Ticket a Venezia
Dallo scorso 25 aprile per entrare a Venezia nei giorni di maggiore affluenza bisogna pagare. Serve davvero a preservare l'ecosistema fragile della Laguna senza ripensare il suo modello di sviluppo?
Venezia; beltà lusingatrice e ambigua – racconto di fate e insieme trappola per i forestieri.
Thomas Mann
Cantata e celebrata dai poeti, crocevia di spezie, seta e sale, la città dei Dogi è dalla sua nascita avvolta da un’aura ammaliante che si respira tra le calli, i canali, i ponti, in ogni angolo, in ogni dove. Affascinante e unica come una bellezza quasi «lontana dal tempo». Alle descrizioni di Venezia che non bastano mai, si può aggiungere da poco più di una settimana anche «a pagamento».
Il 25 aprile – triste coincidenza di data, se parliamo di Liberazione – è partito un test di 29 giorni, che richiede ai turisti in visita giornaliera di prenotare e pagare un biglietto d’ingresso per mettere piede nell’isola centrale di Venezia. Chi amministra la città si trincera dietro il fatto che da sempre in tutto il mondo si paga l’ingresso a musei, siti archeologici e persino chiese. Questo sistema, a loro dire, ne è una versione blanda. Se questa sperimentazione avesse successo le nuove tariffe – per ora fissate a 5 euro – continueranno a essere applicate in determinati giorni, soprattutto in alta stagione, senza però limitare il numero degli accessi e concedendo ancora che i turisti possano superare di 3 a 1 gli abitanti del luogo. I visitatori che pernottano, che già pagano una tassa di soggiorno negli hotel, sarebbero esenti.
Se da una parte la cosiddetta «Serenissima, la Dominante e la Regina dell’Adriatico» è considerata universalmente una tra le meraviglie del mondo moderno e, con la sua Laguna, è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco; dall’altra i suoi mille volti ormai arcinoti come scontata meta dell’amore, del turismo sfrenato, del Carnevale stanno oscurando quella che è la delicata essenza della città.
Il ticket di ingresso non è altro che un palliativo al turismo di massa, o meglio un dispositivo per fare cassa ma non di certo per limitare i flussi turistici. Il pagamento di Venezia è complicato, ci sono dei punti d’ingresso specifici ed è limitato alle ore di punta della giornata durante l’estate. Nel frattempo, in poco più di una settimana di ingressi a pagamento, il Comune ha già incassato i soldi previsti nei tre mesi di sperimentazione – circa 700 mila euro – ma ne spenderà più del doppio. Le spese sostenute per la campagna di comunicazione e per la predisposizione della piattaforma di prenotazione ammontano a circa tre milioni di euro.
Si tratta di un gesto politico a detta del sindaco Luigi Brugnaro, che continua a dichiararsi soddisfatto e grida al successo della tassa d’ingresso. Gli fa eco l’assessore al turismo Simone Venturini: «dopo cinquant’anni di dibattiti su come gestire il turismo di massa, stiamo finalmente facendo qualcosa». Addirittura l’amministrazione si spinge a dichiarare che Venezia si è «affezionata» al turismo e che sostanzialmente non si accontenta mai degli enormi numeri che calpestano la città.
Di contro il consigliere di opposizione Gianfranco Bettin, di Europa Verde, vede questo provvedimento come «fumo negli occhi». «Il Comune – commenta – è stato messo sotto accusa dall’Unesco per la mancata gestione del turismo e questo ticket serve solo a far credere che siano facendo qualcosa. Intanto, l’amministrazione lascia in sospeso l’emendamento Pellicani che consentirebbe al Comune di intervenire sulla concessione di locazioni turistiche, limitandole».
Alle flotte di marinai della repubblica marinara ora si contrappone una squadra di 180 persone, composta da steward volontari, personale comunale e funzionari pubblici. Chi indossa la pettorina bianca ha il compito di informare, mentre chi ha la pettorina gialla può fare controlli a campione e ha il potere di emettere multe per chi non ha il QR code. Sempre presenti i fluorescenti vigili urbani, che sono gli unici a poter chiedere i documenti.
A opporsi fermamente a questo dispositivo c’è Asc, l’Assemblea sociale per la casa, che tra le battaglie porta avanti la più nobile, ossia quella per il diritto all’abitare. Federica Toninello, una delle portavoci, racconta come il vero problema di Venezia, e immediata conseguenza del turismo di massa, sia la mancanza di servizi, a partire dagli asili nido, le scuole e i presidi sanitari. Quest’ultimo caso è emblematico di una città che muore: tutte le volte che un medico di famiglia va in pensione o si trasferisce altrove, diverse persone rimangono senza medico di base e bisogna aspettare un sacco di tempo sperando che qualcuno decida di venire a vivere a Venezia.
«I costi di gestione del ticket – continua Toninello – sono molto elevati e con queste risorse si sarebbero potute fare molte cose per le politiche residenziali, ad esempio calmierare affitti inarrivabili, ristrutturare case pubbliche abbandonate o aumentare i fondi per i bandi pubblici. In una città in piena emergenza abitativa ci sono oltre duemila abitazioni di proprietà di Ater e del Comune che sono vuote».
Ma gli affitti incontrollati e le piattaforme che drogano il mercato non sono piovuti dal cielo, sono arrivati perché si è deciso che, a Venezia e in tutta Italia, i turisti non bastano mai. Devono sempre aumentare. Infatti, la stessa amministrazione comunale che mette un ticket d’ingresso alla città continua a investire su progetti che faranno arrivare altri visitatori, per farne arrivare di più e più in fretta, con tutti i mezzi di locomozione a disposizione e da tutte le direzioni. Ad esempio, si procede con lo scavo di nuovi canali nella Laguna per consentire il ritorno delle Grandi Navi (solo un po’ più lontano da Piazza San Marco). Oppure con la costruzione dell’hub di San Giuliano, un progetto faraonico che prevede la realizzazione di un grande snodo multimodale in una delle poche aree verdi rimaste nel territorio comunale. C’è inoltre il progetto Waterfront a Santa Marta, anch’esso votato ad aumentare il numero di turisti, o il progetto per la costruzione di un ulteriore terminal e di un cavalcavia al Montiron, nella Laguna Nord, che collegherebbe l’aeroporto all’isola di Murano.
Tutti progetti immensi a spese della collettività. Quando si dice che «il turismo è il petrolio italiano» in realtà si intende «la turistificazione è l’estrattivismo italiano», ovvero le risorse comuni (beni culturali, paesaggistici e tasse dei e delle contribuenti) vengono privatizzati, cioè usati per produrre un afflusso sempre maggiore di turisti, per produrre overtourism. L’overtourism non è un «bug di sistema», non è «un eccesso», è un obiettivo del sistema, perseguito scientemente dai decisori politici. Perché? perché l’overtourism significa un indotto turistico che va ben oltre gli alberghi, i campeggi o simili, significa soprattutto affitti brevi ai turisti, piccola o grande rendita immobiliare per chi possiede un alloggio da affittare, rischio di impresa zero e profitti altissimi. Oggi in Italia la rendita immobiliare equivale al 12,7% del Pil nazionale (si veda lo studio Da dove arrivano i redditi degli italiani? Dell’Università cattolica di Milano del febbraio 2023). La rendita immobiliare è il cemento che tiene unito il blocco sociale reazionario che và dal grande palazzinaro al piccolo proprietario con un solo appartamento pubblicizzato su Airbnb o attraverso società immobiliari. In questo senso Venezia può essere considerata l’estremizzazione di fenomeni presenti su scala nazionale ed europea.
Il 25 aprile, quando è stato inaugurato il ticket d’ingresso, Asc era in prima fila a protestare contro la misura comunale, con loro circa un migliaio di cittadini che non si rassegnano a essere rinchiusi nella riserva indiana. Tra i vari interventi la cosa che è stata più volte ribadita è che «l’obiettivo della Giunta non è assolutamente quello di salvare Venezia dai turisti, come millantano. Anzi, va ricordato che l’introduzione del ticket è avvenuta quando Venezia è stata ufficialmente messa nella black list dell’Unesco ed è stato quindi un modo grossolano e propagandistico da parte dell’amministrazione per tentare di mettere una pezza alla situazione». Alla manifestazione sono seguite sei denunce per manifestazione non autorizzata. «Volevamo far sentire la nostra voce – ha commentato subito dopo Asc – e far vedere a tutti i media presenti a Venezia qual è davvero l’opinione di chi abita in città… Se la democrazia di Brugnaro è negare le sale per le assemblee o negare a chi manifesta la possibilità di far sentire la propria voce, noi continueremo a farci sentire sempre più forte».
Sembra di esser di fronte a un teatrino politico, progettato per dare l’impressione di limitare i visitatori, e quindi placare il monito Unesco, senza offendere le potenti lobby commerciali di Venezia che vivono e muoiono di turismo. Avere Venezia nella «Lista del Patrimonio Mondiale in pericolo» è un potenziale incubo di pubbliche relazioni per l’ufficio del sindaco, motivo per cui c’è stata un’accelerazione nella nuova tassa d’ingresso.
Il problema nasce da più lontano, è dalla fine del ventesimo secolo che Venezia è diventata ciò che gli economisti descrivono come una «monocultura turistica», prendendo in prestito il termine dalla rischiosa pratica agricola di coltivare un unico raccolto. Il turismo di massa degli ultimi decenni è stato il risultato della globalizzazione, delle piattaforme di homesharing, dei biglietti aerei a basso costo e delle economie emergenti. Ryanair, EasyJet, Volotea e altre compagnie low-cost hanno iniziato a volare all’aeroporto Marco Polo, le sole navi da crociera hanno portato 1,6 milioni di visitatori all’anno e l’importante crescita dell’economia asiatica ha aperto le porte di Venezia a una nuova «fascia di mercato».
Il turismo ha cambiato l’anima della Laguna. I negozi di alimentari si sono trasformati in negozi di souvenir, una sacco di arti tipiche sono quasi scomparse, l’aumento dei costi degli alloggi e la crescente mancanza di servizi hanno spinto i residenti ad andarsene. Oggi il centro storico conta meno di cinquantamila residenti. Non è stata una scelta pianificata, quanto piuttosto il risultato di un circolo vizioso. Più Venezia diventava turistica, più i residenti venivano espulsi; meno residenti c’erano, più quelli rimasti faticavano a trovare un impiego al di fuori del turismo, rafforzando così lo schema. E ancora, si è giunti al paradosso che ci sono più posti letto per turisti che per residenti. L’anno scorso, circa venti milioni di persone hanno visitato Venezia, percorrendo le sue due miglia quadrate, un numero spropositato che esercita un’enorme pressione sulle strutture fognarie e di riciclaggio della città, oltre che sui trasporti locali e sul costo della vita.
La «tregua» dell’era pandemica è terminata in una città i cui residenti amano e detestano i turisti, che spendono tre miliardi di dollari all’anno ma non arricchiscono Venezia, anzi la trasformano in un parco acquatico glorificato, in cui le destinazioni instagrammable contano di più della delicatezza di un territorio che va salvaguardato.
Gli scienziati continuano a monitorare i cambiamenti del livello dell’acqua, ormai stabilmente al di sopra dei corsi di umidità originali delle case e degli edifici più vecchi della città. L’acqua salata attacca i mattoni di argilla friabili facendoli sgretolare e facendo entrare altra acqua. Di conseguenza, i piani terra di molti edifici di Venezia sono ormai inabitabili. Per preservarli e prevenire un’ulteriore erosione, sono state installate delle barriere subacquee per ridurre la quantità di acqua che entra nella laguna. Si tratta del Mose, diventato pienamente operativo nell’estate del 2021, più di 18 anni dopo l’inizio dei lavori.
Risale invece al 2022 il tentantivo allarmante di risolvere il problema del sovraffollamento di alcuni luoghi cittadini con una rete di telecamere e sensori. Nel quartier generale della polizia vi è una Smart Control Room, da lì gli agenti possono contare il numero di turisti concentrati in diverse aree e persino valutare la loro provenienza analizzando le origini dei loro account di cellulare. L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando le forze di polizia, le Olimpiadi e anche Venezia. Il capo della locale Marco Agostini spiega «se una piazza o una strada è troppo affollata, possiamo reindirizzare il traffico pedonale o chiuderla per evitare colli di bottiglia». Le finestre della Smart Control Room non sono poi così rilevanti per osservare il traffico sul Ponte della Libertà gli autobus che partono da Piazzale Roma o le guide turistiche che si sbracciano davanti alle fermate dei vaporetti, per quello bastano le centinaia di telecamere, sensori e rilevatori di vario genere che, attraverso decine di schermi, permettono al Comune, alla polizia e ad alcune società pubbliche di analizzare cosa succede in città. Si tratta di un innovativo sistema di monitoraggio che tra le altre cose fornisce costantemente informazioni su meteo, maree e qualità dell’aria, ma sostanzialmente serve a studiare, e di fatto controllare, i comportamenti di chi cammina per le calli. Anche la Smart Control Room è funzionale al continuo aumento del turismo a Venezia, a renderlo sempre più «gestibile», sicuro, praticabile. In sostanza è l’ennesima infrastruttura per una città a misura di turista, non di residente.
Venezia è già oggi più un’attrazione turistica che una città abitata. Ma per quanto ancora potrà esistere?
Le fondamenta che crollano, le scale fatiscenti e sommerse degli antichi palazzi bastano per dimostrare che il turismo di massa sta causando danni strutturali alla città, aggravando gli effetti erosivi già presenti di maree e inondazioni. Ma questi danni fisici sono solo l’aspetto visibile a occhio nudo del disfacimento del tessuto sociale e dello spopolamento. Il turismo ormai arricchisce pochi e succhia la linfa vitale di questo prezioso ecosistema unico al mondo, perché i beni comuni, siano essi naturali o prodotti da secoli di attività umane, non sono qualcosa che può essere sfruttato all’infinito. Ogni monocultura segue il suo corso: flusso di capitali, concentrazione di ricchezza e infine distruzione delle fonti della ricchezza stessa. Un ciclo che qualche tornello può provare a nascondere, ma non certo fermare.
*Anna Irma Battino è giornalista free lance con una grande passione per il cinema, ma scrive soprattutto di giustizia sociale, transfemminismo e politica. Ha partecipato a diverse carovane in Palestina, Brasile, Messico, Argentina e Kurdistan.
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