Il «nuovo» Capitale: una teoria in costruzione
La nuova edizione dell’opera di Marx, curata da Roberto Fineschi, rafforza il carattere rivoluzionario di uno studio che illustra la processualità capitalistica e il metodo per studiarla e contrastarla
Nel momento in cui sono proliferate le recensioni della nuova edizione einaudiana del primo libro del Capitale su testate giornalistiche inaspettate (La Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Riformista, Il Sole 24 ore, L’Avvenire, tra le altre) in chi scrive si è profilata l’ipotesi che il metodo socratico e la sua capacità di cogliere nel linguaggio dell’agorà delle spie del sapere e dell’ideologia della polis potesse servire, si parva licet, da canone interpretativo interessante e produttivo anche in questo caso.
Secondo la splendida ricostruzione corale e teatrale che ne ha dato Platone, il metodo socratico ha una serie di effetti teoricamente significativi: 1) la ricerca sull’essenza degli oggetti del sapere si sviluppa in maniera dialettica e critica; 2) critica non perché basata su una dismissione strumentale ed esteriore delle posizioni altrui, ma su una critica immanente che mette in luce gli aspetti unilaterali e arbitrari di queste; 3) il che significa che la verità non è qualcosa di puntuale né, tanto meno, di personale, ma è il risultato di uno sforzo collettivo e dialogico, che prova a superare l’arbitrio dei molti punti di vista individuali; 4) non esistono, dunque, risposte errate, ma ogni risposta è un momento del tutto e, nello stesso tempo, una spia del sapere della polis (genitivo oggettivo e soggettivo), della quale rappresenta anche un risultato ideologicamente rilevante.
Invece di scartare immediatamente l’interesse dei giornali della stampa liberale e borghese come il segnale di una cultura post-ideologica o come l’inevitabile marchetta da pagare a un editore prestigioso come Einaudi, si può provare a cogliere in questo fenomeno qualcosa di più profondo: un sintomo o effetto di struttura dei rapporti ideologici dell’agorà del nostro tempo.
Un’opera scientifica
In tutti gli articoli in questione, infatti, si celebra in qualche modo Il capitale di Marx come un monumento della modernità. Marx – si scrive – sarà pure stato ateo, materialista, comunista e anti-liberale, ma, ciononostante, è innegabile che Il capitale ha avuto il merito di svelare l’avidità del capitalismo e gli effetti moralmente abietti dello sviluppo tecnologico; certo, la legge del valore che costituisce il perno dell’analisi marxiana non è valida scientificamente, ma le pagine sul feticismo rimangono qualcosa di geniale e attuale; il vecchio Moro è una figura ammirevole di tenacia e rigore intellettuale; accanto alla Bibbia e alle Mille e una notte (ipse dixit Cesare Pavese) Il capitale è ormai un caposaldo della cultura mondiale che tanta polvere ha alzato sui campi di battaglia dell’ideologia e della politica dei secoli scorsi.
Questa una rapida sintesi delle cose scritte sui vari quotidiani borghesi (a lettrici e lettori lasciamo il gioco di indovinare a quale di questi abbinare ciascuna delle affermazioni riportate). Si tratta di posizioni troppo astratte e naïve anche solo per essere bollate come «false» o «errate». Tutte, però, contribuiscono a produrre una costellazione ideologica efficace che neutralizza proprio l’aspetto centrale che questa nuova edizione del Capitale vuole mettere in luce sopra ogni altra cosa: la critica dell’economia politica di Marx è un’opera scientifica che ha l’obiettivo di spiegare in maniera organica e sistematica la natura processuale e le tendenze storiche del modo di produzione capitalistico. La stampa borghese, proprio nel momento in cui sembra testimoniare l’avvenuta neutralizzazione di Marx a classico imbalsamato, in realtà ne disvela, in maniera più mediata, il carattere ancora rivoluzionario, di rottura, sovversivo. Un carattere abilmente sintetizzato da Roberto Fineschi nella sua bella Introduzione al testo: Il capitale, scrive Fineschi, è l’esposizione «di un’articolata teoria della società umana come processo storico-naturale, di un tentativo di pensare il presente come momento specificamente determinato di uno sviluppo più ampio, di individuarne le leggi di movimento e trasformazione».
Non classico, dunque, ma elaborazione scientifica densa, stratificata e incompiuta. Di queste caratteristiche intende dar conto questa nuova edizione del Capitale.
Un’elaborazione densa, quella del Capitale, perché, come si può riconoscere dal primo momento in cui ci addentriamo in essa, nell’esposizione marxiana ogni categoria ha un preciso peso specifico e dei lineamenti ben definiti, ogni sezione è un intreccio di forme dinamico e produttivo di nuovi orizzonti teorici, per ogni differente determinazione concettuale Marx ricerca la parola più adeguata (per farsi un’idea della complessità e dell’importanza di questo rapporto tra parola e concetto in quest’opera è sufficiente dare anche solo una rapida lettura alla Nota di traduzione curata da Fineschi).
I concetti si esprimono nelle parole, ma non si esauriscono in esse. La processualità dinamica del capitale (similmente alla hegeliana «vita del concetto») è mobile e dialettica, rifiuta la fissità: la sua realtà si colloca al di là del linguaggio, eppure, affinché sia esposta, un qualche linguaggio è pur necessario. È questo uno dei problemi principali (ma non il solo) che ha reso la storia della scrittura e delle edizioni del Capitale così stratificata e articolata. Come già segnalato i su Jacobin, molte sono le edizioni del primo libro del Capitale. Tra queste vi è, ad esempio, anche quella francese (1872-1875), supervisionata e approvata da Marx. Un’edizione in cui Marx, complice anche il confronto con una lingua diversa da quella madre, introduce significativi mutamenti di ordine teorico e strutturale.
Una stratificazione geologica
Leggere Il capitale, dunque, non è un’operazione piana e lineare – non è come leggere un qualsiasi altro libro. Per Il capitale, infatti, si tratta di penetrare all’interno di una sorta di concrezione geologica fatta di molte lingue, di stratificazioni plurali e discontinue. Gli strumenti della filologia sono, su questo terreno, una necessità. E a questo proposito la MEGA2 (la «seconda» Marx-Engels-Gesamtausgabe, la nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels, la quale, iniziata nel 1975, è ancora in corso) mette a nostra disposizione la collezione completa di queste stratificazioni, dei loro punti di contatto così come di quelli di divergenza.
Il primo notevole merito scientifico di questa nuova edizione del Capitale è di presentare tutte le singole varianti tra le diverse edizioni, cui si aggiungono la prima traduzione italiana del Capitolo primo e dell’Appendice alla forma del valore (che, risalenti alla prima edizione del 1867, saranno completamente riviste da Marx nella seconda edizione) e un’edizione accurata della parte superstite del Manoscritto 1863-1865 (cui appartiene anche il cosiddetto Capitolo sesto inedito).
Vale la pena di sottolineare, a questo punto, che Fineschi aveva già pubblicato per La città del sole nel 2011 un’edizione del primo libro del Capitale che prendeva come punto di riferimento l’edizione della MEGA2. Questa edizione per Einaudi, però, pur procedendo nella stessa direzione scientifica, è un lavoro completamente nuovo: laddove, infatti, nell’edizione del 2011 la nuova traduzione di Fineschi si fermava al capitolo settimo e poi riproponeva la «classica» traduzione di Delio Cantimori, nel nuovo volume einaudiano Fineschi, coordinando un gruppo di traduzione composto, oltre che dallo stesso Fineschi, anche da Stefano Breda, Gabriele Schimmenti e Giovanni Sgro’, ci fornisce una traduzione completamente rinnovata e arricchita inoltre, sul piano estetico, da una serie di sedici illustrazioni (Courbet, Rivera, Monet, Munch, tra gli altri).
I meriti filologici e scientifici di questa nuova edizione escono al di fuori dei ristretti circuiti accademici e richiedono una profonda riflessione teorico-politica da parte di tutti coloro che si confrontano con il pensiero marxiano. La MEGA2, infatti, ha messo in rilievo l’incompiutezza dell’edificio della critica dell’economia politica di Marx; e ciò è vero non solo per il secondo e il terzo libro del Capitale (assemblati, curati e pubblicati da Engels dopo la morte di Marx), ma anche del primo libro. Quel che emerge, infatti, dai materiali in nostro possesso è che Marx non ha mai pensato che la composizione del primo libro del Capitale fosse definitivamente compiuta e vi ha continuato a lavorare sopra fino alla fine della sua vita. In poche parole: non esiste un’edizione definitiva del Capitale. Una simile incompiutezza, dapprima, non può che disorientarci e spaventarci: la figura del nostro Virgilio nei sentieri tortuosi dell’inferno capitalistico si fa d’improvviso evanescente. Ma al di là di ciò, una nuova forbice di possibilità ci si apre di fronte: come più volte sottolineato tra gli altri anche da Fineschi stesso nel suo lavoro più che ventennale sulla MEGA2, Marx ci ha lasciato una «cassetta degli attrezzi» con cui lavorare in maniera ragionevolmente creativa al di là di ogni presunta tradizione rigidamente ortodossa. La scienza marxiana, con la sua esposizione densa, stratificata, rigorosa e incompiuta, rimane un campo teorico ancora da praticare, la sua potenzialità critica un qualcosa ancora da realizzare compiutamente.
Oltre ogni mistificazione ideologica e borghese, Il capitale, a maggior ragione nella natura proteiforme in cui ce lo presenta questa nuova edizione, rimane un paradigma all’interno del quale continuare a lavorare per comprendere la complessa intelaiatura dei rapporti di capitale così come i fini e i confini delle forme capitalistiche.
*Sebastiano Taccola ha studiato filosofia presso l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa ed è docente di filosofia e storia nei Licei.
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