Il gioco ad alzare il tiro
Israele ha aperto il fronte libanese sulla base del paradossale assunto dell’«escalation che porta alla de-escalation». Una teoria bellica pericolosa, che presuppone che l’avversario finisca sempre per non reagire
La scorsa settimana, Israele ha lanciato un’ondata di attacchi aerei contro il Libano come parte di un attacco a Hezbollah, bombardando pesantemente aree densamente popolate a sud di Beirut. I capi militari israeliani hanno affermato che gli attacchi hanno cambiato la forma di Hezbollah.
Israele sembra determinato a espandere la sua campagna a Gaza con una guerra regionale. Come riportato da Axios, «gli ufficiali israeliani hanno affermato che i loro crescenti attacchi contro Hezbollah non hanno lo scopo di portare alla guerra, ma sono un tentativo di raggiungere la “de-escalation attraverso l’escalation”».
I commentatori si sono aggrappati alla logica assurda di quest’ultima frase, il tipo di contraddizione ovvia che sembra suggerire che chi la sostiene non sente di dover convincere nessuno. Ma «escalate to de-escalate» è un’idea che non ha mai funzionato. Ha una lunga tradizione nelle elaborazioni della politica estera statunitense come teoria potente, ma in ultima analisi inventata, della strategia nucleare della Russia.
Attacchi limitati per limitare la guerra
L’idea ha le sue radici apocrife in concetti della dottrina militare russa che definisce formalmente la politica militare del paese. Si tratta di un discorso molto distante dalla realtà del conflitto armato: riguarda le armi nucleari, che non sono state utilizzate in guerra per quasi otto decenni, e le dichiarazioni di dottrina militare disponibili al pubblico, una guida imperfetta su come un paese potrebbe effettivamente comportarsi in una guerra.
Non esiste alcuna dichiarazione di tale dottrina nelle versioni disponibili al pubblico della dottrina militare russa del periodo della Guerra fredda. Il primo utilizzo di questa formula è avvenuto in un’udienza del Senato del 2015. Come elaborato dai teorici della politica estera Usa, «escalate to de-escalate» è arrivato a significare l’intensificazione di un conflitto attraverso «minacce coercitive, incluso l’uso nucleare limitato», in modo tale da costringere l’altra parte a porre fine al conflitto, a condizioni favorevoli per quella che sta producendo l’escalation.
Da lì, l’idea si è sviluppata e ha preso forma nel fermento del dibattito sulla politica estera di Washington. Nel 2017, la strategia è stata citata come la causa principale della modernizzazione nucleare della Russia, che le avrebbe consentito di «’de-escalare un conflitto’ utilizzando un numero limitato di attacchi». La modernizzazione, che in pratica significa sostituzione o ristrutturazione delle armi nucleari e delle infrastrutture di supporto, è un progetto sul quale Russia, Cina e Stati uniti hanno investito ingenti somme di denaro man mano che le forze nucleari create a metà del ventesimo secolo invecchiavano e i negoziati sul controllo degli armamenti naufragavano, investendo centinaia di miliardi per garantire che le armi nucleari facessero parte della politica globale per i decenni a venire.
Nel 2018, il concetto era parte della rassegna della postura nucleare degli Stati uniti, un’altra dichiarazione formale di dottrina rilasciata da ogni nuova amministrazione. Quella dell’amministrazione Trump affermava che la Russia «valuta erroneamente che la minaccia di un’escalation nucleare o il primo utilizzo effettivo di armi nucleari servirebbe a ’de-escalare’ un conflitto a condizioni favorevoli alla Russia. Queste percezioni errate aumentano la prospettiva di pericolosi errori di calcolo e di escalation».
L’idea di perpetrare atti di violenza sempre più intensi finché l’avversario non si arrende è piuttosto vicina alla proposizione di base del conflitto armato e l’idea che le armi nucleari abbiano un ruolo in quel processo è stata parte delle discussioni strategiche negli Stati uniti sin dalla Guerra fredda. Tuttavia, il fatto che gli analisti statunitensi che hanno dato vita e gambe al concetto stessero apparentemente limitandosi a spiegare una teoria che si trovava nella mente dei pianificatori della guerra nucleare russa è importante. Il concetto è stato utilizzato per spiegare un’intera gamma di decisioni prese dalla Russia sul suo arsenale nucleare all’epoca, ma soprattutto, la sua presunta volontà di condurre un attacco nucleare «limitato».
Cosa ci sarebbe di limitato nell’uso di un’arma nucleare? In teoria, potrebbe trattarsi di un’arma nucleare più piccola di quelle utilizzate su Hiroshima e Nagasaki alla fine della Seconda guerra mondiale. Potrebbe essere impiegata in un’area meno popolata, magari riducendo il costo umano immediato. Ma soprattutto, la limitazione starebbe nel fatto che un paese in pieno possesso delle armi nucleari per rispondere a un attacco nucleare, invece, deciderebbe di non farlo, scegliendo di fare un passo indietro sul ciglio di una guerra nucleare su vasta scala.
La teoria dell’«Escalate to de-escalate» ha finito per attirarsi una massa di critiche ed è caduta in disgrazia, sebbene sia ancora oggetto di dibattito se la Russia sarebbe disposta a dare seguito alle minacce nucleari che ha fatto nel contesto della guerra in Ucraina con un attacco nucleare limitato (o meno limitato). Ma resta una teoria piena di contraddizioni, a partire dall’irrazionalità di base sulla quale poggia. Scarica la responsabilità per la vera escalation sull’avversario, alzando il livello come se fosse la norma: i leader militari israeliani possono descrivere i loro attacchi come atti «che portano alla guerra», e non come atti di guerra a tutti gli effetti, finché i loro avversari non prendono qualsiasi misura che potrebbe convincerli a fermare la loro campagna di bombardamenti.
Come molte altre teorie di guerra che mantengono una certa credibilità nelle discussioni di politica estera tradizionali, l’escalation to de-escalate presuppone che la parte che sta alzando il tiro possa mantenere un livello di controllo su tutti gli aspetti di una situazione di conflitto che si è dimostrato irrealistico nella pratica. Ma più di questo, presuppone che l’escalation di un conflitto sia un passo compiuto con un piano realistico per ciò che verrà dopo, il che ha poco a che fare con l’insistenza sul raggiungimento di obiettivi stravaganti e distruttivi che sembrano essere alla base di molti conflitti contemporanei, e certamente dell’attacco di Israele a Gaza e degli obiettivi di una guerra regionale. In questo caso la de-escalation non è un approccio serio alla gestione di un conflitto, ma piuttosto una richiesta di capitolazione totale dei propri avversari, a costo di un’escalation sempre maggiore.
Se prendiamo l’11 settembre e il 7 ottobre come due esempi, dato il modo in cui gli Stati uniti e Israele hanno risposto ad attacchi che erano, se misurati in base alla scala di distruzione che le armi nucleari potevano causare, piuttosto piccoli, è difficile immaginare che questi paesi risponderebbero con moderazione a un attacco nucleare per salvare il mondo. Paesi come gli Stati uniti e Israele sembrano essere sempre trovare più facile immaginare che i loro avversari scelgano di limitare la distruzione della guerra, nucleare o meno, nell’interesse di una pace più ampia.
*Emma Claire Foley è una scrittrice e regista di New York. Suoi articoli e contributi sono apparsi anche su Newsweek, Nbc, the Guardian. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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