
I manipolatori occulti
Gli «esperti» che commentano i fatti di attualità sui grandi media spesso sono espressione di Think Tank neoliberisti. Cercano di far passare per asettico ciò che è ideologico. Una strategia che dagli Usa sta arrivando anche in Italia
Nel libro Dominio (Feltrinelli 2020), Marco D’Eramo racconta come la Olin Foundation sia stata la prima Fondazione, agli inizi degli anni Settanta, a dedicare le sue laute risorse non alla beneficenza ma alle cause del liberismo estremo. Sulla scia di questo evento, alla fine del decennio, gli Stati uniti hanno assistito al proliferare di ciò che Alberto Parmigiani sulla rivista Il Mulino definisce un «network culturale di Fondazioni e Think Tank» che orientano l’opinione pubblica e ampliano la loro sfera di influenza politica.
Si tratta di gruppi di potere che condividono l’ideologia liberista, contrari all’intervento dello stato nell’economia e sostenitori del libero mercato. Influenzano l’opinione politica perché gli esponenti di questi Think Tank e Fondazioni sono ospiti nei talk show televisivi, chiamati a parlare alla luce della loro presunta imparzialità. Il loro raggio d’influenza non si limita al pubblico televisivo, ma raggiunge la classe dominante repubblicana tramite contributi finanziari e donazioni.
Alla fine degli anni Settanta questo network inizia a diventare più strutturato e potente. Nel 1977 viene fondato il centro di ricerca neoliberale Cato Institute, oggi organizzazione plurimiliardaria di fama mondiale che vede tra i suoi fellow molti personaggi centrali della scena politica statunitense, sia a livello di governo federale che locale. Alcuni esempi noti sonoMark Anthony Calabria, capo economista del vicepresidente Mike Pence durante il mandato di Donald Trump alla Casa Bianca, o Andrey Illarionov che ha lavorato come policy advisor per il presidente russo Vladimir Putin. Intanto i fratelli Koch, proprietari dell’omonimo colosso industriale, hanno creato tre Fondazioni con l’obiettivo di definire l’agenda politica nel medio-lungo termine. Tra queste, il Mercatus Center presso la George Mason University, cui i Koch a metà degli anni Ottanta donarono 30 milioni, che ha matrice accademica e un rapporto diretto con il Congresso americano. All’inizio degli anni 2000 il network si è evoluto con l’istituzione dei Koch seminars, riunioni di finanziatori di estrema destra. Nel 1981, nacque l’Atlas Economic Research Foundations (oggi Atlas Network), Fondazione ombrello che raccoglie e finanzia gruppi liberisti e per il libero mercato.
Lo scenario nostrano è, a prima vista, diverso. Sebbene non esista un Think Tank paragonabile a quelli citati per dimensioni o notorietà, esiste tuttavia una rete iperconnessa. È un gruppo che sta ampliando la propria influenza sia nei principali media italiani che in ruoli di vertice della politica nazionale, e che risulta particolarmente visibile su Twitter. Esempi sono l’Istituto Bruno Leoni (Ibl), la Fondazione Luigi Einaudi di Roma, l’Adam Smith Society e l’Istituto Liberale. Nomi forse poco noti, al contrario però dei loro esponenti più di spicco.
Il presidente di Ibl, Franco Debenedetti, vanta una carriera da senatore dal 2001 al 2013. Sebbene sia sempre stato senatore di partiti di centrosinistra (come del resto il suo predecessore, l’ex deputato di Ds e Pd Nicola Rossi, con lui nel Cda), alle elezioni politiche del 2013 ha sostenuto il partito Fare per Fermare il Declino insieme a molti altri personaggi dello stesso ambiente. Non è l’unico «aggancio» di Ibl con la politica: il direttore Ricerche e Studi, Carlo Stagnaro, ha ricoperto vari incarichi sul tema energia al Ministero dello sviluppo economico durante i Governi Renzi e Gentiloni. Più recentemente, l’8 febbraio 2021, è stato invitato insieme a Serena Sileoni in audizione alla camera per una riunione della commissione finanze presieduta da Luigi Marattin. Ormai praticamente staff aggiunto a Il Foglio, collabora anche con altri giornali come Il Sole 24 Ore, Huffington post, e Lavoce.info. Sileoni, anche lei editorialista per Il Mattino e per Il Foglio, e membro del comitato scientifico della Scuola di politiche fondata da Enrico Letta, a marzo 2021 è stata nominata dal capo di Gabinetto del presidente Mario Draghi tra i tre esperti che dovranno occuparsi delle emergenze economiche e sociali del paese. Da allora è fellow onoraria di Ibl, ma a dicembre, da vicedirettore generale, aveva lanciato la campagna di «sportello legale» gratuito per le «vittime della decretite acuta» del governo. Non meno esposto il direttore generale di Ibl, Alberto Mingardi, che quotidianamente collabora con Il Sole 24 Ore, Il Foglio, e La Stampa e, da giugno 2020, anche con l’inserto economico del Corriere della Sera. Anche il research fellow Francesco Ramella, che dal 2018 al 2019 ha fatto parte del gruppo di lavoro «Grandi Opere», istituito presso lo stesso Ministero, scrive regolarmente per il quotidiano Domani.
Nella più piccola Adam Smith Society cercano di non essere da meno. Il presidente Alessandro De Nicola scrive regolarmente su Il Foglio, La Stampa (dove, insieme a Carlo Cottarelli e Giampaolo Galli commenta vicende politiche ed economiche nei video della serie Economia in quark), ma anche su La Repubblica e l’Espresso. Tra i membri del comitato scientifico vale la pena menzionare gli economisti Alessandro Penati, che scrive anche lui per Domani e La Repubblica, a riprova della passione della stampa «di sinistra» per i liberisti de noantri, e Veronica De Romanis frequentemente ospite nei programmi Tv di attualità di La7. Ma anche Francesco Giavazzi, attualmente influente consulente di Mario Draghi; Elsa Fornero, già ministra del lavoro e delle pari opportunità col governo Monti; Antonio Martino, parlamentare per ventiquattro anni fino al 2018 e ministro per gli affari esteri nel governo Berlusconi; i citati Cottarelli e Galli (ora animatori di un Osservatorio Conti Pubblici), Debenedetti e Rossi; Ugo Arrigo ascoltato in audizione alla camera sul tema Alitalia nel 2019; l’ex membro del board della Bce Lorenzo Bini-Smaghi; il sociologo Luca Ricolfi, assurto a opinion-maker a 360 gradi con il suo La società signorile di massa. Da parte sua, la Fondazione Luigi Einaudi vede coinvolti personaggi come Sergio Boccadutri, parlamentare Pd, e Giorgio Calabrese, che ha ricoperto incarichi come Consulente scientifico delle commissioni del ministero dell’agricoltura.
A queste potremmo aggiungere la giovane rivista Liberi oltre le illusioni, che dal nucleo di economisti «amerikani» come Michele Boldrin che avevano lanciato la sfortunata lista Fare, sembra stia aggregando parte di questo mondo (tra i redattori, figurano gli «Ibl» Carlo Amenta, Sileoni, Stagnaro, oltre al giornalista de Il Foglio Luciano Capone).
A differenza delle Fondazioni e istituti statunitensi da cui traggono ispirazione (e a cui talvolta sono anche formalmente associate), non è tuttavia altrettanto semplice capire quali interessi economici prima che politici stiano sotto quella che a volte è una semplice attività di divulgazione di idee liberali, altre un vero lobbying politico. Il mercato statunitense infatti rende trasparente come le Fondazioni dell’Atlas Network (di cui sono ufficialmente «partner» Ibl e Istituto Liberale) ricevano l’endorsement (e il finanziamento) da multinazionali come la petrolifera ExxonMobil, o Philip Morris; allo stesso tempo, la notorietà della famiglia Koch rende ben chiaro l’orientamento politico-economico dietro le loro iniziative. Non è lo stesso quando, sui nostri quotidiani, nei talk televisivi o in programmi di approfondimento radiofonico, si chiamano a commentare le vicende economiche i membri di questi istituti, presentati al pubblico italiano asetticamente come «esperti», membri di istituti di ricerca slegati da precise ideologie o interessi.
Per la legge 124/2017 è però necessario rendere pubbliche entro il 28 febbraio di ogni anno le sovvenzioni ricevute da enti e società a enti non profit. Nonostante l’ostilità nei confronti dello stato evidente fin dalle loro autopresentazioni (ad esempio, sul sito dell’Istituto liberale si può leggere come il loro obiettivo sia «Incoraggiare l’emancipazione dell’Individuo da agenti esterni, come lo stato»), scopriamo che se l’Adam Smith Society e l’Istituto Liberale non prendono alcun contributo pubblico così non è invece per la Fondazione Einaudi e Ibl. Per quest’ultimo, la faccenda da ossimorica assume tratti pittoreschi: l’incauto visitatore del loro sito web, infatti, viene accolto da un futuristico contatore del debito pubblico, perennemente in aggiornamento, evidentemente volto a sottolineare come la spesa pubblica sia sempre e comunque negativa. Eppure, tale spesa non sembra un problema quando i finanziamenti pubblici arrivano a loro. Ibl, come la Fondazione Einaudi, ha ricevuto contributi dalla Pubblica Amministrazione anche nel 2020; per Ibl si tratta del Ministero dell’istruzione, ministero dell’università e della ricerca, per la Fondazione Einaudi il ministero dell’economia e finanze e il ministero della cultura.
Sui nomi degli altri finanziatori, invece, si sa ben poco. Nel caso di Ibl, sappiamo quanta parte dei loro finanziamenti viene da quale settore (ad esempio: energia, finanza, farmaceutico, assicurazioni, sanità). Ed ecco il secondo paradosso: non è contro-intuitivo che un’associazione che promuove le idee per il libero mercato che si fondano sul diritto a un’informazione perfetta, libera e accessibile, non persegua la trasparenza come fine ultimo?Benché fornisca informazioni sufficienti a soddisfare i requisiti di legge, citare nomi e cognomi dei finanziatori permetterebbe ai fruitori della loro disinteressata ricerca e divulgazione di conoscere eventuali conflitti di interesse. Una curiosità che cresce per settori come energia e infrastrutture dove, come abbiamo visto, Stagnaro e Ramella hanno ricoperto ruoli di responsabilità pubblica e che rappresentano complessivamente quasi il 6% del bilancio della Fondazione cui appartengono. Nei casi in cui queste informazioni trapelano il quadro che emerge non è incoraggiante. In un tweet dello scorso ottobre, Ibl ringraziava l’American Institute for Economic Research (Aier)per il supporto a una pubblicazione dell’istituto. Se la natura del supporto non è meglio definita, ciò che è innegabile è che l’Aier è stata promotrice di petizioni anti-lockdown; sebbene si tratti di una lobby per il libero mercato e non un’istituzione medica, pubblica frequentemente articoli sull’inutilità e sui danni derivanti dall’uso della mascherina, per non parlare delle sue posizioni su quella che definiscono «isteria climatica». Anche da noi, del resto, al loro core business – diffondere, per dirla con Ibl, «idee per il libero mercato» o, in parole povere, un armamentario di ideologia economica che è spesso alla destra persino del dibattito americano e di organizzazioni come il Fondo monetario internazionale – questi gruppi affiancano sempre di più divulgazione di dubbia scientificità su temi cruciali come la salute e il cambiamento climatico. Anche una breve ricostruzione permette di rendersi conto della loro pervasività: quella che può sembrare soltanto una rete opaca, rappresenta un tassello importante della classe dominante del nostro paese, in grado di lanciare vere e proprie campagne per influenzare l’opinione pubblica, coprendo l’intero «arco parlamentare» dell’informazione.
Ad esempio, il 27 marzo scorso – quando l’Italia era sulla soglia dei 24.000 nuovi positivi al Covid-19 e contava 380 nuovi morti – il sito di Ibl ospitava un articolo sulle riaperture: una riflessione sul concetto di rischio, e sulla necessità di comprendere che qualsiasi scelta, sia quelle di «fare» adottate dal governo (leggi: chiudere) sia quelle di «non fare» comportano costi. Il «paternalismo pubblico» si esplica, dunque, in «una demagogia abile a fare leva su una diffusa ipocondria». Lo stesso autore dell’articolo, Carlo Lottieri, è meno moderato in un articolo di alcuni giorni dopo, pubblicato su Il Giornale: lì, il «paternalismo» diventa il «totalitarismo sanitario» che ha «sequestrato», attraverso leggi e atti amministrativi, i nostri diritti fondamentali. Posizioni simili sono sostenute negli articoli a quattro mani da Gilberto Corbellini e Alberto Mingardi su Il Foglio, e da Mingardi sul Corriere.
Sempre a marzo, mentre si discuteva l’importanza di sospendere i brevetti sui vaccini, e Joe Biden ne riconosceva l’immediata necessità per consentirne l’accesso ai paesi in via di sviluppo, la Fondazione Einaudi e l’Ibl ne chiedevano la privatizzazione, assieme alla massima libertà tanto per le aziende quanto, e soprattutto, per i pazienti, condannando il «centralismo statalista» nella gestione. In un articolo sull’inserto economico del Corriere della Sera, lo scorso 8 marzo, ancora Mingardi proponeva la decentralizzazione dei vaccini, prendendo come esempio gli Stati uniti, primi al mondo nella somministrazione, per l’accordo pubblico-privato sia nella produzione che nella distribuzione. Una simile rassegna la si potrebbe condurre sul cambiamento climatico. Ma ciò che è qui importante rilevare non è tanto il dettaglio delle loro posizioni ma come queste organizzazioni siano in grado di penetrare in profondità il dibattito italiano – cosa che rende ancor più necessario che siano trasparenti le motivazioni sottostanti la loro instancabile attività. Sorge spontaneo chiedersi, infatti, quanto le dotte opinioni dei membri di questi Think Tank siano frutto di un personale, disinteressato e legittimo punto di vista; o se invece, siano dettati dalla necessità di venire incontro agli interessi delle donazioni provenienti dal settore farmaceutico – nel caso dell’Ibl, sappiamo che nel 2020 complessivamente questo settore pesava per oltre il 7% del bilancio. Crediamo che, oltre a noi, dovrebbero esserne consapevoli anche i direttori dei quotidiani e dei programmi che li invitano a intervenire in qualità di esperti.
Se questo è vero per i contributi privati, dovrebbe esserlo ancora di più quando si tratta di soldi pubblici: per dirla con Gennaro Carotenuto, è paradossale che se negli Usa sono i petrolieri a finanziare il negazionismo climatico, in Italia possa essere lo stato a farlo. Nel suo blog, Carotenuto analizza infatti il caso, per certi versi assimilabile, de Il Foglio: un quotidiano di ideologia liberal-capitalista che ha beneficiato per anni di contributi pubblici, poiché non in grado, lui per primo, di stare in quel mercato su cui, dalle sue pagine, chiama quotidianamente a pontificare molti degli autori citati in questo articolo.
In ogni caso, questa breve ricostruzione, basata sulle poche fonti disponibili, rende chiaro come da questi Think Tank interconnessi emergano commentatori influenti nel dibattito pubblico e nella scena politica anche in Italia. Anche se meno importanti e influenti dei loro corrispettivi statunitensi, gli epigoni italiani riescono a essere presenti su tutti i media nazionali (spesso, anche quelli che dovrebbero parlare al pubblico di «sinistra»). Anzi, è forse proprio la loro scarsa notorietà a permettere loro di entrare nel dibattito pubblico in qualità di esperti super partes, invece che di membri di un gruppo ideologicamente ben riconoscibile e schierato, spesso più a destra del mainstream economico internazionale o addirittura con posizioni negazioniste – come emerge quando si parla di cambiamento climatico. E la mancata trasparenza su chi siano i finanziatori di questi Think Tank rende impossibile individuare possibili conflitti di interesse.
*Giuliana Freschi è dottoranda in economia alla Scuola Superiore Sant’Anna. Si occupa di storia economica italiana, in particolare di mobilità intergenerazionale e tematiche di genere. Demetrio Guzzardi, dottorando in economia alla Scuola Superiore Sant’Anna, si interessa di macroeconomia, distribuzione dei redditi, disuguaglianze e politiche fiscali.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.