Knock It Down
È uscito "Knock Down the House", il documentario su Alexandria Ocasio-Cortez e altre tre attiviste e candidate per il Congresso degli Usa: donne di provenienza working class che hanno sfidato l’establishment del partito democratico
Sin dalla sua vittoria, la scorsa estate, contro il potente candidato in carica Joe Crowley alle primarie del Partito Democratico, Alexandria Ocasio-Cortez è stata oggetto di attacchi feroci tanto da destra quanto dal centro. È invece diventata un’eroina sia per la sinistra progressista – che riconosce nella deputata socialista una figura in grado di sfidare le élite al potere – sia per molti liberali mainstream conquistati dal suo carisma e dalla sua storia personale. Che la sia ami o la si odi, nessuno può negare che rappresenti una forza emergente della politica americana.
Il nuovo documentario di Rachel Lears, Knock Down the House, riporta indietro l’orologio. Si apre infatti con una scena in cui Ocasio-Cortez, nel bel mezzo della campagna elettorale per il Congresso, si sta truccando di fronte allo specchio di un bagno e si domanda ad alta voce: «Come fai a prepararti per qualcosa che non sai che sta arrivando?».
Il film segue quattro donne progressiste candidate al Congresso nella campagna di midterm del 2018 contro alcuni centristi democratici dell’establishment: Ocasio-Cortez a New York, Amy Vilela in Nevada, Cori Bush in Missouri, e Paula Jean Swearengin in West Virginia. Nessuna di loro sapeva esattamente quali fossero le proprie chance di essere elette, né quali difficoltà avrebbero affrontato. Ma tutte sapevano una cosa: era venuto il tempo per le persone come loro – lavoratrici comuni con background differenti – di candidarsi alla guida dello stato.
Vox l’ha definito «un piacevole film liberale», e in realtà l’ultima mezz’ora è un’altalena di emozioni, ricca di paure e gioie. Ma il film è molto più di questo. Tre sono le questioni che pone con efficacia: la prima, che la working class può e deve candidarsi; la seconda, che, per quanto non sia semplice, è comunque possibile portare avanti una campagna elettorale ribelle contro pezzi consolidati dell’establishment; e terzo, che c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel Partito Democratico.
Le organizzazioni politiche progressiste Brand New Congress e Justice Democrats [formati entrambi da ex-membri dello staff della campagna di Bernie Sanders del 2016, ndt] hanno scelto le candidate protagoniste in una lunga lista di nomination popolari. Per questi gruppi era importante individuare potenziali candidate e candidati che avessero un lavoro normale e una storia con cui ci si potesse identificare, persone che il film definisce «outsider della politica». La teoria, come dice subito nel film Isra Allison di Brand New Congress, è che se «eleggiamo lavoratori e lavoratrici, lavoratori e lavoratrici avranno una rappresentanza al Congresso. E possiamo cambiare il modo in cui vediamo il governo e la politica in questo paese».
Il deputato medio ha un patrimonio netto del valore di circa un milione di dollari, mentre un senatore medio arriva ai tre milioni di dollari. Una persona della working class di solito non vede sé stessa come leader politico e, pure se dovesse trovare la fiducia e la forza necessarie a candidarsi, non avrebbe comunque le risorse economiche per una campagna elettorale competitiva.
Il film ampliare l’orizzonte della politica elettorale. «Le persone comuni», dice Ocasio-Cortez in un video in cui trasporta secchi di ghiaccio al bancone del bar indossando i tipici guanti di lattice, «meritano di essere rappresentate da persone comuni».
In un’altra scena, Paula Jean Swearengin guida attraverso Coal City, in West Virginia, e indica le case in cui vivevano alcune delle persone che conosceva, ammalate di cancro. Swearengin viene da una storica famiglia di minatori di carbone, e molti dei suoi vicini di casa e dei suoi parenti sono morti giovani. Gesticola verso un panorama sfregiato dal taglio delle cime delle montagne e dice: «Se venisse qui un’altra nazione e facesse saltare per aria le nostre montagne e avvelenasse la nostra acqua, andremmo in guerra. Ma all’industria lo permettiamo».
Il film sostiene la tesi che una rappresentante politica che abbia sperimentato una vita working class in uno stato incentrato sulle miniere di carbone, e sia stata esposta in prima persona all’inquinamento derivante dalle industrie e ai suoi effetti venefici, sia un rappresentante migliore per le persone che vivono questi stessi problemi rispetto a chi, come Joe Manchin, l’avversario di Swearengin, ha una ricchezza personale che deriva proprio dall’industria del carbone.
Un principio che vale anche per la working class nera di St. Louis. Il distretto di Cori Bush in Missouri è quello in cui Mike Brown è stato assassinato dalla polizia, innescando la miccia del movimento nazionale Black Lives Matter nel 2014. Il distretto ha il tasso di omicidi più elevato dello stato, ed è devastato dalla povertà e dall’incarcerazione di massa. Il suo attuale rappresentante, Lacy Clay, è nero, ma questo non significa necessariamente che riesca a relazionarsi alle sofferenze del suo elettorato – è entrato al Congresso nel 2001 prendendo il posto del padre, William Clay, che lo ha occupato per decenni sin dal 1969.
Bush, un’infermiera specializzata, è diventata un’attivista quando ha cominciato a fare volontariato per fornire assistenza medica durante le proteste di Ferguson. In una scena del film, Bush dice a un gruppo di elettori: «Deve occuparsi di noi, pensare a noi, avere cura di noi, parlare di noi». In un’altra scena, quando un uomo nero la cui famiglia ha sempre votato per la dinastia Clay insiste sul concetto di «anzianità», Bush risponde: «Ma per chi conta? Conta davvero per noi? Ci importa davvero dell’anzianità?». Qui il noi non sono solo le persone nere – è la working class, i cui parenti non sono deputati, ma cuochi o insegnanti o disoccupati.
All’ingresso di una casa di Las Vegas, Amy Vilela descrive sé stessa come «una che non dovrebbe essere in grado di candidarsi al Congresso. Ero una madre single. Sopravvivevo grazie a Medicaid, Wic [un programma federale di assistenza alimentare per donne e bambini, ndt], i buoni pasto». La donna alla porta annuisce vigorosamente. È una delle asserzioni centrali del film: non solo le persone comuni possono essere leader politici, ma in realtà sono leader politici migliori dei politici di professione, perché hanno esperienza delle realtà del posto.
Il film funziona anche come argomento a favore delle sempre più numerose sfide ai politici dell’establishment. La macchina politica si fonda su una diffusa rassegnazione popolare, un falso senso di immutabilità politica. Ma le fondamenta di questo castello sono più traballanti di quanto pensiamo. «L’intero establishment politico di New York non ha idea di cosa stia succedendo», dice Ocasio-Cortez al pubblico a un evento dei Democratic Socialists of America. «Possiamo vincere questa campagna elettorale. E non lasciate che nessuno vi convinca del contrario, perché il potere là fuori, ve lo dico, è un’illusione».
Il film disegna un quadro sobrio delle difficoltà che si incontrano in una campagna elettorale progressista e ribelle. Una scena dipinge Amy Vilela che raccoglie fondi chiamando da dietro un computer con su uno sticker di Our Revolution [un’organizzazione americana progressista sostenitrice di Bernie Sanders, ndt]: dopo aver ricevuto una serie di rifiuti, salta di gioia quando riesce a convincere una persona a darle cento dollari. Altrove, Ocasio-Cortez lotta per ottenere dieci volte il numero di firme necessarie a candidarsi, sapendo bene che la macchina politica controllata dal suo avversario probabilmente ne invaliderà molte appellandosi ai tecnicismi.
Ma il tono emotivo del film è di speranza: con un’organizzazione vecchio stile, quello che sembra impossibile diventa possibile. La tesi è che sebbene i politici dell’establishment abbiano un nome importante, contatti professionali e capitali personali, ciò non significa che le persone siano dalla loro parte. In realtà, molti di loro sono così abituati a comprarsi la vittoria elettorale che si sono dimenticati di ascoltare e parlare ai loro elettori.
Durante la campagna di Ocasio-Cortez, Crowley ha vissuto a tempo pieno in Virginia, non a New York. In una scena incredibile del film, Ocasio-Cortez è a un dibattito in un community center con un sostituto di Crowley. Condanna l’assenteismo dell’avversario e dice alla folla: «Era tanto che non avevamo questi incontri. L’unica ragione per cui siamo qui è che abbiamo organizzato le prime vere primarie in quattordici anni».
Quando il dibattito-farsa si conclude, Ocasio-Cortez si trattiene per parlare con gli elettori immigrati dall’Africa e dallo Yemen. Il sostituto di Crowley è introvabile. Il messaggio è chiaro: Crowley aveva sì soldi e influenza in abbondanza, ma nessuna capacità organizzativa. Con il suo impegno instancabile e il coinvolgimento autentico della comunità, una giovane donna della working class del Bronx è riuscita a sconfiggere uno dei democratici più potenti di Washington.
Infine, il film rappresenta un’accusa feroce all’establishment del Partito Democratico – in un momento in cui la base progressista è più conflittuale verso le élite del proprio partito di quanto non sia mai stata.
Amy Vilela è entrata in politica dopo la morte di sua figlia, avvenuta perché non avevano l’assicurazione sanitaria per pagare le cure. Ispirata dalla visione di Bernie Sanders di un sistema sanitario gratuito per tutti, Medicare for All, è diventata un’attivista. Ha deciso subito di candidarsi al Congresso contro Steven Horsford, un lobbista professionista diventato deputato col Partito Democratico, legato alle compagnie assicurative e alle industrie farmaceutiche.
Durante un incontro congressuale del Partito Democratico in Nevada ha luogo una scena rivelatrice del film. Il moderatore chiede a tutti i candidati se supportino varie cause di giustizia sociale, e tutti alzano unanimemente la mano dichiarando di sì. Ma quando il moderatore chiede se abbiano mai rifiutato i soldi delle corporation, solo Vilela alza la mano – con uno sguardo di fuoco.
È il cuore della critica del film all’establishment del Partito Democratico: non vuole e non riesce a rappresentare gli interessi della working class perché è imbottito dei soldi delle corporation. Inoltre, è strettamente irregimentato per proteggere le carriere dei democratici corporativi contro i ribelli progressisti. A un certo punto del film, viene rivelato che lo stesso Joe Crowley è stato uno dei principali donatori della campagna di Steven Horsford: i membri interni al partito si spalleggiano l’un l’altro.
Justice Democrats e Brand New Congress hanno un’idea particolare di come approcciare il Partito Democratico. Il loro progetto è di «cambiare il Partito Democratico dall’interno».
Per i socialisti, resta una domanda aperta: il Partito Democratico è salvabile, oppure abbiamo bisogno di un nuovo partito, dedicato a rappresentare gli interessi della working class contro quelli della classe capitalista? Anche se siamo convinti che un partito indipendente sia una necessità inevitabile (una possibilità che, dal canto loro, prendono in considerazione anche i Justice Democrats), il sistema è attualmente disegnato per reprimere le attività di un eventuale terzo partito, rendendolo, nella maggior parte dei casi, uno strumento debole per portare avanti politiche di massa. Al momento, i socialisti progressisti e democratici non hanno una base militante abbastanza grande da inscenare un esodo in una nuova formazione partitica, almeno non in numero sufficiente a superare gli ostacoli sopra elencati. L’obiettivo a breve termine è costruire questa base.
Per quelli e quelle di noi che desiderano esplicitamente un partito socialista di massa, candidate come Ocasio-Cortez, Vilela, Bush e Swearengin stanno aprendo ampi spazi per organizzarci in funzione di questo obiettivo – anche se, nel processo, corrono il rischio di dare false speranze sulla riformabilità del Partito Democratico. Creano queste opportunità condannando l’avidità della classe capitalista e aumentando le aspettative della working class.
Parlando della morte di sua figlia, Vilela dice, con le lacrime agli occhi: «Nessuno in questa grande nazione dovrebbe morire perché non comprende come funziona l’intricato sistema assicurativo». E perché è così complicato da comprendere? «Perché i direttori finanziari che lavorano in quel settore stanno lì per capire come trarre il massimo profitto dalle loro quote azionarie». Tiene in mano il suo iPhone. «Questo è un lusso. La vita di mia figlia non lo era». È questo di cui abbiamo bisogno ora – una critica del capitalismo, posta in termini comprensibili, divulgata a più gente comune possibile.
Da un punto di vista socialista, il film presenta un altro aspetto difficile. La sua prima tesi, che le persone della working class abbiano bisogno di una rappresentanza politica, è sicuramente vera – ma la rappresentanza da sola non basta. Come rende evidente il caso dell’avversario di Bush, Clay, la rappresentanza razziale nelle sedi del potere non è di per sé una soluzione alle ingiustizie razziali. E lo stesso vale per la classe. Per quanto sia vero che è più probabile che un politico sia in grado di comprendere le sofferenze e le asperità della working class se ne ha fatto esperienza in prima persona, sarà comunque sottoposto a una pressione strutturale immensa a capitolare e compromettersi.
La comprensione soggettiva è solo metà del percorso. L’altra metà – in realtà, la metà più grande – è oggettiva e strutturale, e ha a che fare con gli equilibri nelle dinamiche di classe nella società in generale. Come ha ripetutamente dimostrato la storia del socialismo democratico, le alleanze personali sono un corrispettivo debole delle forze sociali impersonali. L’unico modo per assicurarsi che un candidato con un alto livello di fedeltà soggettiva alla working class resista alle pressioni soggettive imposte dal capitalismo è organizzare le persone al di fuori dell’apparato statale in massa.
«Abbiamo messo insieme una macchina con un movimento», ha dichiarato Ocasio-Cortez, ed è vero. Ma il movimento non può essere solamente elettorale. Il primo compito è di costruire un forte movimento della working class, composto da lavoratori e lavoratrici di cui la maggior parte non si candiderà mai in nessuna elezione – persone che possono, attraverso l’azione collettiva, fermare il flusso di profitto per estorcere diritti alla classe dominante. (Il precedente documentario di Lears, The Hand that Feeds, dimostra che la regista riconosce pienamente l’importanza del movimento dei lavoratori).
Abbiamo anche bisogno di un movimento di massa fatto da persone comuni e costruito attorno alle richieste che candidate come loro sperano di avanzare in una legislatura ostile: Medicare for All, istruzione pubblica gratuita a tutti i livelli, più diritti per i lavoratori, giustizia climatica, e altre ancora. Rappresentanti come Ocasio-Cortez hanno poche speranze di portare a casa riforme ambiziose in grado di danneggiare i profitti delle corporation, come il Green New Deal, senza il supporto di attivisti e attiviste che riempiano le strade di manifestazioni e proteste.
«Dopo il 2016», dice nel film il direttore delle operazioni sul campo di Vilela, Joz Sida, «non c’è nulla di prevedibile. Nulla». Ed è vero. Un democratico socialista ribelle come Bernie Sanders ha quasi battuto il boss dell’establishment Hillary Clinton. Hillary Clinton ha inaspettatamente perso di misura contro Donald Trump. Nulla può essere dato per scontato, e dovremmo sondare questa imprevedibilità, per quello che vale.
*Meagan Day è staff writer di Jacobin Usa. Questo articolo è uscito su Jacobinmag. La traduzione è di Gaia Benzi.
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