
Il piano inclinato di Voghera
Come quasi tutti i casi di piccoli imprenditori dal grilletto facile, e forse in modo ancora più netto, la vicenda dell'assessore sceriffo Massimo Adriatici non ha niente di accidentale
Tutti i bar e i negozi sono chiusi in piazza Meadri. Anche per il percorso che il corteo di sabato 24 luglio si inventa nel centro di Voghera, ripetutamente bloccato e costretto a tornare sui suoi passi dalle camionette della polizia, fino a raggiungere piazza Duomo e poi, addirittura, la casa della sindaca di destra Paola Garlaschelli, e infine tornare nella piazza dell’uccisione, anche lungo tutta questa strada non abbiamo visto più di un paio di posti aperti. Erano tra i pochi commercianti abbastanza svegli da ignorare l’appello della sindaca e dell’Associazione Commercianti a chiudere tutto e barricarsi in casa, un piccolo lockdown cittadino decretato per difendersi dal virus della solidarietà, a cui hanno aderito anche i preti che hanno sospeso le Messe del sabato pomeriggio per paura che la «calata dei marocchini» potesse creare chissà quali disagi ai loro pii parrocchiani.
Osservando la composizione della manifestazione antirazzista, un migliaio, forse due, di persone, numeri inauditi per una piccola città come Voghera, si nota subito una maggioritaria presenza di persone marocchine o arabe in genere, ma anche africane subsahariane, venute da molti luoghi del Nord Italia. A fare da ponte tra le varie comunità immigrate sono state anche le connessioni sindacali create nella logistica, i collettivi antirazzisti, le reti familiari e religiose. Ci sono intere famiglie, con tanto di bambini e ragazze, composte sia da immigrati sia dalle «seconde generazioni»; Ci sono anche molti italiani, soprattutto da Voghera, Pavia e altri luoghi della provincia. Le organizzazioni aderenti sono soprattutto quelle della sinistra extraparlamentare, dell’antifascismo, dei centri sociali. Il centrosinistra di governo, alleato a Roma di Salvini, si è nei fatti bevuto le frottole della sindaca sulla manifestazione violenta boicottandola.
A convocare questa massa umana si è mosso inizialmente un collettivo di giovani vogheresi nato in occasione di una sgradita visita di Salvini a Voghera proprio per sostenere la candidata che ha poi vinto le elezioni; ma poco dopo si è mossa anche la famiglia dell’uomo ammazzato, anticipando di un’ora l’appuntamento. Una famiglia che non doveva esistere, visto che gli inquirenti non l’avevano nemmeno contattata per l’autopsia, come richiede il codice di procedura penale. Invece la famiglia esiste, e parla. Forte.
La sicurezza
L’omicidio di Youns El Boussetaoui, commesso dall’assessore leghista alla sicurezza del comune di Voghera Massimo Adriatici, è l’esito tragico del securitarismo, da sempre architrave del programma della Lega. Il securitarismo consiste nel considerare come unica forma di sicurezza politicamente importante quella dei cittadini abbienti rispetto agli effetti della microcriminalità, e al tempo stesso criminalizzare violazioni sempre più insignificanti dell’ordine pubblico; nel programma elettorale di una lista che parla di sicurezza non si troveranno riferimenti alle mafie o al dissesto idrogeologico o all’inquinamento o agli sfratti: nel gergo politico il termine indica ormai esclusivamente cose per cui si potrebbe chiamare il 112.
Il securitarismo è un falso teorema con i suoi falsi corollari, in primis quello del decoro urbano, che nell’ultimo quarto di secolo il centrosinistra ha voluto far proprio, cercando di declinarlo in modi all’apparenza diversi da quello della destra, e trovandosi inevitabilmente nella posizione dell’inseguitore: una posizione allo stesso tempo perdente, dal punto di vista elettorale, e dannosa, per chi quest’agenda politica è costretto a subire. Nel libro La gente: viaggio nell’Italia del risentimento (Minimum Fax, 2018), Leonardo Bianchi ha studiato il securitarismo attraverso una serie di casi giunti all’attenzione dei media. Matteo Pascoletti li ha passati di nuovo in rassegna, scrivendo dell’omicidio di Voghera: le tirate di Giancarlo Gentilini, il fucile a pompa di Joe Formaggio, il martirologio di Graziano Stacchio. Ma se, quand’era sindaco di Albettone (ora è consigliere regionale del Veneto), uno come Formaggio si era «limitato» a farsi vanto di girare armato, l’assessore di Voghera è andato oltre: ha sparato e ha ucciso.
Come quasi tutti i casi di piccoli imprenditori dal grilletto facile, ma in modo ancora più netto, la vicenda Massimo Adriatici non ha niente di accidentale. Tutta la situazione era un piano inclinato che portava a un esito di questo tipo. Non si tratta solo del senno di poi: pochi giorni prima degli eventi, avevamo invitato Wolf Bukowski a Pavia (il capoluogo di provincia) a presentare il suo libro La buona educazione degli oppressi (Alegre, 2019), e avevamo parlato del nesso strettissimo tra securitarismo, ossessione del decoro, lotta alla «malamovida», razzismo. Lo avevamo fatto perché nella comunità degli antifascisti e degli antirazzisti di Pavia percepivamo un rischio crescente nella nostra città e in quelle limitrofe, e volevamo attivare le nostre difese immunitarie. E avendo aperto un discorso pubblico su questo argomento, avevamo notato subito, e stigmatizzato, l’iniziativa dell’«ordinanza delle birre calde», firmata proprio dal non ancora celebre assessore Adriatici, che è collegata direttamente all’omicidio.
Il decoro
La prima causa in questa storia è la nomina di Adriatici ad assessore. Adriatici è scelto per fare l’assessore alla Sicurezza per dei motivi ben precisi: è un ex poliziotto, è un avvocato penalista, è un fanatico delle armi. Scegliere Adriatici per occuparsi di sicurezza è come scegliere Attila per il verde pubblico. Questa nomina, di cui è complice l’intera maggioranza in consiglio comunale, è una scelta precisa di affrontare la questione alla maniera del Far West. Adriatici rilascia interviste in cui si vanta di girare sempre armato e rivendica l’importanza di difendersi a colpi di rivoltella. Ma non è certo un elemento controcorrente in quella giunta. Un’altra assessora, Francesca Miracca, sbraitando nella sua trattoria aveva promesso di «assoldare i suoi operai» per sparare a tutti i manifestanti del corteo di sabato 24 luglio; si tratta della stessa donna politica accusata di voto di scambio: assoldare elettori, amministrare, ingaggiare sicari, sparare. Il denaro può tutto.
Il secondo passaggio nella catena fatale degli eventi è la continua fabbricazione di sempre più assurde ordinanze «per la sicurezza e il decoro». Nel 2020 arrivano i famigerati «Daspo urbani» ai danni di tre giovani mendicanti di Voghera. In pratica, queste persone sono state bandite dalla città senza che fossero prima accusate o condannate per alcun reato. Contro questo provvedimento si ha anche una manifestazione dei soliti giovani ribelli.
Ma arriviamo appunto a luglio 2021, quando viene varata l’ordinanza delle birre calde. Qualche settimana prima, l’allarmismo e le esagerazioni contro la «malamovida» avevano creato un primo incidente violento. Siccome un gruppo di ragazzi di Voghera stava facendo baccano di notte, per difendere il «decoro» qualche residente aveva gettato della candeggina dalla finestra: ferita agli occhi, una ragazza rischia di perdere la vista. Un amministratore di buon senso, di fronte a questo segnale di pericolosa frattura dell’armonia nella comunità, avrebbe tentato di buttare acqua sul fuoco; ma Adriatici è di tutt’altra pasta.
Qui c’è una gara tra i sindaci, sia di centrodestra che di centrosinistra, a chi la spara più grossa. E chi la spara più grossa di tutti è proprio chi letteralmente spara. Il giorno prima del fattaccio, Adriatici aveva firmato un’ordinanza che sulla stampa locale è definita «dal carattere fortemente innovativo in quanto ruota attorno alla temperatura delle bevande». L’ordinanza è grottesca e bandisce la vendita di alcolici refrigerati sotto la temperatura ambiente fuori da bar e ristoranti, a meno che non siano abbinati a un acquisto di cibo preparato al momento; del resto, anche a bar e ristoranti è vietata la vendita da asporto di bevande di qualsiasi tipo in recipienti di vetro (secondo la bislacca teoria che le bottiglie e i bicchieri causino insicurezza perché possono essere ridotte in cocci); e in ogni caso, non si possono bere alcolici per strada. L’obiettivo è esplicito e spiegato proprio da Adriatici con un linguaggio che criminalizza comportamenti del tutto normali: «per affrontare il problema legato agli assembramenti che si formano attorno ad alcuni negozi del centro storico in cui si approfitta del prezzo basso per consumare grosse quantità di birra fredda». I consumatori squattrinati approfittano del prezzo basso. E, addirittura, si assembrano: il linguaggio sfrutta biecamente un riferimento sanitario incongruente, visto che in realtà l’ordinanza incoraggia al consumo assembrato al chiuso o nei dehors dei locali. Ma tutto fa brodo.
Potrebbe sembrare fuori luogo l’accostamento di un problema minore come la birra fresca alla morte di un uomo; ma non è così, perché il collegamento tra l’ordinanza e la morte è diretto. Il primo giorno di entrata in vigore delle nuove norme, Adriatici è in giro per Voghera, forse armato come sua consuetudine, a caccia di malamovidosi irrispettosi della nuova ordinanza. Escludiamo che abbia in tasca anche un termometro per la birra, ma visto il personaggio tutto è possibile. Passa anche da piazza Meadri, che è una sorta di rondò nel mezzo di un parchetto alberato. Lì, pare, gli viene segnalato dal proprietario di un bar o di un locale che Youns El Boussetaoui, «il barbone marocchino» che alcuni chiamano Mustà, aveva disturbato la clientela. Ci saranno testimonianze che usano l’espressione «dispetti», o menzionano casi di zucchero rovesciato, di cani infastiditi. Per inquadrare realisticamente la situazione, diremo che un cartello portato dai familiari in manifestazione mostrerà la foto dell’uomo con la scritta «Papà andava aiutato… non ammazzato». Un negoziante arabo racconta in un video che, avendo un giorno sgridato Youns per un’intemperanza, lui si era scusato promettendo di non farlo più.
Adriatici decide di tornare sul posto la sera dopo; una delle ipotesi formulate dagli inquirenti è che lo abbia fatto di proposito: sta cercando, pistola in tasca, quella che diventerà la sua vittima. Noi immaginiamo che voglia mostrare agli esercenti e al resto dell’elettorato che lui risolve i problemi, che è un uomo d’azione. In pratica, sta facendo campagna elettorale. Il video che abbiamo visto tutti, diffuso nella giornata di giovedì 22 luglio, mostra Boussetaoui che si avvicina barcollante ad Adriatici: lui gli mostra la pistola carica, probabilmente lo minaccia, l’altro reagisce con una manata (non un pugno), l’assessore cade a terra, secondo un testimone oculare prende la mira e spara. In ospedale, l’immigrato muore. Il leghista è arrestato, inizialmente per omicidio volontario. Dice che la pistola ha sparato da sola, per sbaglio, durante la caduta; ma quando esce il video, cambia versione: era confuso, era spaventato, non si ricorda. Giustamente, il magistrato osserva che un presunto esperto di diritto e armi da fuoco che gira con una pistola carica, ma si confonde e spara a casaccio, è un individuo pericoloso.
Le interferenze
Subito dopo l’omicidio, Matteo Salvini e altri esponenti di primo piano della Lega hanno cominciato a interferire con il procedimento penale in atto. Attenzione: quando scriviamo «interferire» non intendiamo che i leghisti stiano influenzando il convincimento dei magistrati, anche perché a oggi il convincimento dei magistrati è diverso da quello della Lega, come vedremo tra breve. Intendiamo che le loro dichiarazioni travisano quanto finora è emerso nel procedimento, e condizionano la lettura dei fatti nell’opinione pubblica. Il copione non è inedito. Per limitarci all’esempio più recente, pensiamo al processo contro Ciro Grillo, accusato (insieme ad altri tre uomini) di violenza sessuale di gruppo. Ancor prima che iniziassero le udienze, il fondatore del Movimento 5 stelle era intervenuto a scagionare il figlio, negando con veemenza, gonfie le vene del collo, che ci fosse stato stupro. Nel caso di Voghera, invece, la morte di Youns El Boussetaoui a causa del colpo di pistola sparato da Massimo Adriatici non si poteva ovviamente negare. Per poter dire che l’assessore non fosse un omicida, bisognava perciò battere un’altra strada.
È Salvini, per primo, a dettare la linea, in un video pubblicato poche ore dopo l’omicidio. Consapevolmente o meno, il segretario Leghista attinge a un luogo comune della retorica classica, che come ogni impiego di un luogo comune rivela la mentalità di chi lo usa: il luogo è quello della comparatio personarum, cioè delle vite a confronto. Il morto è straniero, noto per violenze, aggressioni e «addirittura» per aver commesso atti osceni. Lo sparatore, l’abbiamo detto, è un docente di diritto penale, stimato avvocato penalista ed ex funzionario di polizia. Se ciò è vero, dice Salvini, la difesa è sempre legittima. L’europarlamentare Angelo Ciocca è arrivato a sostenere che Youns El Boussetaoui era in procinto di violentare una donna, e che lo sparatore sarebbe intervenuto a sventare l’aggressione. Ma nessuno, nemmeno gli avvocati di Adriatici, ha mai parlato di questo fatto. E niente di simile si vede nel video dei momenti che hanno preceduto l’omicidio. Insomma, si tratta di una balla, non troviamo un modo più elegante per dirlo. E di un’infamia alla memoria del morto. Ciocca, una carriera non del tutto specchiata alle spalle, è il grande elettore della Lega a Pavia, insieme al sottosegretario ed ex ministro Gian Marco Centinaio. Per la cronaca, è poi risultato che Boussetaoui era incensurato. Ma le dichiarazioni di Salvini e Ciocca non sarebbero state meno deprecabili in caso contrario. Il loro sottotesto è sin troppo evidente: dispiace che l’uno, la vittima, sia morto, ma ha comunque vissuto indegnamente; più rispetto merita l’altro, l’uccisore, che invece ha una vita per bene.
Tutta la comunicazione leghista ha cercato di accreditare l’idea che per Adriatici si stesse «facendo strada l’ipotesi della legittima difesa». Su questo bisogna fare chiarezza, perché l’esternazione di Salvini è stata riportata per lo più acriticamente, ma è quantomeno fuorviante. Le cronache hanno davvero fatto qualche riferimento alla legittima difesa, però in tutt’altro senso. Chiedendo la convalida dell’arresto, il pubblico ministero di Pavia ha ipotizzato che Adriatici abbia agito per eccesso colposo di legittima difesa. Al momento è questa la contestazione mossa allo sparatore: nel prosieguo potrà cambiare, in senso più lieve o più grave.
La legge
Ma cos’è l’eccesso colposo di legittima difesa? La legittima difesa è una scriminante (o causa di giustificazione), ossia esclude che un fatto concreto possa integrare una fattispecie di reato, anche se corrisponde a quello che la legge considera in astratto come tale. Perciò, il comportamento che cagiona la morte di un uomo non è un delitto di omicidio, se sussiste alcuna delle scriminanti previste dalla legge. La legittima difesa, in particolare, è prevista dall’articolo 52 del codice penale. Ricordiamoci che questo articolo è stato modificato ben due volte proprio secondo le indicazioni della Lega: oggi, dunque, è nella sua forma ideale dal punto di vista dei leghisti.
L’articolo 52, così come voluto da Bossi e Salvini, ha tre commi: il secondo e il terzo, quelli su cui hanno battagliato per anni i leghisti, si applicano al domicilio e ai luoghi in cui si svolge un’attività d’impresa o professionale, quindi non riguardano il caso di Voghera. Resta il primo, l’ipotesi classica di legittima difesa, cioè quella di chi è costretto a difendere un diritto, suo o di altri, da un’offesa concreta e attuale, a patto che la difesa sia proporzionata. L’eccesso colposo, invece, è disciplinato dall’art. 55. La regola è questa: se per colpa si superano i limiti consentiti all’esercizio di una scriminante, il fatto è punito come delitto colposo. Ciò, però, solo se la legge punisce lo specifico delitto anche a titolo colposo. Tra i delitti puniti sia per dolo sia per colpa, come si sa, c’è l’omicidio.
Si potrebbe obiettare: è vero che non era in pericolo, ma Adriatici magari ha sparato perché era convinto di esserlo. E il codice penale prevede, all’ultimo comma dell’articolo 59, che sono valutate a favore del colpevole le «circostanze di esclusione della pena» che questi ritenga esistenti per errore. Ma l’errore deve essere ragionevole. Se l’errore è colposo, di nuovo, si risponde per colpa. Evidentemente, la procura ritiene che un eventuale errore di Adriatici non sarebbe comunque stato ragionevole. L’assessore, nelle parole di Salvini, è un avvocato stimato. Dunque dovrebbe essere più di altri in grado di valutare l’esistenza delle circostanze di fatto in cui la scriminante può operare: l’attualità del pericolo, la proporzionalità tra offesa e difesa. Inoltre è un ex poliziotto, dunque dovrebbe essere più di altri in grado di usare correttamente le armi.
Quindi, ed è questo che Salvini non dice, se la procura contesta l’eccesso colposo, significa che esclude l’esistenza della legittima difesa: ossia, ritiene che l’omicidio ci sia stato, ma sia stato colposo.
Per ora, il giudice per le indagini preliminari ha accolto la tesi della procura, sia quando è stato chiamato a convalidare l’arresto, sia al termine dell’interrogatorio di garanzia, che Adriatici ha reso venerdì 23 luglio. Precisiamo: né la convalida dell’arresto né l’interrogatorio di garanzia hanno per scopo di accertare i fatti. Servono a verificare la sussistenza dei presupposti che legittimano rispettivamente l’esecuzione dell’arresto e l’applicazione della misura cautelare, misura che per Adriatici è la detenzione domiciliare.
Dunque non è vero che «si sta facendo strada l’ipotesi della legittima difesa», come ha detto Salvini. È vero il contrario: infatti, ogni volta che il giudice si è espresso (e si è espresso, non dimentichiamolo, in seguito a un contraddittorio tra pm e difensori di Adriatici), ha ritenuto di escludere che l’omicidio fosse scriminato dalla legittima difesa, ma che la sua difesa semmai fosse stata eccessiva, ovvero illegittima. Se si andrà a giudizio, vedremo se sarà dello stesso avviso anche il giudice (diverso) che se ne occuperà. Intanto, però, i fatti sono questi: Adriatici è indagato di omicidio colposo per eccesso di legittima difesa, ed è ristretto ai domiciliari perché il giudice ravvisa i gravi indizi di colpevolezza (art. 273 del codice di procedura penale), e le esigenze cautelari (art. 274): cioè, in questo caso, il pericolo d’inquinamento delle prove e di reiterazione del reato.
Le vite nere contano
Le minuzie legali, che tanto infastidiscono gli sceriffi e i loro fan, sono sempre al centro delle campagne politiche che si sviluppano attorno a una categoria di incidenti simili a quello di Voghera, e molto frequenti per esempio negli Stati uniti. Ci riferiamo agli abusi di polizia nei confronti delle minoranze etniche, dei poveri, dei malati psichici. Analizzare esattamente le condotte dei presunti tutori della legge è importante per rispondere alla versione grezza del diritto espressa dal motto «La legge sono io», dove «io» non è il Re Sole ma il primo razzista di passaggio. Senza illusioni legalitarie, è la prima linea di difesa dei diritti: pretendere il rispetto di quelli teoricamente già conquistati, ma nella pratica quotidianamente rintuzzati.
Un altro aspetto di queste campagne è il disvelamento del razzismo sistemico, intrecciato col pregiudizio di classe. Lo straniero povero, come Mustà, ne è la vittima predestinata ideale. Disvelare la discriminazione che sta sotto alla violenza di Stato (in questo caso addirittura violenza di un politico al potere, più spesso violenza di semplici agenti del potere pubblico) significa andare oltre al caso individuale per arrivare alla statistica, ma anche indagare il caso individuale per riscontrare la catena di ingiustizie che hanno pesato sul suo esito. Adriatici avrebbe sparato a un borghese italiano ubriaco? Impossibile. Avrebbe sparato a un senza tettoitaliano, magari fratello di una donna vogherese con cognome italiano? Improbabile. Avrebbe sparato a un operaio marocchino con fissa dimora? E che dire di un disoccupato marocchino ubriaco con problemi psichici?
E viceversa: quanti omicidi vengono messi ai domiciliari? Quanti di loro hanno europarlamentari e ministri che si premurano di difenderli e di esprimere loro solidarietà? Nella manifestazione era palpabile la preoccupazione di tutti che la posizione di privilegio politico e sociale di Adriatici finisse per permettergli di farla franca. Nella giunta, in effetti, Adriatici è il più ricco, con un reddito di oltre 130mila euro annui. Nel Foro di Pavia è molto conosciuto. La sorella della sindaca fa la magistrata in quel tribunale.
Da situazioni come queste è sorto l’enorme movimento Black Lives Matter negli Usa. E in effetti a Voghera c’era uno striscione che riproduceva quello slogan: le vite nere contano. Anche in Italia, da un anno a questa parte, abbiamo visto mobilitazioni simili, ma di dimensioni, ricezione e impatto per ora minori; seppure con le specificità di una situazione senz’altro diversa, quest’onda è probabilmente destinata a crescere. Forse il gesto di inginocchiarsi smetterà presto di essere visto come un omaggio a una questione d’oltreoceano.
*Luca Casarotti è un giurista. Fa parte del gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki. Scrive di uso politico del diritto penale e di antifascismo. Ha una seconda identità di pianista e critico musicale. Mauro Vanetti ha scritto per marxist.com, Giap e Carmilla mischiando saggistica e narrativa. Con altri attivisti ha pubblicato Vivere senza slot (Ediciclo, 2013) sull’opposizione al gioco d’azzardo di massa. Di mestiere è ingegnere del software; con questa scusa ultimamente si occupa anche di videogiochi. Ha scritto La sinistra di destra (Alegre, 2019).
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.