Le complicità dell’Europa nel genocidio
Neanche la Corte penale internazionale sembra smuovere l'Ue nei confronti di Israele. In mezzo ci sono coperture diplomatiche, parnership economiche, traffici d'armi
Il mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale nei confronti del premier israeliano Beniamin Netanyahu e dell’ex ministro della difesa Yoav Gallant non sarà sufficiente a convincere le istituzioni europee che Israele è autore di un genocidio: il nuovo commissario alla sicurezza scelto da Ursula von der Leyen per armare fino ai denti l’Ue, Andrius Kubilius, due volte primo ministro della Lituania, è stato anche membro – durante la commissione 2019-2024 – della delegazione per i rapporti con Israele, nonché uno dei fautori storici del processo di avvicinamento di Israele all’Unione europea.
Nel 2010, infatti, si rese disponibile a votare a favore di un eventuale ingresso di Israele nell’Ue dicendo che «abbiamo bisogno di Israele perché abbiamo bisogno di una grande massa di cervelli che ci aiuti a competere con questi mercati».
Una commissione a prova di Knesset
La nuova Commissione insediatasi mercoledì 27 novembre a Bruxelles traccia una linea piuttosto netta per quel che riguarda l’appoggio incondizionato a Israele: Dubravka Šuica, neoeletta commissaria Ue per il Mediterraneo ha detto no al taglio dei legami commerciali con Israele; la presidente della sottocommissione per la sicurezza e la difesa, la tedesca Marie-Agnes Strack-Zimmermann, ha guidato, nel febbraio 2022, all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, una delegazione che avrebbe sancito accordi di cooperazione con la difesa israeliana e che procurò commesse per l’acquisto di missili balistici Arrow 3 e per briefing di addestramento sulle tecnologie Iron Dome e droni Heron-PT. Si tratta di tecnologie impiegate negli attacchi ai Territori Occupati sin dal 2008, già macchiate di violazioni.
La stessa ha criticato di recente il segretario delle Nazioni Unite António Guterres definendolo «inadatto al suo ufficio» solo per aver definito la guerra a Gaza «un’uccisione di civili senza precedenti».
I rapporti tra Bruxelles e Israele sono di vecchia data: nel 2009, l’allora capo della politica estera dell’Unione, Javier Solana, affermò che «Israele è più vicino all’Unione europea di qualsiasi altro paese al mondo al di fuori dell’Europa».
Una posizione che ricorda quella di Silvio Berlusconi qualche anno prima: «Israele è completamente europeo in termini di tenore di vita, patrimonio e valori culturali. La geografia non è un fattore determinante».
Proprio al governo Berlusconi si fa risalire il Memorandum d’Intesa del 2005 con Israele che garantiva una corsia preferenziale e agevolata per il comune commercio di armi e che esautorava il Parlamento dal controllo sulle attività di scambio perché sottoposto all’«accordo sulla sicurezza» che garantisce l’applicazione del segreto militare.
Il momento di torsione nei rapporti tra lo stato ebraico e l’Europa si è avuto solo quando, nel 2013, l’Ue emanò delle linee guida, comunque non vincolanti, per evitare che i fondi europei venissero utilizzati nei Territori Occupati. Alla vigilia dell’emanazione delle linee guida, Beniamin Netanyahu affermò che «non gli interessava cosa pensava l’Europa. I territori venivano occupati da Israele a buon diritto».
Una narrazione – quella degli ormai acclarati crimini contro l’umanità che si susseguono indisturbati da 14 mesi – fatta di accurate cautele da parte dei 27 paesi dell’Ue, di perifrasi che non hanno esplicitamente accennato, per diversi mesi, a un «cessate il fuoco», sinonimi che allontanavano lo spettro della parola «genocidio».
A raccontare molte di queste acrobazie linguistiche e fattuali è il report Partners in Crime scritto dagli attivisti e studiosi Niamh Ní Bhriain e Mark Akkerman del Transnational Institute, istituto internazionale di ricerca e advocacy che si pone l’obiettivo di promuovere giustizia, pace e sostenibilità.
Non sono solo le istituzioni europee a rischiare di macchiarsi di complicità con il genocidio del popolo palestinese – raccontano gli autori del report –ma anche i governi europei.
La Germania è il secondo fornitore di armi a Israele dopo gli Stati uniti per il valore di 0,88 miliardi di euro tra il 2018 e il 2022. Nel 2023 le esportazioni tedesche verso Israele sono aumentate di dieci volte, passando da 32,3 milioni di euro a 326,5 milioni di euro, con la stragrande maggioranza delle nuove licenze concesse nel periodo successivo al 7 ottobre.
L’Europa ha ancora una volta confermato il suo tiepido atteggiamento nei confronti del genocidio in corso il 18 novembre, quando l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri Joseph Borrell ha proposto di interrompere i rapporti con Israele, parere prontamente bocciato dagli altri ministri degli esteri. Il primo vero «cessate il fuoco» incondizionato arriva il 28 febbraio 2024 quando già il bollettino di guerra contava quasi 30mila morti a Gaza.
Il giorno seguente, Israele apriva il fuoco su un convoglio di aiuti umanitari in quello che è diventato noto come il «massacro della farina», uccidendo almeno 117 persone che si affannavano disperatamente per afferrare del cibo in mezzo alla carestia di massa. Solo 24 ore dopo il Parlamento europeo votava a stragrande maggioranza, con 400 deputati contrari, contro una risoluzione che chiedeva un embargo sulle armi, proposta dal gruppo di sinistra The Left in Parlamento.
Le armi
Secondo un’analisi di Statewatch, nel 2020 l’agenzia per la sicurezza europea Frontex affidò a due società israeliane, ormai tristemente conosciute, IAI-Israel Aerospace Industries, e Elbit Systems, la sorveglianza marittima aerea tramite droni per intercettare le imbarcazioni di migranti irregolari che attraversano il Mediterraneo. Due contratti da 50 milioni di euro ciascuno.
L’Italia, dal canto suo, non è immune dalle accuse di complicità con il genocidio palestinese dal momento che dopo il 7 ottobre non si è mai fermato l’export di armi e munizioni a Israele, come ha evidenziato un’inchiesta di Altreconomia sui dati Istat del 2023. Nel 2022 la controllata statunitense della società italiana leader nella produzione di sistemi di difesa Leonardo, Leonardo Drs ha annunciato la fusione con l’azienda israeliana produttrice di radar Rada Electronic Industries con lo scopo di «dare a Leonardo una presenza nazionale stabile nel contesto industriale israeliano, consentendo a Rada di accedere a opportunità nei mercati e nei programmi europei e di esportazione».
Il primo accordo tra Israele e Ue risale a un ventennio fa e garantisce ancora oggi corsie preferenziali per l’import-export ai prodotti di origine israeliana. Anche grazie a tali accordi l’Europa si conferma il principale partner commerciale di Israele con uno scambio totale di merci nel 2022 di 46,8 miliardi di euro. Tra le categorie prevalenti ci sono i «macchinari e mezzi di trasporto», la stessa tipologia di merci colpita negli scambi Ue-Russia dalle sanzioni, probabilmente perché facenti parte dei beni «dual use», utilizzabili sia in campo civile che militare.
Proprio il dual use è lo stratagemma classico con cui l’Europa finanzia progetti di ricerca, sviluppo e produzione di armi e sistemi difensivi: «Ci sono state numerose richieste di embargo delle armi a Israele da parte delle Ong e anche dal Parlamento europeo ma queste non sono mai finite nell’agenda del Consiglio, visto il legame commerciale di diversi paesi europei con Israele», commentano dal Tni.
Gli stessi relatori alla conferenza annuale dell’European Defence Agency per i panel dedicati all’industria delle armi sono gli amministratori delegati di società che intrattengono legami commerciali con Israele e in particolare con l’azienda leader dell’aviazione Iai: nell’edizione 2023 troviamo tra i relatori Steven Everts, accademico noto nell’ambiente per gli studi sulla risoluzione del conflitto Israele-Palestina (a favore del primo) e su una strategia per rendere l’Ue più affidabile agli occhi di Israele; Antoine Bouvier, uno dei dirigenti di Airbus, gruppo europeo di aviazione che ha collaborato con Iai per la vendita dei droni Heron alla Germania per 600 milioni; Eric Béranger, Ceo di Mbda Missile Systems, gruppo tedesco in partnership con Iai dal 2021.
«Le aziende produttrici di armi si arricchiscono con il genocidio», sostengono dal Transnational Institute: a oggi Elbit Systems ha un fatturato di 2 miliardi di dollari e produce armi e sistemi di difesa destinati all’Europa per il 35%. A nulla sono servite (se non a perseguire legalmente i manifestanti) le proteste che si sono avute in diverse città inglesi per chiudere le succursali della società di produzione di armi tra le più grandi al mondo. Elbit, infatti, ha filiali in 11 paesi europei: Austria, Belgio, Francia, Germania, Ungheria, Italia, Paesi Bassi, Romania, Svezia, Svizzera e Regno Unito. Anche la tedesca Rheinmetall, che ha fornito munizioni per carri armati a Israele dal 7 ottobre, ha aumentato il valore delle sue azioni in modo esponenziale.
Ricerca, «sviluppo» e sorveglianza
Il progetto in partnership con Israele più storicamente eclatante è stato Talos, ricerca sui sistemi di pattugliamento delle frontiere contro l’immigrazione illegale, che prevedeva la collaborazione tra i paesi europei e Israele con 13 miliardi di finanziamenti da parte dell’Europa. Nel periodo di sette mesi trattato nel rapporto del Transnational Institute, l’Ue ha approvato un totale di 130 progetti che coinvolgono partecipanti israeliani, stanziando loro oltre 126 milioni di euro.
Solo il governo di estrema destra insediatosi in Israele, e la paura – rivelatasi giustificata – che Ben Gvir potesse diventare ministro della sicurezza del futuro governo Netanyahu, ha impedito nel 2022 l’approvazione dell’accordo sullo scambio di dati biometrici tra l’Unione europea e lo Stato di Israele per la lotta contro la criminalità e il terrorismo.
Rimane vivo però il trattato di associazione Ue-Israele che, oltre a giustificare accordi commerciali con uno stato genocida, desta preoccupazioni per quel che riguarda lo scambio di dati dei cittadini con un paese extra Ue, non in conformità con il Gdpr, il regolamento generale dell’Unione europea per la protezione dei dati.
Le università europee collaborano stabilmente in progetti di ricerca con Israele utilizzando fondi europei come accadde con il programma Horizon 2020. Per quanto riguarda l’Italia, mentre diverse iniziative universitarie si sono interrotte grazie alla mobilitazione di studenti, docenti e del movimento Bds (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni), continuano a essere pubblicati bandi per progetti congiunti con Israele come quello della regione Emilia Romagna dello scorso aprile o i bandi del Ministero degli Affari esteri già finanziati: un bando per la ricerca per i prossimi due anni e una call per progetti di ricerca finanziati per più del 50% del giugno 2023. Quanto all’applicazione in campo civile dei droni israeliani, ne fa buon uso il distretto aerospaziale di Grottaglie (Ta) già dal 2019 in progetti congiunti di ricerca nelle tecnologie dello spazio.
Nessuno tocchi il gas
A rinsaldare i legami tra Israele e l’Ue, se ce ne fosse bisogno, c’è la questione del gas. Il paese viene identificato come partner strategico per l’esportazione di gas sin dalla crisi energetica del 2022 all’indomani del congelamento dei rapporti con la Russia.
L’Unione europea importa gas da Israele tramite l’Egitto. Il 29 ottobre 2023, il Ministero dell’energia israeliano ha assegnato licenze a sei società per l’esplorazione del gas nell’area marittima di Gaza, tra cui l’italiana Eni, senza alcun rispetto per le acque della Striscia, a quanto pare occupate come i territori. A settembre 2023 risale un accordo tra l’Ue, Francia, India, Italia, Arabia Saudita, Emirati Arabi e gli Stati uniti, per il progetto India Middle East Europe Economic Corridor (Imec). «La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha continuato a sostenere il progetto, anche nel mezzo della guerra genocida di Israele» commenta il report Partners in Crime, accennando anche ai 250 milioni di euro con cui la Bei, Banca europea per gli investimenti, ha finanziato un progetto infrastrutturale sulle ferrovie di Tel Aviv.
L’Accordo di Associazione, che fa da stampella da più di vent’anni alle relazioni tra Israele e l’Ue, commentano gli attivisti, contiene una clausola sui diritti umani.
Questa non è stata invocata nonostante le chiare violazioni. Se l’Ue avesse attivato questa clausola, avrebbe potuto immediatamente tagliare i legami commerciali con Israele e fare pressione su di esso per fermare il genocidio. Se l’Ue avesse imposto sanzioni, un embargo sulle armi e vietato il transito di equipaggiamento militare statunitense attraverso l’Europa, la guerra genocida di Israele contro Gaza avrebbe potuto avere effetti meno disastrosi.
L’8 ottobre 2023, a poche ore dall’attacco di Hamas, campeggiava una luminosa stella di David sui palazzi delle istituzioni europee fortemente voluta da Ursula von der Leyen. Un’operazione dal costo di 28mila euro, per rimarcare con forza quello che non è mai stato negato, il sostegno incondizionato a Israele. Incondizionato anche da ogni possibile violazione del diritto internazionale e dei diritti umani.
La parola «pace» non è mai stata pronunciata dalla presidente von der Leyen a proposito del popolo palestinese, ma solo in relazione al «diritto di Israele a difendersi» e tutto farebbe pensare che la nuova Commissione sotto il suo comando continuerà questa guerrafondaia tendenza, riuscendo a rendere non vincolanti i mandati d’arresto della Corte Penale Internazionale. L’immunità concessa dalla Francia nei confronti di Netanyahu ne è la prova.
*Angela Galloro è una giornalista. Lavora nella produzione tv, si occupa di tendenze culturali, sostenibilità digitale, diritti. Ha curato inchieste su scuola e sanità. Collabora con Micromega, Left, Atlante Editoriale.
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