
Socialiste nel Congresso. Parla Ocasio-Cortez
Il termine “socialismo” è sempre stata una parolaccia negli Stati uniti. Ma nelle elezioni di Midterm una nuova ondata di giovani candidate di sinistra promette di arrivare a Washington
Con la sua vittoria alle primarie del quattordicesimo distretto di New York, giunta quasi totalmente inaspettata, Ocasio-Cortez ha sconfitto Joe Crowley, candidato in carica da dieci mandati e uomo di spicco del Partito Democratico. Una militante dei Socialisti Democratici d’America (Dsa) di 28 anni, che l’anno scorso lavorava come barista, ha spodestato un potenziale speaker democratico della Camera. Daniel Denvir ha parlato con Ocasio-Cortez per The Dig, il podcast di Jacobin Radio, e ha discusso con lei gli aspetti essenziali della sua campagna, del perché i democratici riformisti in tutto il paese soffrono gli sfidanti della sinistra più radicale, della necessità di candidati con una visione politica coraggiosa, della privazione di fatto del diritto di voto, dello statuto politico di Puerto Rico, e di molto altro ancora.
DD: Cominciamo con una domanda pratica: come hai fatto a vincere le primarie? Che caratteristiche ha avuto il tuo lavoro sul campo?
AOC: All’inizio non avevo idea di quello in cui mi stavo cacciando, ma sapevo che tipo di campagna avrebbe fatto il mio avversario: una classica campagna corporativa democratica. Normalmente queste campagne non hanno niente a che vedere con il lavoro sul territorio. Io mi sono affacciata alla competizione forte della mia esperienza di “organizer” [il community organizing è una pratica di cittadinanza attiva diffusa negli Usa tra le minoranze emarginate ndr]. Sin dall’inizio, sono sempre stata concentrata sull’organizzare le persone, costruire reti, e radicare queste alleanze a rete insieme ad altri “organizers”. La campagna si è concentrata quasi interamente sull’organizzazione fisica, concreta, e su un’estensione digitale che serviva a rafforzare il modello organizzativo fisico.
Quasi tutte le persone coinvolte in questa campagna erano alla prima esperienza da “organizer”. Ho anche coinvolto “organizers” esperti, ma molti di quelli che conoscevo non avevano mai fatto una campagna elettorale. Provengo da un ambito specializzato nella formazione, e molti degli attivisti e degli “organizers” che conoscevo erano scettici verso i meccanismi elettorali. La maggior parte di loro sceglie deliberatamente di non lasciarsi coinvolgere in questo genere di cose. Ho speso sei mesi cercando di costruire un rapporto di fiducia con le organizzazioni di comunità, per guadagnare la credibilità per riuscire a mobilitare persone che normalmente non hanno fiducia nelle campagne elettorali.
Abbiamo bussato a 120.000 porte, mandato 170.000 Sms, fatto 120.000 telefonate. Prima ancora di arrivare alla fase di registrazione come elettori del Partito democratico, avevamo già concluso un’intera campagna sul metodo di registrazione al voto, perché New York da questo punto di vista è uno degli stati più rigidi d’America. Se sei già registrato come elettore a New York, e sei un elettore indipendente o non affiliato, devi per forza cambiare la tua registrazione al partito almeno un anno in anticipo per essere autorizzato a votare per le primarie dell’anno successivo.
DD: Cosa che infatti ha danneggiato tantissimo la campagna di Bernie Sanders.
AOC: Eh sì, abbiamo ben tre milioni di elettori indipendenti o non affiliati a New York. È il blocco di elettori più ampio, e sono per lo più esclusi dal diritto di votare alle primarie.
Un anno prima delle elezioni primarie abbiamo fatto un appello alla registrazione, studiando gli elenchi già esistenti dei votanti Dem e di quelli indipendenti e non iscritti a un partito. Inoltre abbiamo fatto tra le 10 e le 13mila telefonate per dire alla gente: “Ehi, ci sarà una candidata progressista alle prossime elezioni del Congresso. È una che non prende soldi dalle corporation. Ma l’unico modo per vincere queste elezioni è che persone come te decidano di registrarsi al voto come democratici, così da poter votare l’anno prossimo”.
Onestamente, questo è stato l’aspetto più duro dell’intera campagna delle primarie. È su questo che ho ricevuto la maggior parte di porte sbattute in faccia, di insulti. Chiamavo e le persone rispondevano imprecando. Allora dicevo: “Ascolta, ti capisco. Capisco perché non vuoi iscriverti ai democratici”. Non sapevamo nemmeno se tutto questo sarebbe servito a qualcosa, visto che lo stato (comprensibilmente) non ti dà modo di controllare se poi quella persona si è effettivamente registrata dopo che l’hai convinta a farlo.
Questo sforzo, efficace o meno che fosse, ci ha davvero aiutato a sbattere la testa contro il lavoro di base, il porta-a-porta dell’organizzazione politica: stare a contatto con le gente, riconoscere i tuoi. È stata la base di tutta la nostra campagna elettorale.
Non ci siamo affidati a persone che sanno come funzionano queste cose. Contavamo sul fatto di avere un messaggio capace di infiammare l’animo della gente. Una volta coinvolti chiedevano: “Che posso fare?”, e allora li formavamo noi. Dicevamo: “Guarda, non è così difficile. Scarica questa app. Questo è quello che devi fare”.
Coordinare una campagna elettorale non è così difficile. Sicuramente richiede degli sforzi, ma, a parte una breve introduzione di un’ora e qualcosa, impari direttamente sul campo quello che ti serve. È così che abbiamo fatto. Abbiamo coinvolto ogni giorno persone che volevano partecipare e li abbiamo formati sulle cose di base da fare.
La nostra campagna si è svolta praticamente tutta sul campo. Non abbiamo mandato spot televisivi. Il mio avversario ha mandato spot per un mese intero. Ha spedito dai dieci ai quindici opuscoli patinati a ogni singolo registrato come elettore del Partito democratico in quel distretto. Io li chiamo il catalogo di Victoria’s Secret.
DD: Che va direttamente nel cestino della carta…
AOC: Eh sì, è quella cosa patinata e colorata con un bel primo piano in copertina. E le caselle di posta delle persone sono state inondate da questa roba. Noi abbiamo spedito all’incirca tre cartoline a più o meno cinquantamila persone, perché questo era quello che potevamo permetterci. Sugli spot elettorali e gli opuscoli eravamo completamente surclassati.
Ma non siamo stati affatto surclassati nel lavoro in strada. Crowley aveva una presenza davvero minima. Il nostro avversario aveva qualcuno in giro, certo, ma non così tanti. Noi avevamo centinaia di volontari che continuavano ad arrivare. Verso la fine della campagna c’era gente che ci raggiungeva dal Massachusetts, dall’Ohio. Uno addirittura è venuto in aereo dall’Iowa. Questo è il vantaggio che ti dà l’entusiasmo. I media non hanno prestato attenzione alla nostra campagna, ma la gente comune sì.
DD: Diverse figure dell’establishment hanno tentato di ridurre la tua vittoria al fatto che rispecchi meglio la demografia del tuo distretto, che a me sembra semplicemente un modo di negare la portata della ribellione in corso che li minaccia direttamente. Che ne pensi di come il sistema che hai sfidato ha interpretato e distorto il tuo successo nelle primarie?
AOC: Non sono troppo preoccupata. All’inizio, nelle prime 24-48 ore, ho osservato tutte le scuse buttate lì per giustificare la mia vittoria. Non mi hanno infastidito, perché nessuna di queste persone ha analizzato davvero la mia campagna elettorale.
Ma in una situazione in cui “il re è nudo”, è una reazione che sta nelle cose sia da parte dell’establishment politico che dei media mainstream, perché era in corso una scioccante evoluzione politica su scala nazionale e nessuno ci aveva prestato attenzione.
Molti di coloro che si sono arrampicati sugli specchi per spiegare cosa fosse successo, avevano in realtà pezzi di discorsi tratti dalla mia campagna che spiegavano tutto. Ho speso ore a parlare col New York Times prima della mia vittoria, quindi non è che fossero all’oscuro di ciò che facevo. Ho parlato ai giornalisti di chi ero, sono loro che hanno deciso di non dare copertura mediatica alla mia campagna. Non è che fosse proprio una cosa minuscola che non stava nei radar di nessuno. Da come l’hanno messa successivamente sembra che io sia sbucata fuori dal nulla, ma non è così.
Prima di vincere le primarie, non è che io non fossi sui social. Ora le cose sono completamente cambiate, ma già avevo cinquantamila follower su Twitter – tra cui giornalisti della Cnn, del New York Times, Msnbc. Quando sono andata ospite nel programma di Chris Hayes dopo la vittoria, lui ha detto in diretta: “È da un po’ che seguo la tua campagna elettorale”.
Le persone si sono accorte della mia campagna. Credo che siano stati i media mainstream – e probabilmente l’establishment politico – a prendere attivamente la decisione di non considerarmi. Onestamente, va bene così, perché in un certo senso è stato un vantaggio per la mia campagna.
Sono rimasta sbalordita, perché persino dopo un’intera settimana di tam-tam mediatico i giornalisti mi facevano sempre le stesse domande. Diversi redattori di Univision con cui ho fatto interviste mi hanno chiesto: “Come definiresti te stessa?”. Era la prima volta che un giornalista, soprattutto un giornalista televisivo, mi faceva una domanda del genere.
DD: E qual è stata la tua risposta?
AOC : Ho detto: “Sono una formatrice, sono una ‘organizer’, e sono un’impertinente paladina delle famiglie lavoratrici”. Quando penso a me stessa mi vedo come un’“organizer”. Nessun network mi ha permesso di raccontare questa storia, ma va bene. Veramente, va bene così. È una buona cosa se l’establishment politico vuole sminuire la mia vittoria per ragioni superficiali. Se qualcuno dice che ho vinto le primarie per ragioni demografiche, francamente credo sia una forma di pigrizia mentale, ma lasciamo che sia.
Lasciamo che loro non imparino la lezione, perché il popolo, il movimento progressista, il movimento delle famiglie lavoratrici, il movimento per una giustizia economica, sociale e razziale, il movimento per dare potere alla working class, il movimento di Porto Rico, il movimento di Ferguson [le rivolte dopo le uccisioni di afroamericani da parte della polizia, ndr], il movimento per la riforma del sistema giudiziario – loro vogliono capire cosa è successo. Queste persone stanno dicendo “Com’è esattamente che ha vinto?”.
Tu mi stai facendo questa domanda. Anche i Socialisti Democratici d’America (Dsa) me la stanno facendo. Lo vogliono sapere davvero, perché sono queste le comunità che abbiamo messo in rete per costruire una coalizione.
I Dsa hanno avuto un ruolo molto importante, ma come lo hanno avuto anche il movimento Black Lives Matter di Greater New York, o i Justice Democrats, o ancora tantissimi attivisti nel mondo del lavoro o nei movimenti delle comunità locali, nelle comunità musulmane, tra i giovani ebrei. Siamo stati molto determinati nel costruire una rete di persone che fosse in prima linea nei movimenti progressisti.
Non avrei potuto vincere senza il supporto dei Dsa, ma il nostro successo non è dovuto a un singolo gruppo. E se proprio ne dovessi indicare uno, sarebbe probabilmente Justice Democrats o Brand New Congress, perché loro sono stati quelli che all’inizio mi hanno convinto a candidarmi. Se loro non mi avessero spinto io non mi sarei mai candidata, ma la nostra campagna elettorale è stata un successo perché abbiamo fatto gruppo, rete, costruito una coalizione.
DD: C’è stato un momento incredibilmente potente durante il tuo dibattito televisivo con Crowley: quando lui ha promesso che ti avrebbe supportato nelle elezioni generali se avessi vinto le primarie. E dopo ti ha teso una trappola, chiedendoti se avresti fatto lo stesso se a vincere fosse stato lui. La tua risposta è stata che avresti dovuto chiedere alle persone che ti sostenevano, a gruppi come i Dsa: non avresti mai potuto prendere questa decisione da sola.
AOC: Non avevo previsto una domanda del genere da parte sua. Ho risposto d’istinto in modo coerente a come avevo portato avanti personalmente tutto il lavoro di costruzione della coalizione. Non ho portato membri delle varie organizzazioni nel “mio team” o cose del genere, sono andata fisicamente e personalmente da ciascuna organizzazione. Per parlare con i Dsa ad esempio, sono andata dal gruppo elettorale del Queens, da quello del Bronx, e poi dal gruppo generale del Queens e del Bronx, infine da quello cittadino. E questo per una sola organizzazione.
La domanda che mi ha fatto mi era in realtà già stata fatta da queste organizzazioni. Per cui quando mi è stata rivolta in un dibattito televisivo, sapevo che c’erano persone che se avessi preso una decisione unilaterale in diretta tv l’avrebbero interpretata molto male.
La mia candidatura è una candidatura di movimento. Ha un andamento molto insolito, perché quando ho iniziato la campagna ho pensato a quanto le persone di solito si candidino solo per sé stesse. Non riesco a credere che esista qualcuno che la mattina si alza e si dice: “Voglio essere un membro del Congresso o un Senatore”. Questa gente organizza tutta la sua campagna elettorale attorno alla propria identità individuale. Si dicono: “Sono la persona migliore per questo lavoro”, dopodiché letteralmente cercano di raccogliere migliaia di persone attorno all’entusiasmante slogan “sono fantastico”.
Per me sarebbe davvero una pressione eccessiva. E non credo che questo sia importante per le persone. Persino ripensando a come le persone si sono mobilitate attorno alla candidatura di Barack Obama – al di là delle sue politiche concrete – al centro non c’era semplicemente lui ma ciò che rappresentava per così tanta gente. Io, su quel palcoscenico televisivo, sapevo che rappresentavo un movimento.
Dopo ho ricevuto un sacco di critiche dall’establishment del Partito democratico, ma le uniche persone arrabbiate per quella mia dichiarazione erano quelle che già lavoravano per il partito. Gli elettori mi hanno invece rispettato molto per quella risposta. Sono andata all’alimentari, una o due settimane dopo quel dibattito, e mio cugino era lì con alcuni amici. Avevano guardato il dibattito, e tutti erano dell’idea che fosse andato alla grande.
DD: Non avevo mai visto nulla del genere.
AOC: C’è questa illusione fra i democratici in carica che i newyorkesi li adorino, che i newyorkesi adorino l’establishment del Partito democratico.
DD: Solo perché si ritrovano rieletti.
AOC: È uno stallo messicano. Siccome nessuno va a votare per il Partito repubblicano, ma c’è un controllo strettissimo sulle candidature per i democratici ad ogni livello, i newyorkesi sono costretti a votare per qualunque candidato democratico al ballottaggio a novembre. Soprattutto perché il nostro sistema per le primarie non funziona, volutamente. Non vogliono che venga data attenzione alle primarie democratiche. Ma le primarie democratiche sono le elezioni, soprattutto a New York City.
Comunque sia, ho solo fatto ciò che il movimento mi ha chiesto di fare in quel momento.
DD: Come pensi che riuscirai a mantenere questa relazione di fiducia andando avanti?
AOC: Sono impegnata nel continuare il lavoro di organizzazione dal basso. Ad esempio abbiamo fatto un incontro in questa piccola sala riunioni nel Queens con tutti i nostri coordinatori e volontari. Abbiamo un nucleo forte di circa 150 persone nel nostro distretto congressuale. Sui giornali ci sono tanti articoli con domande tipo: “Quale sarà la sua prossima mossa? Cosa farà adesso?”. Ma queste decisioni io non le prendo da sola.
La prima settimana dopo aver vinto le primarie è stata molto difficile per me personalmente, perché è stato il più lungo lasso di tempo che ho passato a) lontano dal distretto, e b) lontano dalla comunicazione costante con i nostri “organizer”. È stato emotivamente difficile, perché con loro abbiamo una conversazione continua. Abbiamo tante piattaforme differenti. Tutte queste chat di gruppo, una con tutti i sostenitori, una per il lavoro sul campo, una per l’ufficio stampa, una in spagnolo, una multilingue. Ogni singolo giorno posso accedere alla chat dei sostenitori e vedere di che cosa stanno parlando, com’è l’umore. Mi inserisco qui e là con i miei commenti personali. La stessa cosa faccio con tutti gli altri gruppi.
Per questo è stato davvero facile per me avere sempre il polso della situazione, perché non solo sono stata in strada, non solo ho bussato alle porte personalmente, ma ho anche ascoltato e visto le storie che tutti gli altri condividevano in continuazione. I primissimi giorni dopo la vittoria è stato davvero strano, perché ero ostaggio dei media per quattordici ore al giorno, tutti i giorni, e non riuscivo a stare in contatto col gruppo. Poi le acque si sono calmate un po’.
Così abbiamo fatto questo incontro con 150 persone, e ci siamo fatti due domande. Ci siamo divisi in gruppi più piccoli e ci siamo chiesti a) quale sarà il nucleo della nostra campagna nei prossimi tre mesi? E poi b) quali soluzioni specifiche vogliamo adottare per risolvere le principali debolezze e ingiustizie nella nostra stessa campagna? Perché, ogni volta che un gruppo di persone si riunisce, inevitabilmente ci sono ingiustizie e debolezze sistematiche. Se ne siamo consapevoli e cerchiamo soluzioni con regolarità, possiamo evitare ogni frattura comunicativa e organizzativa. Voglio mantenere tutti i rapporti.
Io non credo che le campagne finiscano mai. C’è un lato negativo e uno positivo in questo. Il lato negativo è che in un ambiente fatto per grossi capitali, sembra quasi che il lato propagandistico della campagna non finisca mai – e questo è sfiancante, perché non voglio vedere spot elettorali tutto l’anno. Dall’altro lato, non credo che il lavoro di coordinamento debba mai finire.
DD: Un’opportunità importante per i candidati di sinistra, ovunque, è quella di sfruttare la bassa affluenza a nostro vantaggio, coltivando un elettorato e cogliendo di sorpresa le persone che occupano i seggi.
AOC: Assolutamente. Per me l’idea per cui dovremmo concentrarci su coloro che di solito non si interessano alle elezioni è uno spreco di energie, perché sono persone che non decidono mai chi votare fino a una settimana prima delle votazioni. Se non sai chi votare una settimana prima delle elezioni, nessun tipo di sforzo sarà sufficiente a farti decidere in anticipo.
Quello di cui abbiamo bisogno sono le iniziative che allargano la base di coloro che sono interessati. Ci sono persone che non hanno mai votato che si sono impegnate a votare per me mesi prima delle elezioni, perché abbiamo parlato con loro. Sapevano che ci tenevamo, perché non ho messo su questo baraccone solo per convincere a votare gli elettori storici – quelli che avevano già votato nelle scorse tre primarie – e parlare unicamente a loro.
Gli elettori storici non erano la mia unica priorità. Erano la mia seconda o terza priorità. Le persone che sono già attive, a cui interessa il destino di Medicare for All, i college pubblici esentasse saranno con te dal primo momento se ti esponi su questi temi. Queste persone sono già abbastanza impegnate da coinvolgere i loro amici e familiari.
DD: Il Senatore Tammy Duckworth ha recentemente detto che il tuo approccio non funzionerebbe al centro – che la tua strategia è in qualche modo specifica del Bronx. La tua risposta mi è sembrata perfetta. Hai fatto una lista di tutti gli Stati in cui ha vinto Sanders, molti dei quali erano nel Midwest e molti sarebbero stati persi nelle elezioni generali, e hai chiesto: “Qual è la strategia per evitare che si ripeta?”.
AOC: Stavo sempre parlando con gli elettori, e stavamo dicendo: “Abbiamo perso un migliaio di seggi, abbiamo perso la Casa Bianca, abbiamo perso il Senato. Abbiamo perso la presidenza nelle elezioni in cui più di tutte non avremmo dovuto perdere. Siamo sicuri di voler continuare a votare per le stesse persone, la stessa strategia, lo stesso programma?”. Perché fino a questo momento il Partito democratico non ha cambiato la strategia generale. Sembra davvero che non ci sia nessun cambiamento d’indirizzo. Cosa abbiamo imparato dal 2016? Come possiamo fare le cose in maniera diversa?
DD: Hanno provato con la loro strategia. È stato un fallimento.
AOC: Questa è stata la mia argomentazione: “Vogliamo scegliere di continuare un percorso che ha dimostrato di portarci a perdere letteralmente tutto?”.
DD: Penso che le persone abbiano iniziato a chiedere un cambiamento di strategia all’establishment del Partito democratico, mentre in realtà abbiamo bisogno di rimpiazzare quell’establishment ed essere noi quelli che cambiano la strategia.
AOC: Il 99% dei finanziamenti del mio avversario alle primarie proveniva dalle corporation, dai lobbisti, e dai grandi donatori. Meno dell’1% proveniva dai piccoli donatori. Per me è stato il contrario. Se hai un candidato in carica che continua ad essere esageratamente finanziato dalle corporation e dai loro soldi, che sta dicendo esattamente le stesse cose che diceva nel settembre 2016, ci si dovrebbe preoccupare.
Se la presidenza Trump non ha spinto una persona a cambiare il proprio approccio dalle fondamenta, allora niente lo farà cambiare. Secondo me, alcuni sono cambiati. Non sto dicendo di fare “piazza pulita”, perché secondo me alcune persone sono cambiate davvero nel profondo.
A dir la verità… forse è successo allo stesso Crowley. Ho ricevuto un suo opuscolo – non mi ha cancellata dal suo indirizzario, così ho dieci di questi opuscoli a casa con il mio nome sopra – con stampata sopra la faccia di Trump.
DD: “Questo fa paura, fidatevi di me, lo combatterò io”: è l’opuscolo con questo slogan qui?
AOC: Già…
DD : Ha usato questo slogan anche durante il dibattito televisivo?
AOC: Esattamente, era questo il suo messaggio. In realtà, era stata anche la strategia per le elezioni generali: “Trump è un demagogo spaventoso, e sarà un disastro per la nostra democrazia”, ma con questo ritornello abbiamo perso le elezioni. Sembra che molti democratici in carica stiano andando col pilota automatico.
C’è stato un tentativo di convincermi a fare a pezzi l’establishment e creare una lotta interna sulla scia della mia vittoria. Io mi sono rifiutata, perché questa è una narrazione che altri stavano provando a portare avanti, ma non è la mia strategia. Non voglio che l’energia di questo movimento venga dirottata, perché quello che stiamo davvero cercando di fare è costruire una visione progressista e positiva del futuro dell’America.
Non voglio impantanarmi in lotte intestine dentro il Partito democratico, e non perché voglio fare un favore al suo establishment, ma perché dobbiamo costruire un movimento. Voglio concentrarmi per realizzare quello che vogliamo ottenere.
DD: Tante persone sperano che la tua vittoria sia d’ispirazione e supporto a questa nuova ondata di candidati socialisti e di estrema sinistra. Dove pensi che possa arrivare questo movimento? E quali sono le sfide future che guardi con più attenzione?
AOC: Abbiamo l’enorme opportunità di costruire la nostra stessa forza, e possiamo iniziare da qualunque luogo. Non è necessario occupare un seggio al Congresso, ci sono tantissimi altri luoghi che offrono enormi possibilità.
Molte persone sono ciniche e disilluse e credono che impegnarsi nelle elezioni non valga la pena. Spero che questa gente sappia che li capisco perfettamente. Ma li invito a ripensarci, perché le elezioni non sono il colosso inavvicinabile che credono sia. Il motivo per cui i soldi sono così importanti in politica è perché alla base c’è una grande passivizzazione. Tante di queste macchine politiche imbattibili non sono altro che gusci vuoti, privi di grande partecipazione. Sono decrepite.
Tanti di questi democratici – specialmente gli eletti nei singoli stati – si sono addormentati al timone. Sono stati colonizzati, come fossero, diciamo, piccole scappatoie legali per il riciclaggio del denaro. È così che sono stati usati. Nel mio quartiere è stato sicuramente così. Il Partito democratico nella Contea di Queens sembrava così potente, ma la ragione era che i lobbisti lo utilizzavano per riciclare denaro grazie alle campagne politiche locali.
Ma queste cose non hanno corpo. Se riesci a mobilitare i corpi puoi fare la differenza.
DD: Credo sia questa la vera lezione delle politiche del 2016. Tante persone sono sprofondate in un disincantato cinismo subito dopo, per via della vecchia presidentessa della Commissione Nazionale dei Democratici Debbie Wasserman-Schultz o che ne so io. Ma la verità è che Bernie Sanders – che io inizialmente non pensavo stesse gareggiando per vincere – aveva colto il sistema di sorpresa, e aveva mostrato “il re nudo” e quasi sconfitto i blasonati portabandiera sbucando fuori dal nulla. Perché in realtà non sono così potenti come crediamo che siano.
AOC: Esatto, e la gran parte del potere gioca su questa illusione. Il 90% della mia campagna elettorale è stata organizzata attorno a tavoli da pranzo, letteralmente. Io lavoravo al ristorante. Ho iniziato questa campagna uscendo letteralmente dalla sacca di Trader Joe’s [una catena di negozi alimentari, ndt]. Non è una storiella pittoresca – è la verità. Dopo il lavoro, mi cambiavo i vestiti tirandoli fuori dalla sacca di Trader Joe’s. Avevo il mio blocco di appunti, e di solito trovavo almeno una persona interessata alla causa. E quella persona invitava i suoi amici e i suoi vicini a casa sua. E io allora prendevo il treno per andare a trovarli e semplicemente parlavo con le persone, dieci alla volta; così per otto mesi.
Questa è stata la campagna. Questi piccoli gruppi di cinque, dieci persone – che nel tempo sono diventati il piccolo esercito di coordinatori della nostra campagna. La storia che raccontavo sempre attorno a questi tavoli da pranzo era quella del Mago di Oz. Noi avevamo messo su questo gruppo raffazzonato, avevamo camminato lungo la strada di mattoncini gialli, ed eravamo arrivati ad Emerald City. Avevamo bussato alle porte ed eravamo entrati, e c’era questo gigante invincibile, che in realtà è solo un tipo dietro a una tenda. Una volta che la verità viene a galla, le persone si rendono conto che è soltanto un tipo dietro a una tenda.
DD: Con un grosso microfono…
AOC: Con un grosso microfono, che decide il destino delle persone, centinaia di migliaia di persone. Allora ti rendi conto che cambiare questo stato di cose non è poi così folle – che lo puoi fare sul serio, anche con un piccolo gruppo raffazzonato. Ci sono talmente tanti posti così.
Il Partito democratico, per tanto tanto tempo, non ha investito nessuna risorsa nel lavoro sul territorio. È per questo che possiamo approfittare di questi grandi spazi lasciati vuoti. Spero che la mia vittoria dimostri quale debba essere la vera forza di qualunque partito voglia fondarsi sugli interessi di chi lavora.
C’è ormai una piccola industria di consulenti elettorali. Raccomandano ai candidati di spendere soldi in cose – non cose che funzionano, ma cose da cui traggono una commissione. Tanti consulenti guadagnano un 10% ad ogni comparsata televisiva del loro candidato. Non raccomandano cose che ti fanno vincere, ma cose che li fanno guadagnare. È un sistema di incentivi basato sul mercato tipico di tante industrie.
Noi sappiamo che funziona bussare alle porte e contattare direttamente gli elettori. Ma non fa fare soldi alle persone. Lo sapevamo. Come sapevamo che [Crowley] avrebbe investito un sacco di soldi negli opuscoli da inviare a casa. E che avrebbe speso un sacco di soldi in spot televisivi. Ma avevamo il presentimento che non avrebbe speso altrettanti soldi nel lavoro sul campo, perché non puoi ottenere grosse commissioni dal lavoro sul campo. Ed è una grande rottura di scatole.
È per strada che vinciamo. Chiunque voglia fare una grossa campagna elettorale che parta dal basso ha bisogno di contare a quante porte è andato a bussare, e ha bisogno di segnarsi i contatti delle persone – una per una. Prendi contatto con gli elettori, e valuti gli elettori in una scala da uno a cinque, ogni volta. Abbiamo contato 15.900 persone, una per una, e 15.900 persone sono uscite di casa e sono andate a votare per noi il giorno delle elezioni primarie. Non è stata una coincidenza.
Ero meravigliata perché per me, che nella vita organizzo le persone, contare quanta gente avrebbe votato per noi era semplicemente buon senso. Parlando con una persona che aveva partecipato a tantissime campagne elettorali gli ho chiesto: “È così che di solito si fanno le campagne elettorali?”, e mi ha risposto: “No”, e io: “Be’, ma allora che fa la gente?”, e lui: “Fanno spot televisivi e radiofonici, e raggiungono circa il 5 o 10% di elettori che gli servono per vincere. Se ti serve che 15.000 persone votino per te, conti 1.500 persone”. E io allora: “E come fanno a sapere che vinceranno?”, e lui: “Non lo sanno. Semplicemente spendono un sacco di soldi in spot televisivi, fanno pochissimo lavoro sul campo, e poi incrociano le dita”. E io: “È così che viene gestita una campagna elettorale per il congresso da tre milioni di dollari?”, “Sì, più o meno”.
È per questo che perdiamo. Ed è per questo che penso sia importante squarciare il velo su questa roba.
DD: Guardiamo alla tua futura entrata nel Congresso (mi sento abbastanza sicuro, ma non vorrei portarti sfortuna). La destra ha usato con successo gruppi come House Freedom Caucus per portare avanti il proprio programma. Pensi che il Caucus Progressista [gruppo informale di deputati progressisti, ndr] che ha tenuto un profilo molto basso per un sacco di tempo, ma che è comunque rilevante, possa fare lo stesso per la sinistra?
AOC: C’è del potenziale. Dipende tutto da quanto è unito il caucus. Ciò che dà forza al Freedom Caucus non è la sua dimensione, ma la sua coesione. Ora come ora il Caucus Progressista è più grande del Freedom Caucus. Ma a volte votano allo stesso modo, altre no.
Ciò che dà potere ai caucus è proprio la loro capacità di votare in blocco le cose per far sì che accadano. Anche se riesci a ritagliarti un sub-caucus dal Caucus Progressista, un blocco più piccolo ma che agisce effettivamente in blocco, allora puoi generare del vero potere.
Su questo credo che, davvero, si può dire: “Vedremo”. Per quanto io sia irriverente e forte nei miei messaggi e nelle mie convinzioni, il mio stile personale è quello di qualcuno che costruisce consenso. Mi piace pensare di essere convincente. Di solito sono brava a individuare modi pratici per rendere realizzabili progetti ambiziosi. Questo non per dire che potrei farmi carico di un caucus o cose del genere, ma credo che ora come ora ci sia buona volontà. Vedremo se questa buona volontà sarà ancora lì a gennaio. Credo che si possa costruire un caucus di dieci, trenta persone, e non ci vuole molto a fare richieste decise se si agisce come un blocco compatto.
DD: La tua vittoria mi rassicura più che mai del fatto che la sinistra, un giorno, magari nel medio termine, possa diventare la maggioranza politica di questo paese. Ma tante istituzioni politiche sono profondamente antidemocratiche, e mi sembra probabile che nei prossimi anni la minoranza conservatrice userà istituzioni come la Corte Suprema o il Senato per frustrare la volontà popolare.
Il politologo David Faris ha recentemente pubblicato un libro illustrando un programma di misure che avrebbero potuto democratizzare costituzionalmente il sistema americano, e che includevano l’aumento dei seggi della Corte Suprema, e il rendere stati a sé Washington DC e Porto Rico. Il futuro di Porto Rico dovrebbe essere deciso dai cittadini di Porto Rico, ma sarei contento di questi due seggi in più al Senato. Pensi che sia arrivato il momento di discutere di misure costituzionali più radicali per democratizzare il sistema?
AOC: Assolutamente. La definizione “radicale” è spesso usata in maniera infelice di questi tempi. Autorizzare a votare gli americani che hanno già costituzionalmente il diritto a farlo è una cosa radicale? Davvero? Siamo a questo punto? Sì, siamo a questo punto. Io sono totalmente a favore. Ora come ora, abbiamo una scadenza per la registrazione al voto negli stati come il mio, ed è un banale stratagemma. Con la tecnologia che abbiamo, non c’è ragione per cui dovremmo avere un limite per la registrazione.
Per me, come donna portoricana, guardo ai più vecchi e tento di avere una discussione franca sullo statuto di Porto Rico. Il fatto che abbiamo letteralmente milioni di persone che sono americane ma che fino ad oggi sono private del diritto di voto nelle elezioni presidenziali è profondamente sbagliato, è una delle ingiustizie principali nella nostra odierna democrazia.
E non è solo Porto Rico. Sono le Isole Vergini, Guam, tutti territori degli Stati uniti che di fatto sono delle colonie. Porto Rico è una colonia degli Stati uniti. Il fatto che si possa nascere negli Stati uniti come cittadino americano e non avere diritto di voto e una rappresentanza federale è il motivo per cui sono morte migliaia di persone a Porto Rico [in seguito all’uragano Maria nell’agosto 2018, ndt].
Non la vedo come una questione di principio sulla sovranità, ma ti garantisco che se Porto Rico avesse potuto votare nelle elezioni presidenziali, se avesse avuto due senatori, non sarebbero morte migliaia di persone. Te lo garantisco. È cinico e grossolano, ma è vero. Se fossero stati indipendenti, probabilmente migliaia di persone non sarebbero morte. Ma lo statuto politico dei portoricani e delle persone che sono state colonizzate dagli Stati uniti li rende cittadini di seconda classe. Non è radicale rendere i cittadini degli Stati uniti delle persone complete di fronte della legge.
DD: Qualche ultimo pensiero?
AOC: Sono molto eccitata per Julia Salazar [altra candidata socialista, ndr]. È incredibile, fantastica. Sul piano nazionale, sono molto eccitata da Kaniela Ing nelle Hawaii. Sono molto eccitata da persone come Brent Welder nel Kansas. Brent può vincere. Credo che tutto ciò sia molto eccitante. E anche Cori Bush, a Ferguson.
Vorrei che le persone vedessero questi candidati come legittimi, perché per tutta la mia campagna io sono stata giudicata illegittima. Per me è stato difficile. Al di là della vittoria, io ho dato il via alla prima elezione per le primarie del distretto in quattordici anni, perché a New York per partecipare alle primarie devi raccogliere migliaia e migliaia di firme in una maniera che è semplicemente inarrivabile per chi lavora. Avevo dato il via alle prime elezioni primarie in quattordici anni all’interno della nostra comunità, e ancora non venivo reputata una sfidante legittima. Avevamo già fatto la storia anche prima del giorno delle elezioni, e ancora non venivo reputata una candidata legittima.
Vorrei che le persone vedessero Cori Bush come una contendente reale, perché lo è. Vorrei che le persone vedessero Julia Salazar come una persona seria, perché è una persona seria. Questi sono candidati veri, gente che lavora dal basso, e se nessun altro vorrà dare loro supporto, io sono contenta di farlo. Credo sia tutto. Uscite, organizzatevi. Questo è il succo, il cuore della nostra democrazia.
*Daniel Denvir è autore di All-American Nativism, collaboratore di The Appeal, e autore del programma “The Dig” su Jacobin Radio.
L’articolo originale su jacobinmag.com. Traduzione di Gaia Benzi.
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