’incarico, ma è volato negli Stati uniti poco prima dell’insediamento del suo successore, Luiz Inácio Lula da Silva, e non molto tempo prima che i suoi sostenitori si sollevassero in un fallito tentativo di colpo di stato.

La fuga di Bolsonaro in Florida nell’ultimo fine settimana della sua presidenza sembra certamente un tentativo di eludere la giustizia in Brasile. Fortunatamente, gli Usa non hanno alcun obbligo legale di proteggerlo. L’amministrazione Biden può e deve negargli il visto ed espellerlo dal paese.

La negazione della sconfitta 

Dopo le elezioni, Bolsonaro ha rifiutato di accettare la sconfitta. Ha agitato teorie del complotto sulle macchine per il voto del Brasile, anche se numerosi audit hanno smentito le sue affermazioni secondo cui queste sarebbero inaffidabili o soggette a frodi.

Gli statunitensi sono abituati ai politici di destra che diffondono assurdità cospirazioniste presso i loro seguaci e poi lasciano l’incarico quando arriva il momento, dunque potrebbero lasciarsi scivolare un comportamento simile da parte dall’uomo che i media internazionali chiamano il «Trump dei Tropici». Ma il rifiuto di Bolsonaro di accettare i risultati delle elezioni è stato particolarmente preoccupante vista la situazione molto diversa del Brasile.

Un rapporto dell’Intercept nel 2019 ha rivelato che «Bolsonaro e i suoi tre figli politici» hanno «legami estesi, diretti, multistrato e profondamente personali» con le «bande paramilitari e le milizie responsabili della violenza più orribile del Brasile» compreso l’assassinio del 2018 della consigliera comunale socialista di Rio de Janeiro Marielle Franco.

Inoltre, Bolsonaro ha ripetutamente elogiato e difeso la dittatura militare di destra che un tempo governava il Brasile. Quando Bolsonaro votò per mettere sotto accusa il presidente del Partito dei Lavoratori Dilma Rousseff nel 2016, tenne un famigerato discorso dedicando il suo voto al capo della polizia segreta dell’era della dittatura.  All’inizio della sua carriera, Bolsonaro aveva persino affermato che la dittatura non aveva portato a termine «il lavoro» uccidendo un numero sufficiente di uomini e donne di sinistra.

Mentre Bolsonaro e Trump si ammirano a vicenda e la destra brasiliana spesso imita consapevolmente le buffonate dei loro corrispettivi statunitensi, sarebbe un errore pensare che queste «milizie» siano l’equivalente brasiliano di piccoli gruppi come i Proud Boys. Sono veri paramilitari di destra che controllano il territorio come fanno le gang della droga. Con amici del genere, c’erano buone ragioni per temere che il rifiuto di Bolsonaro di ammettere la sconfitta potesse segnalare l’intenzione di usare la violenza per mantenere il potere.

Domenica 8 gennaio migliaia di suoi sostenitori hanno provato a fare esattamente questo. Hanno preso d’assalto il palazzo presidenziale del Brasile e gli edifici del Congresso Nazionale e della Corte Suprema Federale nella capitale federale di Brasilia. Almeno settanta persone sono rimaste ferite. Cinque bombe a mano sono state successivamente trovate sulla scena.

Per certi versi, sembrava una rievocazione della rivolta del 6 gennaio 2021 negli Stati uniti, ma ci sono aspetti importanti per cui l’8 gennaio del Brasile è peggiore, inclusa l’apparente complicità della polizia militare e forse anche di alcuni funzionari locali. Il governatore di Brasilia, alleato di lunga data di Bolsonaro, è stato rimosso dall’incarico in attesa di indagini sul suo ruolo nelle «falle di sicurezza» che hanno portato all’attacco.

Millecinquecento dei rivoltosi pro-Bolsonaro sono stati arrestati. Bolsonaro, però, è un uomo libero. È andato in ospedale per dolori al petto il giorno dell’attacco, ma nella settimana prima le sue foto hanno inondato i social media. Stava chiacchierando e scattando selfie con i brasiliani di destra a Orlando, vagando per i corridoi di Publix e venendo fotografato che mangiava da Kentucky fried chicken mentre i suoi sostenitori si preparavano ad assediare il congresso e la corte suprema del Brasile.

E dov’era Anderson Torres, il capo della polizia del Distretto Federale? Ha trascorso i giorni precedenti l’attacco fuori città. Era in vacanza… in Florida.

Non devi andare a casa…

Alcuni politici liberal e di sinistra hanno chiesto agli Stati uniti di «restituire» Bolsonaro al Brasile. Le regole sull’estradizione rendono le cose un po’ più complicate di così. Ma può e deve essere espulso dagli Stati uniti.

Finora, il ministero della giustizia brasiliano ha affermato di non aver visto prove sufficienti per giustificare l’indagine su Bolsonaro per il suo ruolo nell’attacco dell’8 gennaio. È possibile che non ne trovino per giorni e settimane. Anche se il nipote di Bolsonaro ha partecipato all’attacco, forse lo zio Jair era all’oscuro di ciò che era stato pianificato e che se Bolsonaro e Torres si fossero incrociati in Florida, tutto ciò di cui avrebbero parlato era il menu del Kfc.

Naturalmente, Bolsonaro era già sotto inchiesta per diverse altre accuse, ed è possibile che una di queste alla fine genererà una richiesta di estradizione. Gli Usa non possono estradarlo senza tale richiesta, e anche se ne venisse creata una, c’è un procedimento legale da seguire. Joe Biden non può semplicemente chiamare Lula e dire: «Certo, amico, prendilo tu».

Alcune delle accuse che Bolsonaro sta attualmente affrontando, come gestire un allevamento di troll e diffondere falsità sulle elezioni, non sarebbero illegali negli Stati uniti. Altre, come abusare del suo potere per aiutare i suoi figli nei loro problemi legali, non garantiscono che un’eventuale richiesta di estradizione sarebbe stata onorata.

E tuttavia: Non è necessario attendere questa richiesta. Se Bolsonaro si recasse negli Usa con un visto diplomatico come presidente del Brasile, gli darebbero trenta giorni a partire dall’insediamento di Lula per richiederne uno nuovo. Per quanto ne so, nessuna legge o trattato obbliga gli Stati uniti ad approvare il suo nuovo visto o impedisce all’amministrazione Biden di revocare un visto già concesso. Bolsonaro potrebbe semplicemente essere espulso.

C’è qualcosa di osceno nel fatto che Bolsonaro riceva in Florida un rifugio sicuro da futuri procedimenti giudiziari, poiché a un gran numero di richiedenti asilo in fuga da condizioni davvero orribili in paesi come Haiti l’asilo viene negato. E dopo molti decenni in cui gli Stati uniti hanno sostenuto i colpi di stato di destra contro i governi di sinistra democraticamente eletti in America Latina, non consentire a un autoritario di destra (i cui sostenitori hanno appena tentato un colpo di stato) una comoda via d’uscita  agli Stati Uniti sarebbe un segnale potente.

Quindi, gli Stati Uniti possono e devono dire a Bolsonaro ciò che i baristi hanno detto agli ubriachi alla fine della serata da molto prima che la canzone dei  Semisonic trasformasse il detto in un testo:

 «Non devi andare a casa. Ma non puoi restare qui».

* Ben Burgis è editorialista di Jacobin, professore a contratto di filosofia al Morehouse College e conduttore del programma YouTube e del podcast Give Them An Argument. È autore di diversi libri, l’ultimo è Christopher Hitchens: What He Got Right, How He Went Wrong e Why He Still Matters. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.

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«Ufo 78» dei Wu Ming racconta gli anni Settanta dalla loro fine, dai giorni spartiacque del sequestro Moro, e dalla suggestione di massa per gli avvistamenti alieni
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27 Gen

Centinaia di migliaia di persone ostacolarono il progetto di sterminio degli ebrei. Ma una coltre di oblio avvolge ancora molte delle loro storie.
Come quella di Lorenzo Perrone, il muratore che salvò Primo Levi.

Ne scrivo su @JacobinItalia
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27 Gen

Tra gli anni Trenta e Quaranta centinaia di migliaia di persone ostacolarono lo sterminio degli ebrei. Nonostante le incalcolabili ricerche di questi decenni, una coltre di oblio li avvolge. Come quella di Lorenzo Perrone, che salvò la vita a Primo Levi
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26 Gen

Caso #Cospito e #41bis Libertà di cura, libertà di stampa: media indipendenti e speciale radiofonico. Venerdì 27 gennaio, ore 9.30-10.30, su Radio Onda d'Urto, Radio Popolare, Radio Città Fujiko e Radio Città Aperta, Jacobin Italia e Contropiano -> https://www.radiondadurto.org/2023/01/26/liberta-di-stampa-cospito-e-41-bis-venerdi-27-gennaio-i-media-indipendenti-insieme-per-uno-speciale-radiofonico/

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