
Joe il cattolico nel paese dilaniato
Obama poteva tradurre in ottimismo liberale le aspirazioni degli afrodiscendenti. Invece, analizzando la sua cerimonia di insediamento, si capisce che Biden adopera lemmi religiosi per addomesticare conflitti irrisolvibili
For we must consider that we shall be as a city upon a hill. The eyes of all people are upon us.
J. Winthrop, A Model of Christian Charity
Il rapporto tra ritualità politica, retorica pubblica e fede negli Stati uniti è studiato da anni, da diversi punti di vista e canali interpretativi. Sin dal sermone A Model of Christian Charity di John Winthrop (1630), con una prevalenza di concetti desunti dalla Bibbia e dalle confessioni cristiane, il discorso pubblico negli States trova nella fede forme di legittimazione e strumenti di lotta. Solo in ambito cattolico, su fede, pluralismo costituzionale e politica è recentissima la nuova edizione del saggio del 1960 del gesuita John Courtney Murray, We Hold These Truths (con nota introduttiva di Stefano Ceccanti, edito Morcelliana), pubblicato durante la campagna di John F. Kennedy, in pieno pontificato giovanneo.
Questo contributo indaga su parole e simboli di sicura o soffusa matrice cattolica che hanno segnato l’Inauguration Day del presidente Joseph R. Biden jr, ricavando, da questi, possibili condotte. Sul rapporto tra il Presidente, i cui slogan più diffusi sono stati i significativi Keep the Faith! e Battle for the Soul of the Nation, e la fede cattolica segnaliamo Joe Biden and Catholicism in the United States di Massimo Faggioli, edito da Bayard. Senza sovradimensionare un uso non inedito del religioso nella ritualità politica americana rispetto a scelte economiche o a programmi della Casa Bianca, la tesi di fondo è che determinati messaggi e linee di tendenza siano veicolati dall’Inauguration Day in preghiere, gesti, riferimenti. Inserimenti di atti religiosi nell’insediamento del Capo di Stato sono il prodotto di prassi sedimentate nel Novecento: dal 1933, a eccezione di Nixon, il President-elect partecipa a un Morning Worship Service privato secondo il rito della sua Chiesa; all’insediamento, dal 1937 in poi, uno o più ministri proclamano pubblicamente un’articolata invocazione a beneficio del nuovo Presidente; lo stesso giorno o in quelli immediatamente successivi, dal 1977 c’è un Public Prayer Service interconfessionale. Gli eventi storici usati come riferimenti legittimanti sono la partecipazione di George Washington e dei congressmen alla messa celebrata il 30 aprile 1789 dall’arcivescovo anglicano di New York, il battagliero patriota Samuel Provoost, e i Prayer Meetings interconfessionali svolti dal 1869 (fine della Guerra Civile) dal cappellano del Congresso. Ulteriore connessione tra piano politico-istituzionale e religioso: la risoluzione parlamentare del 27 aprile 1789, che disponeva come, dopo il giuramento, il Presidente, «assieme al Vicepresidente e ai membri del Senato e della Camera dei Rappresentanti, si recherà presso la St. Paul’s Chapel, per partecipare alla sacra liturgia».
Per inquadrare con efficacia il tema, offriamo due significativi e storicamente recenti termini di paragone: gli insediamenti di Barack Obama (2009, primo mandato) e di Donald Trump (2017).
Inaugurations
Il primo Inauguration Day di Obama è seguito da oltre un milione di americani accorsi a Capitol Hill. La regina del soul, Aretha Franklin, emblema dei movimenti degli anni Sessanta con la celebre Respect e che aveva cantato al funerale di Martin Luther King, intona con appassionata voce stentorea il My Country ‘Tis of Thee che manifesta plasticamente l’auspicio di una presidenza capace di integrare del tutto le ansie e le speranze degli afroamericani nella sweet land of Liberty. È un momento storico accompagnato da invocazioni religiose che invogliano un senso di pacifica riconciliazione nel contesto liberale dell’American Dream, che aveva già trovato incarnazione nel keynote address di Obama alla convention democratica del 2004: «Non c’è un’America liberale ed un’America conservatrice — ci sono gli Stati uniti d’America. Non c’è un’America nera e un’America bianca e un’America latina ed un’America asiatica — ci sono gli Stati uniti d’America. Agli esperti piace tagliare a cubetti il nostro Paese in Stati rossi e Stati blu; rossi per i Repubblicani, blu per i Democratici. Ma io ho una notizia anche per loro: noi crediamo in un grande Dio negli Stati blu e a noi non piacciono gli agenti federali che frugano nelle nostre biblioteche negli Stati rossi. Noi alleniamo la Little League negli Stati blu, e, si’, noi abbiamo amici gay negli Stati rossi. Ci sono patrioti che si sono opposti alla guerra in Iraq e patrioti che hanno sostenuto la guerra in Iraq». Alla preghiera di Richard Warren, pastore conservatore e fondatore di una Megachurch nella Southern Baptist Convention, avrebbe fatto seguito quella di Joseph Echols Lowery, metodista, co-fondatore della Southern Christian Leadership Conference con King, dopo il cui omicidio ne avrebbe proseguito la battaglia. La scelta di Warren ha indignato le associazioni pro choice e Lgbt+ per le sue posizioni su aborto, same-sex marriage, preservativi, ricerca su cellule embrionali. Lowery, invece, era stato criticato nel 2006 per aver condannato la guerra in Iraq e l’amministrazione Bush al funerale di Coretta Scott King. «Per l’America è importante riunirsi, anche se possiamo avere disaccordi su certi temi sociali» avrebbe risposto Obama.
Se la retorica religiosa di tale Inauguration Day è in una tradizione liberal e democratica, di taglio molto diverso è l’insediamento di Trump, che avrebbe registrato, come primo dato specifico, il più alto numero di ministri chiamati a invocare i benefici divini. Dopo il gesuita Timothy Stafford Healy per Reagan (1985) torna un prelato cattolico: il cardinale arcivescovo di New York, Timothy Dolan, ex «grande elettore» di Bergoglio, ora tanto distante dalla linea della Santa Sede da essersi segnalato per il maldestro invio a tutti i cardinali (luglio 2020) del libro The Next Pope: the Office of Peter and a Church in Mission del conservatore George Weigel. Non un segnale di buon vicinato verso un pontefice vivo e regnante. Dolan si è distinto nel 2020 per aver benedetto l’apertura della convention repubblicana – mentre, sul versante democratico, la convention era aperta da sr Simone Campbell e dal gesuita James Martin – dicendo: «Preghiamo affinché tutte le nostre vite siano protette e rispettate nelle nostre travagliate città e la polizia le custodisca, in situazioni di tensione in cui i nostri uomini e le nostre donne in uniforme mantengono la pace». Erano in corso le mobilitazioni di Black Lives Matter e la violenza della polizia era nota. Nel 2017 con Dolan c’erano i pastori Franklin Graham e Samuel Rodriguez, il rabbino Marvin Hier, il vescovo Wayne Jackson, Paula White, consigliera spirituale di Trump, predicatrice di una Megachurch in Florida.
White è riferimento della prosperity theology che indica nella ricchezza il favore di Dio e nei cristiani, segno di perfezione, l’affidamento di ogni potere sulla Creazione. I richiami alla «Blessed Nation» gratificata da ogni dono divino si sprecava, quanto iconiche affermazioni come quella di Graham: «Signor Presidente, nella Bibbia la pioggia è segno della benedizione di Dio. Signor Presidente, quanto lei è arrivato sul podio, ha iniziato a piovere!». La battaglia di White e di numerosi predicatori di parte evangelica per il trumpismo prosegue e sarà un elemento di cui tener conto, poiché si tratta di referenti spirituali cui si rivolgono quote non indifferenti di elettorato bianco, middle-class e protestante: mentre White ha paragonato Trump a Ester, giovane ebrea divenuta regina dei persiani, poiché entrambi «unconventional choices» gradite a Dio, lo scrittore Lance Wallnau ha riferito di aver (sic!) parlato con Dio, che gli avrebbe mostrato in The Donald il nuovo Ciro, re pagano strumento di Jahvé. Pur non egemoni, sono posizioni di non ridotta capacità mobilitativa di frange del cristianesimo evangelico a sostegno delle opzioni più radicalmente conservatrici.
I due momenti testimoniano la capacità di offrire una legittimazione della linea della Casa Bianca, delineando altresì, su molti aspetti, la constituency che il Presidente entrante ha o si aspetta di avere nel mandato. Se in Obama il richiamo alla lotta per i diritti civili e l’enfasi sul primo presidente afroamericano era unita alla prospettiva di riappacificare il Paese in senso liberale anche al prezzo di alcune polemiche (caso Warren), Trump raggruppa un numero elevato di religiosi per esprimere l’aspettativa di una grandezza materiale per il Paese e il suo leader, alludendo a un carisma specifico di questo Presidente, benedetto da Dio quale mezzo provvidenziale e difesa dalle minacce di poteri esterni o nemici interni – anticipo embrionale di quell’approccio fideistico verso Trump da parte di estrema destra e suprematisti bianchi.
So, help me God
L’unità dei diversi, la riconciliazione dopo l’inedita insurrezione contro il baluardo della democrazia rappresentativa, il richiamo a una responsabilità collettiva a tinte moraleggianti: l’inaugural speech di Biden trova già rispondenza nelle personalità invitate a presenziare in ruoli non religiosi. Lady Gaga, convinta supporter democratica e sostenitrice di leggi contro le aggressioni sessuali, ha prestato la voce all’inno nazionale. Jennifer Lopez ha intonato This Land is your Land e America the Beautiful. Eugene Goodman, l’agente di colore della US Capitol Police che ha attirato e deviato i violenti in Campidoglio, ha scortato la VP Harris. Amanda Gorman, la più giovane Inaugural Poet della storia, con la poesia The Hill We Climb ha posto nella riconciliazione il carattere guida della cerimonia:
Noi ricostruiremo, riconcilieremo e ci riprenderemo. In ogni luogo conosciuto della nostra Nazione e in ogni angolo chiamato nostro paese, la nostra gente diversa e bella, emergerà malconcia e bella. Quando il giorno verrà, usciremo dall’ombra, ardenti e senza paura.
Come si sono inseriti gli elementi religiosi in tale prospettiva, rimarcata da un pluralismo dei generi e del colore della pelle più forte rispetto all’insediamento di Obama, confermata da Biden nelle annunciate nomine? Un pluralismo in cui a essere in minoranza sono quei White Anglo-Saxon Protestants (Males) rappresentati, al più alto livello, dall’ormai ex Vicepresidente Mike Pence e dai predecessori di Obama.
Una risposta affascinante è nella preghiera introduttiva del gesuita Leo O’Donovan, ex presidente (1989-2001) della Georgetown University. Il secondo presidente cattolico conserva un legame speciale con O’Donovan, che nel 2015 aveva celebrato il funerale del figlio Beau, deceduto per cancro. Biden ha firmato la prefazione al suo Blessed are the Refugees: Beatitudes of Immigrant Children (2018) su un tema segnato dalle posizioni opposte del pontefice e di Trump. O’Donovan si è distinto per aver tutelato la libera espressione in ateneo di un gruppo pro choice in materia di aborto, pur minacciato di sanzioni canoniche da Roma. Assieme all’impegno accademico, ha contribuito ad altri settori della vita pubblica come direttore per gli Usa dal 2016 del Jesuit Refugee Service o come membro del board della Walt Disney. Veniamo alla preghiera pronunciata a sostegno dell’idea di more perfect Union cifra della presidenza. Ispirandosi all’augurio del primo arcivescovo cattolico di Baltimora (gesuita e fondatore della Georgetown University), John Carroll, a George Washington – che avrebbe risposto il 12 marzo 1790 con la missiva To the Roman Catholics in the United States of America – O’Donovan indica la base plurale della composizione del Paese («gente di molte razze, credi e colori, origini nazionali, culture e stili») per invitare gli astanti a riconoscere «i nostri passati fallimenti per vivere secondo la nostra visione di equità, inclusione e libertà per tutti». Non il richiamo alla grandezza che è base delle suppliche rivolte all’inizio della presidenza Trump: appare come una vera richiesta di perdono preventivo al Divino, necessaria per chiarire la prospettiva spirituale della nuova direzione politica.
La grandezza che suggerisce O’Donovan si colloca in una chiave di lettura più simile al principio della diakonia: «lo spirito di amare, prendersi cura e sostenere gli altri», che propone come definizione per un «patriottismo americano, nato non dal potere e dal privilegio ma dalla cura del bene comune». Pur riconoscendo un carisma specifico in Biden, lo connette alla «wisdom» di Salomone: sapienza che è base per quel discernimento cardine degli esercizi spirituali gesuiti. L’idea di sapienza era al centro anche dell’invocazione di Dolan nel 2017: «Donaci la saggezza, perché siamo tuoi servi deboli e dalla breve vita, mancanti di comprensione del giudizio e delle leggi. Infatti, per quanto uno sia perfetto tra i mortali, se manca la saggezza che viene da Te, non contiamo nulla». Dalla sapienza per restaurare la forza alla sapienza come sorgente di comprensione per distinguere bene e male. L’invocazione finale sancisce l’intreccio con la chiave di lettura dell’insediamento Biden:
Sotto il nostro nuovo Presidente aiutaci a riconciliare la gente della nostra terra, a riparare il nostro sogno e investire in esso con pace e giustizia e gioia, in cui trabocca l’amore.
La riconciliazione è nuovo inizio per il sogno americano, ove si inserisce la riflessione di Papa Francesco, desunta dal n. 8 dell’enciclica Fratelli Tutti, a sua volta estratta dal discorso all’incontro ecumenico tra Bergoglio e i giovani a Skopje il 7 maggio 2019 dedicata al riconoscimento della dignità della persona. La riportiamo poiché è cifra politica neanche tanto occultata su temi caratterizzanti delle agende politiche:
Ecco un bellissimo segreto per sognare e rendere la nostra vita una bella avventura. Nessuno può affrontare la vita in modo isolato, non si può vivere la fede, i sogni senza comunità, solo nel proprio cuore o a casa, chiusi e isolati tra quattro mura, c’è bisogno di una comunità che ci sostenga, che ci aiuti e nella quale ci aiutiamo a vicenda a guardare avanti. Com’è importante sognare insieme! Come fate oggi: qui, tutti uniti, senza barriere. Per favore, sognate insieme, non da soli; sognate con gli altri, mai contro gli altri! Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è; i sogni si costruiscono insieme.
O’Donovan ricostruisce l’American Dream e il patriottismo non solo per dare spazio alla cattolicità: egli struttura una legittimazione transnazionale per il progressismo liberal e multiculturale su cui, con notevoli sfumature – specie in politica economica – si è impostata la campagna democratica. Una legittimazione non unanime nella cattolicità Usa: basti pensare al ruolo del rapporto tra Steve Bannon e l’ex nunzio Viganò in antagonismo conclamato verso il pontificato, a sostegno dell’Alt Right. Ecco perché O’Donovan connette tali concetti al sogno, a un American Dream riscritto. Sul dream corre il rapporto, diverso rispetto a quello di Trump, tra il pontefice e Biden: come rivelato in dicembre alla Cbs, il Papa si era congratulato con il democratico vittorioso attraverso Wilton Gregory, arcivescovo di Washington di fresca nomina cardinalizia, regalando una copia autografata del suo Ritorniamo a sognare, dedicato ai percorsi possibili per uscire dalla crisi.
Tali temi sono stati parzialmente anticipati a Biden nella messa alla Cathedral of St. Matthew cui ha preso parte la mattina dell’insediamento con la famiglia, le alte cariche istituzionali e la leadership repubblicana del Congresso – che ha usato l’invito per evitare il saluto a Trump prima della partenza per Mar-a-Lago. A officiare la celebrazione, ancora, un gesuita: Kevin O’Brien. Questi ha raccontato così il suo sermone sulla riconciliazione:
Abbiamo molto da attenderci come paese da voi e Kamala Harris. Ogni giorno, vi sforzerete di sanare le ferite della nostra nazione, riconciliare i diversi e unirci. Conoscete molto bene le sfide e i costi di tale impegno. La mia più profonda preghiera per voi oggi, come sacerdote, cittadino e amico, è che possiate sempre ricordare che il Signore è vicino e non importa il rumore e la furia attorno a voi, Dio vi dona pace, una pace profonda che vi sosterrà.
L’intervento di Biden ha raccolto tali suggestioni: oltre a ribadire il concetto di riconciliazione per una «One Nation» chiamata a sanare le proprie ferite come dopo una guerra civile, c’è l’appello all’unità di fronte all’epidemia, con la promessa, «as the Bible says», che al pianto della notte seguirà la gioia del mattino. Un’agenda di tolleranza in cui spicca la citazione da Agostino, «a Saint of my Church», tratta dal p. 24 del lib. XIX del De Civitate Dei (Il fine del Bene e la Pace in Dio) sulla «città dei Giusti»:
[Agostino] scrisse che il popolo era una moltitudine definita dall’oggetto comune del suo amore. Definita dall’oggetto comune del suo amore. Quale è l’oggetto comune che noi Americani amiamo, che ci definisce Americani? Penso che lo sappiamo. Opportunità, sicurezza, libertà, dignità, rispetto, lealtà e, si’, verità.
A unire l’ex vice di Obama e Agostino è il fulcro di una solida costituzione civile nella concordia tra ragionevoli, da instaurarsi nella corresponsabilità. Subito, infatti, Biden rimarca l’importanza della verità per la responsabilità pubblica:
C’è verità e ci sono menzogne, menzogne dette per potere e profitto. E ciascuno di noi ha il compito e la responsabilità come cittadini, come Americani, specie come leaders, leaders che hanno giurato di onorare la nostra Costituzione e proteggere la nostra nazione, di difendere la verità e sconfiggere la menzogna.
È probabile che tale citazione non sia emersa uno studio teologico dei ghost-writers, quanto dalla citazione agostiniana che il Papa dà in È l’amore che apre gli occhi (2014). Ultimo elemento di relazione col pontefice è la richiesta di una preghiera silenziosa per i morti di Covid: pur usuale nella retorica politica e comprensibile per la modalità con cui il predecessore ha trattato il tema, impossibile non ripensare alla preghiera silenziosa, a capo chino su piazza San Pietro, chiesta la sera dell’elezione da Francesco in diretta mondiale. Entrambe auto-limitazioni dell’immagine onnipotente del «pio padre-sovrano» e tentativo, in un discorso improntato all’umiltà e al ricordo (dei defunti in un caso, del capo spirituale neo-eletto che chiede una benedizione popolare in un altro) di inoculare una responsabilizzazione individuale. A concludere l’insediamento è stato il reverendo Sylvester Beaman, metodista, amico di famiglia Biden.
America United
Cosa raccogliere da tali riferimenti? È superficiale dire che tali parole emergono solo dal discorso di attori religiosi o che siano significativi solo perché pronunciate nell’investitura. Il punto è che questa investitura, dopo un’amministrazione uscente tanto irrituale, ad appena due settimane dal traumatico attacco a Capitol Hill, racconta la consapevolezza non scontata della fragilità del corpo sociale e delle istituzioni. Mentre Obama poteva tradurre in ottimismo liberale le aspirazioni di varie generazioni afrodiscendenti, Biden deve farsi almeno soggetto capace di comprendere i cambiamenti in atto, provvedendo a una riconciliazione tutta da dimostrare, connessa a un’agenda che, rivolta a un Congresso a maggioranza democratica, deve confrontarsi col peso di lobbies e desideri di mero «ritorno» al liberalismo degli anni di Obama. L’insurrezione di gennaio pare abbia cambiato le carte in tavola, ma nulla è scontato: il desiderio di riconciliazione traslato in lemmi religiosi può significare anestetizzazione del conflitto, oblio per il trumpismo non tramontato, riscrittura di regole del gioco insufficienti. È presto per capire se il composito establishment democratico sia all’altezza di una ri-legittimazione del sistema nel quadro in cui, come scrive Arnaldo Testi, una neonata presidenza a (possibile) trazione rooseveltiana-populista prova a disfarsi del regime politico-sociale conservatore repubblicano. Intanto, il discorso pubblico religioso e, in particolare, una certa retorica di matrice cattolica – spesso su bocche gesuite – è a disposizione di tale tentativo in una inusuale modalità militante.
*Ettore Bucci, perfezionando in storia contemporanea presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, è cultore della materia in storia del pensiero e delle istituzioni politiche presso l’Università di Pisa e membro del Centro Universitario Cattolico della Conferenza Episcopale Italiana.
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