Vincere le elezioni non basta
Brandon Johnson è stato eletto sindaco di Chicago con un programma di giustizia sociale e riforma della polizia. Rischia di fare la fine dei molti che una volta al potere hanno subito l'attacco delle élite. Ma dalla sua ha l'organizzazione dal basso
La clamorosa vittoria di Brandon Johnson alle elezioni per il sindaco di Chicago del 4 aprile ha suscitato intense reazioni in tutto lo spettro politico. Tre mesi fa, pochi si aspettavano che un attivista afroamericano di un sindacato militante sconfiggesse un avversario che godeva del sostegno unificato di grandi imprese e polizia e di un vantaggio finanziario di due a uno. Mentre Johnson faceva una campagna per tassare le grandi società, affrontare le radici sociali del crimine e mettere in atto un minimo di responsabilità della polizia, il suo oppositore Paul Vallas prometteva più privatizzazione delle scuole, più austerità per i lavoratori e libertà di movimento per la polizia.
La vittoria di Johnson alimenta la speranza di cambiare una città spietatamente diseguale, ma segnala anche ciò che la sinistra potrebbe fare altrove. Per questo motivo, l’elezione ha suscitato paura e rabbia nei padroni della città e trepidazione nella stampa economica nazionale. Gli investitori lanciano terribili avvertimenti sulla fuga di capitali, mentre i funzionari di polizia annunciano l’esplosione della criminalità di strada.
Nella misura in cui Johnson e i suoi alleati nel consiglio comunale cercheranno di ottenere risultati, incontreranno una falange di resistenza. Le forze reazionarie possono aver perso le elezioni, ma mantengono un enorme potere sia nei confronti dei politici che verso la popolazione in generale.
Neutralizzare quella resistenza richiederà di imparare dalla storia degli aspiranti riformatori, la maggior parte dei quali non ha mantenuto le promesse elettorali. Il risultato finale a Chicago dipenderà dal fatto che le forze progressiste continuino ad approfondire la loro capacità di militanza di massa al di fuori del campo elettorale, come fa la Chicago Teachers Union (Ctu) dal 2010.
La ricetta reazionaria
La destra ha un libretto di istruzioni ben collaudato per affrontare situazioni di questo genere. Quando i suoi candidati perdono, si rivolge alle altre leve del potere. Trova strozzature giudiziarie e legislative per ostacolare le riforme e intraprende guerre di propaganda sulla stampa. Meno visibile ma ugualmente importante è la leva strutturale che deriva dal controllo dell’occupazione, dall’accesso ai prestiti e dalle entrate fiscali del governo. Le minacce di ritirare queste risorse – uno «sciopero di capitali» – possono esercitare una pressione significativa sui riformatori.
Alcuni casi di tale coercizione sono ben documentati. Quando una rivoluzione popolare sfidò il dominio degli Stati uniti su Cuba, Washington impose un blocco economico «per provocare la fame, la disperazione e il rovesciamento del governo», come scrisse un funzionario del Dipartimento di Stato nel 1960. Fu uno sciopero del capitale imposto dal governo Usa, progettato per infliggere miseria al popolo cubano.
Quando i cileni elessero un presidente socialista nel 1970, i responsabili politici e le principali società statunitensi lanciarono «un esperimento di laboratorio» per reindirizzare gli investimenti lontano dal Cile «nel tentativo di screditare e abbattere» Salvador Allende. Come a Cuba, l’obiettivo immediato era la popolazione, che presumibilmente si sarebbe ribellata al proprio governo. «Faremo tutto ciò che è in nostro potere per condannare il Cile e i cileni alla massima privazione e povertà» scrisse l’ambasciatore degli Stati uniti. La stessa logica è alla base delle numerose sanzioni economiche che gli Stati uniti hanno imposto negli ultimi decenni.
Più di routine di questi episodi drammatici, tuttavia, sono i continui avvertimenti sul modo in cui la riforma economica progressista danneggerà la «fiducia delle imprese», ovvero la volontà dei capitalisti di investire in particolari settori o località sotto forma di occupazione e prestiti. I capitalisti minacciano sempre di scioperare contro le politiche che non amano e, al contrario, promettono di aprire la valvola degli investimenti quando il governo adotterà «politiche più favorevoli alle imprese».
A dire il vero, i capitalisti sono noti per l’iperbole. Spesso le loro minacce sono solo aria fritta e le aziende disinvestono o investono per motivi puramente economici. Ma dato il loro controllo sulle risorse da cui tutti dipendiamo, le loro parole hanno un peso politico reale.
Brandon Johnson è l’ultimo obiettivo. Un rapporto post-elettorale di Bloomberg ha diffuso le minacce dell’industria: una tassa sui grandi datori di lavoro sarebbe un «killer del lavoro»; le sue proposte per nuove tasse modeste su compagnie aeree, hotel e proprietà immobiliari rischierebbero di creare «una spirale negativa» di disinvestimento aziendale; il settore del commercio azionario di Chicago «sarebbe decimato» dalla sua proposta di imposta sulle negoziazioni di titoli; il mancato «mantenimento della disciplina fiscale» potrebbe danneggiare il già scarso rating creditizio di Chicago. In altre parole, i capitalisti tratterranno le risorse di cui hanno bisogno gli abitanti di Chicago a meno che Johnson non si metta in riga.
La polizia sta facendo minacce parallele. Uno dei più grandi sostenitori di Paul Vallas, John Catanzara del Fraternal Order of Police, ha detto il mese scorso che ci sarebbe stato «sangue nelle strade» se Johnson avesse vinto perché la polizia avrebbe abbandonato in massa (in altre dichiarazioni pubbliche, Catanzara ha casualmente sostenuto il genocidio contro i musulmani). La polizia può anche esercitare una leva finanziaria nella misura in cui i comuni dipendono da arresti e multe per le entrate. Per alcune settimane nel 2014-15, il Nypd ha intrapreso uno sciopero senza preavviso in risposta alle blande critiche del sindaco Bill de Blasio nei confronti della violenza della polizia. I poliziotti altrove hanno fatto lo stesso negli ultimi decenni.
Queste tattiche intimidatorie possono erodere la base di sostegno dei riformatori, incoraggiando anche l’antipatia per la sinistra dei leader liberal. Durante l’elezione del sindaco, non sono mancate le élite liberal pro-Vallas con megafoni rumorosi, dai parrucconi di partito ai pastori fino agli ex Black Panthers. Le defezioni liberal e la crescente ambivalenza pubblica nei confronti dei riformatori possono preparare il terreno per una rimozione dal potere, che si tratti di un colpo di stato, di un richiamo o di una sconfitta alle prossime elezioni.
Il destino di chi va al potere
In questo contesto, la risposta più comune dei riformatori è abbandonare le ambizioni progressiste e perseguire partnership con i capitalisti, comprese le grandi aziende, e le istituzioni statali come la polizia. La logica pragmatica alla base di questo approccio può essere allettante: dal momento che non siamo abbastanza forti per sconfiggerli, proviamo a placarli in modo che acconsentiranno almeno a una parte del nostro programma.
Questo è quello che è successo con l’ondata di sindaci neri eletti negli Stati uniti negli anni Settanta e Ottanta, la maggior parte dei quali aveva piattaforme socialdemocratiche. Chicago è stato un ottimo esempio. Nel 1983 Harold Washington divenne il primo sindaco nero della città dopo aver partecipato a un programma simile a quello di Brandon Johnson. Prometteva di espandere i servizi pubblici e i programmi di creazione di posti di lavoro, tassare i ricchi e affrontare la polizia razzista e la segregazione della città. Come Johnson, Washington ha ottenuto una vittoria di misura su un candidato sostenuto dalle imprese che aveva speso molto più di lui e che aveva il sostegno di molte élite democratiche.
Il mandato di Washington non è stato privo di risultati. Ha indebolito la morsa della macchina democratica corrotta e razzista della città. Ha contribuito a espandere le organizzazioni politiche indipendenti (Ipo) come alternative alla tradizionale politica democratica e ha compiuto importanti sforzi per aprire il governo della città ai residenti neri e latini. E lo ha fatto di fronte alla feroce resistenza dei detentori del potere democratico, inclusa la maggioranza bianca reazionaria che ha controllato il consiglio comunale dal 1983 al 1986.
Ma la maggior parte delle riforme previste non si sono mai concretizzate, non solo a causa dell’ostruzionismo del consiglio comunale. Un ostacolo cruciale era rappresentato dal potere strutturale dei capitalisti e dalla mancanza di un movimento di massa militante e non elettorale che potesse costringerli a concessioni e quindi aprire spazi per le riforme del governo.
La risposta della classe dirigente all’elezione di Washington era prevedibile. La copertura di BusinessWeek sulle elezioni del 1983 citava magnati aziendali che insistevano sul fatto che tassare i ricchi avrebbe messo a repentaglio la fiducia delle imprese. «Chicago deve competere con altre città come luogo in cui le imprese possono stabilirsi e rimanere», dichiarò uno di loro. «Se Washington non ascolterà l’establishment degli affari, questo sforzo andrà in pezzi», disse un altro. Senza ulteriori sforzi per «corteggiare gli uomini d’affari», Washington spaventerebbe gli investitori. Un Ceo predisse: «Affari e governo devono lavorare insieme».
Washington non è stato rovesciato né è caduto; è morto di infarto dopo essere stato rieletto nel 1987. Ma «cambiò opinione» a causa delle pretese del business. La sua Task Force per lo sviluppo economico era dominata da dirigenti aziendali (sebbene un gruppo multirazziale di essi), riflettendo il presupposto che lo sviluppo economico sarebbe stato possibile solo se Chicago avesse fatto di più per «corteggiare gli uomini d’affari». Parte di quel corteggiamento includeva politiche contro il lavoro, come il tentativo di vietare gli scioperi dei lavoratori municipali e il mancato sostegno ai sindacati nei principali conflitti di lavoro. Dato il successo dell’élite nel bloccare la riforma fiscale progressiva, Washington scoprì che l’unico modo per ottenere «una base fiscale più stabile per la città» era aumentare le tasse sulla popolazione in generale, come riportato da Newsweek dopo la sua morte.
Il destino di Washington è analogo a quello di altri sindaci neri: Coleman Young a Detroit, Kenneth Gibson a Newark e Maynard Jackson ad Atlanta, solo per citarne alcuni. Al netto delle differenze, il loro approccio di base era lo stesso: rafforzare la «fiducia delle imprese» riducendo gli impegni presi nel corso della campagna elettorale progressista, sperando che l’investimento risultante generasse posti di lavoro dignitosi e una base imponibile stabile.
Non è successo. Le loro città hanno continuato l’emorragia di posti di lavoro e gettito fiscale. «Sfortunatamente – scrisse Robert Brenner in un famoso articolo del 1985 – nessun sindaco nero è riuscito a rallentare anche solo leggermente la curva discendente dell’emancipazione economica per le lavoratrici e i lavoratori neri e i poveri negli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta».
Di certo, i riformatori non beneficiarono di tempi ideali. Alla fine degli anni Settanta, datori di lavoro e capitalisti avevano lanciato una guerra a tutto campo contro i diritti dei lavoratori e il benessere sociale. Quella guerra è continuata, al massimo con qualche attenuazione, fino a oggi.
Tuttavia, il fallimento è avvenuto in parte con la sinistra al potere. Negli anni Settanta molte organizzazioni progressiste hanno preso le distanze da boicottaggi, sit-in e altre tattiche che avevano consentito di ottenere vere riforme negli anni Sessanta. I leader neri della classe media e i funzionari sindacali hanno riaffermato il loro controllo sulla base, predicando cose come «la militanza dei vecchi tempi è passata» e cospirando contro la militanza di base quando si affermava. Ironia della sorte, quei leader hanno minato la loro stessa capacità di attuare le riforme, perché erano state le esplosioni di massa a consentire ai riformatori di plasmare la politica.
Di contro, le campagne elettorali e le pressioni erano all’ordine del giorno. Quando persone come Harold Washington e Jesse Jackson si sono presentate alle elezioni, la maggior parte dei riformatori eletti non aveva né l’inclinazione né la capacità di contrastare l’assalto capitalista.
Harold Washington non aveva un Ctu
Molti a sinistra di Chicago capiscono tutto questo. Infatti, da quando i riformatori del Ctu [il Chicago Teachers Union è un sindacato che rappresenta insegnanti, paraprofessionisti e medici nel sistema scolastico pubblico di Chicago, Ndt] hanno preso il potere per la prima volta nel 2010, hanno dato la priorità alla vera azione diretta collettiva e organizzata, inclusi diversi scioperi importanti dal 2012. Hanno anche fatto campagna elettorale, ma sulla base di un ben organizzato, combattivo, multirazziale movimento che ha operato per lo più al di fuori della sfera elettorale. La vittoria di Brandon Johnson sarebbe stata impensabile altrimenti.
La militanza del Ctu, e il fatto che Johnson provenga da quei ranghi, segna una grande differenza rispetto all’era di Harold Washington. Lo stesso Washington non aveva il legame organico di Johnson con l’organizzazione di massa e, una volta in carica, fece pochi sforzi per incoraggiare la militanza di base al di fuori delle campagne elettorali.
Il destino dell’amministrazione Johnson dipenderà da come Johnson e la sua base risponderanno all’inevitabile offensiva reazionaria. Per la base, il successo richiederà di mantenere l’enfasi in stile Ctu sull’organizzazione delle persone per intraprendere un’azione diretta nel perseguimento dei propri interessi ed espandere quel modello di lotta a un maggior numero di lavoratori, studenti, genitori, consumatori e affittuari di Chicago. L’amministrazione Johnson, nel frattempo, può rafforzare i propri sforzi difendendo costantemente questo principio.
A livello di politica economica, l’amministrazione deve convincere le persone che lo sviluppo economico non richiede sovvenzioni elargite alle grandi aziende, e che le aziende sono comunque partner volubili e infedeli. Deve dividere il piccolo capitale dal grande capitale. Le proposte fiscali di Johnson riflettono la consapevolezza che, almeno a breve termine, nessun riformatore può affrontare una classe imprenditoriale unificata.
L’amministrazione dovrebbe anche favorire la crescita di contro-istituzioni come le cooperative di lavoro e di consumo. Con il sostegno legale, morale e materiale del governo locale, tali istituzioni di potere popolare possono assumere un ruolo maggiore nell’economia, assumendo anche il controllo di negozi e fabbriche abbandonati.
Gran parte del finanziamento per quei progetti potrebbe provenire da una banca pubblica istituita a livello cittadino. Poiché gli istituti di credito orientati al profitto sfruttano sistematicamente i piccoli debitori e investono in imprese che massimizzano i profitti piuttosto che il benessere sociale, l’idea del sistema bancario pubblico ha acquisito slancio negli ultimi tempi. Una banca pubblica potrebbe combattere i prestiti predatori e al tempo stesso incanalare gli investimenti verso alloggi pubblici, cooperative, programmi di lavoro e altre iniziative non redditizie ma socialmente utili. Non c’è motivo (nessun motivo economico, almeno) per cui Chicago o altri comuni non possano farlo.
Cambiare Chicago sarà difficile. Date le risorse limitate, i progressisti saranno tentati di concentrarsi esclusivamente sulla mobilitazione elettorale. L’amministrazione sentirà un’enorme pressione ad aprirsi ai capitalisti della città, in particolare dal momento in cui i fondi federali Covid si esauriranno, i deficit di bilancio persisteranno e ci sarà una possibile recessione. Se il crimine rimane a livelli elevati, Johnson sarà anche tentato di tornare a un approccio tradizionale duro contro i reati.
Che viviamo o meno a Chicago, dobbiamo essere pronti a schierarci con i lavoratori e le lavoratrici di Chicago durante i prossimi scontri, ad esempio facendo donazioni ai fondi di sciopero dei sindacati. Solidarietà significa anche imparare dal loro esempio e applicare le loro lezioni nei nostri luoghi.
Le élite possono essere costrette ad accettare riforme significative. Quelle vittorie possono quindi diventare trampolini di lancio per vittorie più grandi. Se i cittadini di Chicago avranno successo, il loro esempio risuonerà ben oltre la città.
* Kevin A. Young insegna storia all’Università del Massachusetts Amherst. È coautore di Levers of Power: How the 1% Rules and What the 99% Can Do About It (Verso, 2020) e autore di Abolishing Fossil Fuels: Lessons From Movements That Won (PM Press, 2024). Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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