Maestra Lidia
Lidia Curti, intellettuale femminista e postcoloniale che sin dagli albori dei Cultural Studies porto’ il pensiero di Gramsci in direzioni imprevedibili, è scomparsa lo scorso 21 aprile
Nell’universo di quelle relazioni che non conoscono la codifica della norma, e a cui solo il femminismo dà riconoscimento, c’è una figura molto speciale, quella della Maestra. Lidia Curti è maestra di diverse generazioni di studiose, artiste, femministe e antirazziste che oggi fanno ciò che da lei abbiamo imparato: cercare con ogni linguaggio possibile di dare un senso a ciò che stiamo attraversando, e attraversarlo insieme, come comunità. Lidia non pontificava, ma parafrasando l’immagine di Gloria Anzaldua, «camminando costruiva ponti».
Come sue allieve vogliamo raccontare le mille figurazioni che la abitavano, la sua lunga attività intellettuale e politica; raccontiamo di una Lidia tentacolare, delle sue/nostre pratiche di sconfinamento, dell’abilità di intrattenere dialoghi imprevisti e creare mondi nuovi.
Lidia, dal canto suo, non aveva un maestro, un pensiero a cui fosse fedele, una chiesa a cui votarsi; al contrario, ha professato più volte l’infedeltà, incitato alla disobbedienza, al travalicare ogni tipo di confine e disciplina. In questo spazio collettivo da lei co-fondato e chiamato prima dottorato di Studi Culturali e Postcoloniali del mondo anglofono – con le sue parole costola della grande narrativa del Novecento, ma come Lilith, non come Eva – e poi, dopo i tagli della Riforma Gelmini, Centro di studi postcoloniali e di genere, dove abbiamo imparato nella relazione e in ogni direzione, mettendoci continuamente alla prova.
Lidia purpessa ha praticato e ci ha coinvolte in questa modalità del sapere tentacolare; non una spinta compilativa, era la sua curiosità a muoverla in ogni direzione possibile, dove la conducevano nuovi interessi e incontri. La Voce dell’altra (2006), con la sua polifonia, tesse una scrittura ibrida tra il femminismo e il postcoloniale. Il libro resta un precedente fondamentale per un campo indisciplinato in cui la figura dell’Altra – subalterna, esiliata, mai esotica o vittima – si spoglia dello sguardo maschile e, nel suo farsi mostruoso, si fa portatrice di istanze attive e potenti. Aggiungendo nel 2018 un nuovo capitolo al volume, Lidia ci racconta di questo continuo movimento in «transiti verso il futuro»: dalla letteratura diasporica italiana che l’ha sempre appassionata, si allunga verso «nuove prospettive critiche e culturali (che) ampliano il terreno delle disuguaglianze sociali arricchendolo, da un lato, di ulteriori differenze e frammentazioni identitarie e, dall’altro, aprendo a un nuovo ecologismo e costellazioni future». Chiaramente viaggiava più velocemente di quanto noi potessimo pensare, ci ha insegnato a parlare accanto all’altra, e anche all’altru, perché mai nulla le era straniero.
Anche le relazioni con le allieve, le artiste e giganti del pensiero contemporaneo – tutte e tutti ospiti della sua casa con la stessa familiarità – hanno avuto questo carattere tentacolare. La convivialità, la condivisione dei luoghi intimi del familiare ci hanno permesso di costruire reti affettive e di pensiero, per spingerci insieme più in là di dove da sole saremmo potute arrivare. Come maestra, Lidia permetteva alle voci di noi studenti di trovare approdo; ma mai di trovare sicurezza. Tante allieve, cresciute nelle periferie e ora sparse per il mondo, non toccavano l’orizzonte dei propri pensieri prima della sua iniziazione alla grammatica delle lotte e ai linguaggi artistici: la sua biblioteca, santuario, risorsa e rifugio; le sue mappe scomposte, guida nella comprensione della spettralità del passato coloniale e dell’intreccio di storie di resistenza; la militanza da intellettuale organica.
Purpessa del golfo di Napoli, abitata da lava, partecipò sin dal principio nel 1964 alle attività del Centre for Contemporary Cultural Studies di Birmingham. Accanto a Hoggart e Hall – solo per citarne i primi due direttori – prese parte alla fondazione di quel campo indisciplinato che sono gli studi culturali: studi critici in cui gli strumenti di molte discipline contribuiscono a un’analisi ideologica non ortodossa della società, delle trasformazioni della classe, registrando l’irruzione di diversi soggetti imprevisti, tra il femminismo e la nerezza. Qui contribuì allo sconvolgimento dei confini tra Cultura e culture, tra lavoratori casalinghe e intellettuali, portando con sé Gramsci in ogni direzione imprevedibile, per rincontrarlo successivamente nel pensiero postcoloniale e nella poetica della subalterna.
Tra gli anni Novanta e Duemila, volumi collettivi come La questione postcoloniale (1996) e La nuova Shahrazad (2004) ebbero un ruolo cruciale per la diffusione del pensiero e della letteratura postcoloniale in Italia. Lidia propose la questione della subalternità multipla, legata a genere e classe, come perno centrale di pratiche di resistenza contemporanee che hanno origine e vita nei sud globali. Dal Mezzoggiorno all’India, incontriamo nei suoi scritti figurazioni di donne che trasgrediscono ruoli tradizionalmente imposti, prendono voce e spazio, sfidando con il proprio corpo la cancellazione operata dalle narrazioni egemoniche del colonialismo e del nazionalismo. Lidia si allea con studiose come Gayatri Spivak e Chandra Mohanty nell’accettare un essenzialismo solo strategico, che ci aiuti a registrare «le contraddizioni, le resistenze, le sfide insite nella condizione femminile subalterna… e non dimenticare le storie di ribellione a quella condizione». L’India, declinata al plurale, con le sue storie, lingue e letterature emerge come esempio dell’eterogeneità che sottende alle narrazioni di Oriente e Occidente come blocchi monolitici e contrapposti. L’India del cuore di Lidia narra di resistenze e riscritture, di varchi aperti nell’ideologia coloniale. In Schermi indiani, linguaggi planetari (2008) e Shakespeare in India (2010), la lingua colonizzante, il canone letterario inglese e il Bardo diventano soglie che aprono verso linguaggi nuovi e ibridi a ridosso tra letteratura, cinema e teatro.
Interessata più alle estetiche che alla «sociologia», il soggetto non fu mai suo oggetto di studio: fu per prima soggetto imprevisto come femminista nella sinistra italiana e collega durante i controcorsi tra Regno Unito e Bagnoli; quanto ai movimenti sociali ne era prima attivista e poi intellettuale, spesso spendendo la sua posizione per prendere posizione. Anche nello spazio femminista, che non ha mai considerato unico e omogeneo, Lidia non ha scelto il lato comodo del tavolo. E proprio intorno a questo tavolo ci siamo incontrate la prima volta, si parlava delle traduzioni di Simone de Beauvoir: dalle reciproche provocazioni ne venne fuori il nostro primo conflitto in cui ebbi chiara la grande responsabilità del riconoscimento, la reciprocità dello sguardo tra studiose femministe. I conflitti in seno al femminismo vengono sempre rappresentati come generazionali, mentre lei ha mostrato quanto la questione sia eminentemente politica. In Genealogie della modernità (2017), in un lungo cammino sul soggetto imprevisto accompagnata dal pensiero di Simone de Beauvoir non perde occasione di citare Hazel Carby per dire «white woman, listen!» e prosegue così: «il cammino del femminismo nel secolo appena passato ha conosciuto contraddizioni e inversioni, ritorni indietro e rifiuti, ha visto steccati distrutti e altri eretti e ha seguito un percorso accidentato e non lineare, che, come la memoria, è tortuoso e a tratti oscuro, con buchi e vie traverse». Così rispetto al femminismo inclusivo, intersezionale e transfemminista non è mai stato in dubbio da quale parte fosse posizionata, tanto da riconoscere nei cortei di Non una di meno le sue alleate e nella resistenza al suprematismo bianco le sue sorelle.
Come le ragne dello Chthulucene di Haraway e quelle di Louise Bourgeois, con cui ha tramato lungamente nella sua scrittura, catturava tutto nella sua tela, toccava trasformando, piegava qualunque cosa per costruire il suo discorso, creando spazi nuovi e aperti. Dal teatro shakespeariano all’avanguardia (Peter Brook e Shakespeare 1984), passando per il cinema e rivoluzionando le analisi sulle soap opera (Female Bodies, Female Stories, 1998) ha sconfinato confrontandosi con qualunque tipo di estetica che le permettesse di andare più lontana della sola parola, qualunque linguaggio per costruire nuovi mondi. Per Lidia l’estetica è una logica plurale e non deterministica che spiazza la matematica della rappresentazione. Il rigore del suo metodo femminista intersezionale sta nel movimento incessante tra corpi, nei corpi, nella dissoluzione dell’«ego» maschile nella pratica nutritiva della scrittura femminile («nourricriture»).
E con questo animo appassionato, sull’orlo del capitalocene, ci ha interpellate in una nuova formazione collettiva, quella di Femminismi Futuri (2019), per tramare tra speculazione e fabulazioni nel pensare, nel dover pensare, a futuri che non fossero solo nostri. Abbiamo trascorso due anni a rispolverare la fantascienza femminista e afrofuturista non come genere, ma come poetica in cui intravedere, ognuna dal proprio punto di vista, il baluginio di quello che potrà essere se non cediamo all’immaginario distopico: «l’arte è artificio, per definizione antitetica al naturale, ma niente è naturale nel senso consueto che si attribuisce a questa parola […] un circuito cognitivo ed emotivo teso a costruire ponti verso un futuro femminista che non sia solo bianco e occidentale e superi frontiere temporali e spaziali, continenti terreni e astrali, aree diverse del sapere».
Per onorare la forza politica dell’estetica, Alessandra scrive di Lidia anche in frammenti:
Let me write to you in tongues: the dialect Broken English In the aesthetics That you loved Il linguaggio – That’s the story Let me write to you In fragments Because there is no One story.There is no story that is mine Or yours. I saw you scatter the pieces And dance precariously, joyfully In the infinite space In between The fragments. Remind me to rejoice In the power of the words. | Lascia che ti scriva In lingue diverse: In dialetto, inglese ibrido; le forme estetiche che amavi. Il linguaggio È la storia Lascia che ti scriva In frammenti Perché non c’è una Storia. Nessuna storia è solo mia O tua. Ti ho visto spargerne i pezzi E ballare in bilico, con gioia egli spazi infiniti In mezzo Ai frammenti. Ricordami di godere del potere delle parole. |
*Nina Ferrante è attivista e studiosa transfemminista terrona. Membro del comitato scientifico del Centro di Studi Postcoloniali e di Genere, attualmente ha un assegno di ricerca allo IUAV per costruire una compostiera di epistemologie femministe queer e postcoloniali nelle ecologie. Alessandra Marino è ricercatrice indisciplinata presso l’Open University (Uk). Si interessa di colonialità, metodologie dei saperi scientifici e astrobiologia. Ha conseguito il dottorato di ricerca in ‘Studi Culturali e Postcoloniali’ presso L’Orientale di Napoli.
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