
Black Lives Matter ha fatto la differenza
Mappando i flussi elettorali per singoli stati, classi di reddito e gruppi etnici, si evince come la crisi economica negata e una sottovalutazione della mobilitazione degli afroamericani è costata a Trump la presidenza
È stata l’elezione con il numero di votanti più alto di sempre negli Stati uniti: oltre 160 milioni di voti per un’affluenza del 66,7%. Per trovare una percentuale simile bisogna risalire al 1908. Ma nel 1908 la popolazione negli Stati uniti d’America era un terzo di quella attuale, le donne non potevano votare e il voto della popolazione afroamericana era impedito in vaste aree del paese.
Hanno votato 20,6 milioni di latini, 19 milioni di afroamericani, 103,5 milioni di bianchi e 4,7 milioni di statunitensi di origine asiatica. Gli afroamericani proporzionalmente hanno avuto l’affluenza più alta mentre l’elettorato che è cresciuto di più rispetto al 2016 è quello latino.
Come da lui stesso ribadito, il 46esimo Presidente eletto Joe Biden è stato il più votato della storia: oltre 75 milioni di voti. Il record precedente era quello di Obama nel 2008 con 69 milioni di voti. Donald Trump ha ottenuto circa 70 milioni di voti. Nel 2016 ne ottenne 63.
I Democratici hanno ottenuto 306 grandi elettori dei 538 disponibili. Ai Repubblicani nel 2016 ne andarono 304. Rispetto a quattro anni fa i Democratici hanno guadagnato 5 Stati: Michigan, Arizona, Wisconsin, Pennysilvanya e Georgia. I Repubblicani dovrebbero aver conquistato il North Carolina. La North Carolina tuttavia aspetterà ancora qualche giorno per lo spoglio degli ultimi voti per posta, favorevoli a Biden ma apparentemente non sufficienti a rovesciare l’esito finale.
Secondo l’analisi dei flussi elettorali fatta dal New York Times alle tendenze già note (città/campagna; stati costieri/flyover state ecc.) se ne sono aggiunte altre interne agli stessi stati. Così stati storicamente repubblicani hanno visto alcune zone diventarlo ancora di più e viceversa. Tra gli stati «rossi» l’Idaho, lo Utah, l’Arkansas e il Tenessee, già roccaforti del Gop (il Grand old party come viene chiamato il Partito repubblicano), in alcune contee hanno visto aumentare ulteriormente il distacco dai Democratici. Discorso opposto per il Colorado, la Virginia e il Vermont, già democratici, nelle contee urbane e suburbane i Dem hanno aumentato il divario dai Repubblicani. In altri stati gli spostamenti elettorali sono stati più o meno vie di mezzo. Tranne in quelli determinanti.
Joe Biden è il secondo presidente nella storia a vincere le elezioni perdendo sia l’Ohio che la Florida. Il primo fu John Fitzgeral Kennedy contro Nixon nel 1960. L’Ohio, è lo stato elettorale bellwether (indica chi vincerà) ma a questa tornata ha confermato con lo stesso vantaggio del 2016, 8 punti, Trump. Il presidente ha guadagnato voti in tutte le contee rurali e lungo il fiume Ohio e confermato il proprio consenso nelle aree suburbane e industriali dello stato.
La Florida, secondo bellwether, è stata probabilmente il successo più significativo di Donald Trump in queste elezioni. Per i cambiamenti demografici, per le tendenze del 2018 e per il grande numero di nuovi elettori iscritti lì si sono concentrate le attenzioni mediatiche appena iniziato lo spoglio. Era considerato uno stato conteso anche per il risicato margine con cui Trump vinse nel 2016. Trump qui ha aumentato il consenso grazie a un’impennata di voti, 200.000, nella ricca contea di Miami Dade, un tempo bastione democratico, stravinta da Hillary Clinton quattro anni fa. Il più 20% di Trump si deve alla mobilitazione senza precedenti dei cubani, in particolare dei più giovani. I cubani di Miami sono storicamente anti castristi. La presidenza Trump ha cambiato completamente la politica di Obama di distensione verso l’Havana: dal 2017 a oggi ha imposto severe sanzioni e soprattutto ha riattivato il Titolo III della Legge Helms-Burton, varata da Bill Clinton nel 1996, con cui si permette ai proprietari di beni confiscati durante la Rivoluzione cubana di tornare a reclamare i vecchi possedimenti a distanza di decenni, rendendo la legge statunitense valida a livello extraterritoriale. Questa mossa e una retorica ferocemente anti socialista ha dato a Trump i voti decisivi in Florida. Il coordinatore di Latinos for Trump a Miami inoltre è cubano ed è il leader dei Proud Boys statunitensi Enrique Tarrio.
Latinos ma quali latinos?
Spostandosi lungo la Sun Belt i media si sono concentrati quindi sul Texas. Da oltre quarant’anni lo stato vota per il Gop ed è politicamente molto conservatore. Trump aveva vinto nel 2016 di 9 punti. Nel 2020 ha prevalso di 5,8 e si è aggiudicato i suoi 38 grandi elettori. I Democratici hanno tuttavia guadagnato moltissimi voti, in gran parte dalle aree urbane e suburbane con uno slittamento importante di elettori dei sobborghi bianchi e ricchi che hanno abbandonato il Gop. Al contrario si sono mossi verso Trump molti latini che avevano votato per la Clinton nel 2016. Il Partito repubblicano così ha conquistato la Valle del Rio Grande e le aree fortemente ispaniche lungo il confine con il Messico. Starr, una contea rurale di confine con molti casi di Covid19 durante la scorsa estate, ha avuto lo spostamento più ampio. Hillary Clinton vinse qui di 60 punti, Biden ha vinto per soli cinque. Queste aree hanno dato al Gop i voti per annullare l’impatto degli elettori bianchi urbani.
In Texas i cosiddetti Tejanos sono quasi un terzo della popolazione e i loro spostamenti elettorali sono decisivi. Per capire le ragioni di questo flusso elettorale si può fare riferimento al 2018 quando il giovane Beto O’Rourke, democratico, perse in quelle contee la sua corsa elettorale contro Ted Cruz, uno dei senatori Repubblicani più attivi. Cruz rappresenta al meglio gli interessi degli elettori che si sono spostati dai Democratici ai Repubblicani nelle contee di confine. Non è nato negli Usa e, se da un lato chiede una maggiore sorveglianza del confine, dall’altra si oppone all’espulsione degli immigrati clandestini. Favorisce la cittadinanza di tali immigrati e chiede la liberalizzazione dell’immigrazione legale, tra le altre cose, con un aumento delle carte verde annuali, i permessi di soggiorno. Inoltre è un negazionista climatico sostenuto dall’industria petrolifera e un promotore del fracking, tecnologia per estrarre petrolio. Fermo oppositore dell’Obama Care è considerato un falco in politica estera, in prima fila contro il «China Virus». È legato a Tarrio sin da quando nel 2017 fece pressione affinché Trump definisse «organizzazione terrorista» Black Lives Matter. Proprio Cruz è il coordinatore dei Latinos for Trump nello stato della stella solitaria.
Complessivamente, tra gli stati con molti latini, California e Nevada hanno confermato la propria tradizione democratica mentre Florida e Texas, grazie a una una mobilitazione straordinaria della piccola borghesia di origine cubana o messicana in contee specifiche, sono andati a Trump. L’unica novità è stato l’Arizona, uno dei 5 Stati che Biden ha conquistato. Qui, a parte Clinton nel 1996, si è praticamente votato sempre repubblicano dal dopoguerra a oggi. È la patria del conservatorismo di Barry Goldwater ed è stato rappresentato dal 1983 a due anni fa dal senatore MacCain, avversario di Obama nel 2008 e repubblicano odiato da Trump. Nel 2016 Trump vinse con quattro punti di vantaggio, quattro anni dopo è sceso a un punto meno del suo avversario. Questo crollo è dovuto alla contea di Maricopa, dove c’è Phoenix e dove vive il 60% dell’elettorato dello stato. È la contea con il principale cambiamento demografico di tutti gli Stati uniti. Un terzo della popolazione è latina e in gran parte di recente cittadinanza. Ha l’età media tra le più basse degli Usa (33 anni). E soprattutto per 24 anni è stata la contea dello sceriffo Arpajo, «the real Trump». Lo sceriffo era noto per essere il più duro d’America, in particolare con i migranti al punto da venire condannato da un tribunale ed essere graziato dal neoeletto Trump. Il presidente ne fece la mascotte delle sue politiche contro l’immigrazione. Lo sceriffo provò poi a candidarsi nel 2018 con il Partito repubblicano perdendo rovinosamente. In altre parole la Contea di Maricopa è il simbolo delle politiche del confine di Trump. Per dirla con MacCain nel 2017: «i Repubblicani sono dalla parte sbagliata del dibattito sull’immigrazione e rischiano di perdere gli elettori latini per una generazione. La maggior parte degli studenti delle superiori sono ispanici, pensano che la maggior parte di loro voterà per il partito che ha mandato i federali a sequestrare i loro amici dalla scuola, che li ha portati via dalle loro squadre per metterli sugli autobus per il Messico?». Un altro dato significativo, per quanto numericamente irrilevante, è che in Arizona c’è anche una zona dove Biden ha avuto la percentuale più alta di preferenze in assoluto: il 97%. È anche però la regione con la densità più alta di morti per Covid19: la Nazione Navajo, la più grande e povera area di nativi del Nord America. Immigrazione e nativi, chi vive lì da sempre e chi da meno di 4 anni. Questi hanno segnato il destino di Trump in Arizona.
La Rust Belt
L’altra area decisiva per la corsa alla Casa Bianca è stata, come 4 anni fa, il Midwest con la Rust Belt. Nel 2016 la vittoria probabilmente più sorprendente per Trump fu quella di solo 0,3% nell’operaio Michigan. Nel 2020 Biden ha confermato le contee vinte allora da Hillary Clinton e in circa due terzi di quelle vinte da Trump nel 2016 ha guadagnato voti. In particolare nelle contee bianche urbane o suburbane o in quelle industriali fortemente sindacalizzate. Ma la differenza qui l’ha fatta Detroit con la sua popolazione afroamericana pari all’80% del totale. «Motown» nel 2016 non era andata a votare entusiasta per Hillary Clinton; a questo giro ha superato l’affluenza media nazionale e ha votato per il 94% per Biden. Trump ha così perso il Michigan con uno svantaggio del 3%.
Il Wisconsin è invece uno stato molto diverso: ha una delle percentuali più alte di elettori bianchi senza laurea del paese. Qui Biden ha riconquistato precisamente quei 20.000 voti in più con cui Trump l’aveva strappato ai democratici. Nel Wisconsin tradizionalmente ci sono le città progressiste e universitarie di Milwaukee e Madison, il nord e l’ovest rurali e le aree urbane e suburbane ricche e prevalentemente bianche. Trump ha fatto la parte del leone nelle contee rurali dove è aumentata la mobilitazione elettorale e il presidente ha avuto il 30% di vantaggio. Ma ha perso rispetto al 2016 i voti dei blue collars e molti voti in importanti aree ricche. Infine, dopo i fatti di Kenosha di agosto, le contee più progressiste dello stato hanno dato a Biden i numeri per la vittoria. A Dane i Democratici hanno staccato il Gop addirittura del 53%.
Infine il terzo stato del «blue wall»: la Pennsylvania. Trump vinse nel 2016 per lo 0,6%. Nel 2020, lo spoglio di Philadelphia durato quattro giorni, ha dato a Biden la nomina. La notte delle elezioni qui Trump vinceva grazie alle contee ovest, rurali o abitate dalle comunità hamish con margini record. Il vantaggio si è però via via ridotto fino a essere completamente ribaltato. Trump ha difeso il consenso tra gli operai bianchi ma ha perso quello nelle aree suburbane, in particolare benestanti, bianche e universitarie. Ma la vittoria di Biden sarebbe stata impossibile senza, anche in questo caso, la straordinaria mobilitazione delle comunità nere e latine della sesta e più povera città degli Usa, Philadelphia; qui ci sono state le maggiori mobilitazioni contro gli sfratti dovuti all’epidemia di Covid19. Biden in città ha mantenuto sempre un vantaggio di oltre l’80% su Trump che gli ha dato le chiavi del Midwest e della Casa Bianca.
Il deep South
Spostandosi tra gli stati del deep South le sfide più aperte sono state la già citata North Carolina e la Georgia. Nel 2016 Trump ha vinto la Georgia con oltre 5 punti. Biden alla fine l’ha spuntata con un margine stretto di 0,4%. Il Segretario di Stato della Georgia ha annunciato un riconteggio (ma non cambierebbe l’esito generale delle elezioni). La sconfitta repubblicana in Georgia è stata un colpo durissimo per la Casa Bianca, forse il più duro. Atlanta e i suoi sobborghi sono il nucleo di elettori di Biden in tutto lo stato. Ma quella zona è quella in cui il vantaggio dei Democratici sul Gop ha avuto la crescita maggiore su base nazionale nel 2020. E in generale anche le contee più lontane da Atlanta, quelle dove Trump ha vinto, hanno visto un lieve spostamento verso i Democratici. Dove i Repubblicani godevano di ampi consensi tra gli elettori bianchi utili a sopraffare la grande percentuale di elettori neri, Biden ha portato via più voti a Trump del contrario, in particolare tra i bianchi senza una laurea. Per la prima volta le contee rurali e bianche in Georgia hanno visto il margine tra Democratici e Repubblicani ridursi. Proprio nel sud rurale, a differenza del resto degli Usa, Trump ha perso i voti delle contee rurali suo jolly elettorale nel 2020. Biden addirittura ha vinto le contee di Gwinnet e Henry (che avevano scelto Trump nel 2016). Al contrario le contee con molti afroamericani in Georgia non solo non hanno concesso nulla al Partito repubblicano ma hanno visto, come già a Detroit e Philadelphia, una partecipazione al voto straordinaria. Atlanta, la città delle rivolte per Rayshard Brooks della scorsa estate, con i suoi sobborghi ha fatto qualcosa di miracoloso oltre che storico. A settembre, infatti, un rapporto della Ong Aclu aveva preannunciato che circa 200.000 elettori, quasi tutti afroamericani, erano stati eliminati dalle liste per presunti cambi di residenza. E nel 2018 il segretario di stato del «Peach State», Brian Kemp, aveva vinto le elezioni a governatore contro Stacey Abrams, afroamericana e attivista. Kemp vinse con un margine di appena 55.000 voti nonostante avesse impedito a molti cittadini di Atlanta di votare con la medesima tecnica di queste presidenziali. Tra il 2014 e il 2020 l’ufficio di Kemp ha cancellato oltre 1,4 milioni di elettori e 700.000 solo l’anno prima delle elezioni a governatore. Dopo la frode subita, la Abrams ha fondato un’organizzazione, Fair Fight Action, che negli ultimi due anni ha svolto un ruolo centrale per garantire la partecipazione al voto in particolare in Texas e, appunto, Georgia. Abrams questa volta aveva contro Kemp, ma da governatore, e grazie alla comunità afroamericana, un terzo della popolazione dello Stato, ha ottenuto una vittoria per Biden che ha un carattere perfino superiore alla semplice vendetta. Dopo oltre quarant’anni un candidato non conservatore ha espugnato la Georgia, con una vittoria simbolica: l’83% nella contea di DeKalb proprio lì dove fu fondato il Ku Klux Klan.
A completare il quadro dei grandi elettori persi da Trump c’è il secondo seggio nel Nebraska. Il Nebraska, come il Maine, nomina grandi elettori con una sorta di maggioritario per collegio. È uno stato saldamente conservatore e da sempre governato o rappresentato dai Repubblicani. Tuttavia proprio il secondo distretto cioè l’area metropolitana di Omaha, città universitaria, era stato già vinto nel 2008 da Obama. A seguito di quella vittoria a sorpresa, il Gop ridefinì il collegio escludendo due città democratiche. Dodici anni dopo il vice di Obama è riuscito a conquistare il collegio grazie al voto della grande comunità ebraica che ha abbandonato il Gop e Donald Trump dopo il suo matrimonio con la destra suprematista, fascista e antisemita.
La sconfitta di Trump nelle metropoli
Macroscopicamente si coglie immediatamente come Trump abbia perso nelle metropoli persino più che nel 2016. Sulle 50 città più popolose degli Usa non ha quasi mai superato Biden che lo ha addirittura doppiato nelle contee metropolitane con più di un milione di abitanti. Di contro, l’inquilino della Casa Bianca ha fatto il pieno di voti in tutte le contee rurali del paese richiamando al voto anche chi non aveva votato nel 2016. Ma, in senso contrario al 2016, sono state le aree suburbane la novità. Trump ha avuto la maggioranza nelle stesse contee che aveva già vinto 4 anni fa, ma con meno voti. Nelle aree suburbane con i redditi mediamente più alti e un buon livello di istruzione, si è assistito a un aumento eccezionale di affluenza e di voto per i democratici.
Pur di fronte alla disastrosa gestione della pandemia incredibilmente, nelle 376 contee con più casi pro capite, il 93% ha votato Donald Trump, un valore di molto superiore persino alle aree meno colpite (come le zone rurali in Oregon e Colorado). Le contee in questione sono in Texas, Montana, Dakota, Nebraska, Kansas e Iowa. Il Presidente ha però vinto anche nelle contee dove nei 4 anni della sua legislatura si sono persi più posti di lavoro, dal Texas andando verso nord, fino al Canada, lungo la Farm Belt. E per ciò che riguarda la classe operaia, Trump ha mantenuto il consenso tra i lavoratori bianchi non sindacalizzati, mentre Biden, proprio grazie al voto degli operai sindacalizzati, ha ricostruito il «Blue wall» del Midwest.
Il peso degli afroamericani e il voto working class
Ci sono stati però due due fattori che hanno dato la vittoria a Joe Biden e che nessuno ha ancora nominato. Il primo è il contributo dei migranti latini, spesso iscritti al voto per la prima volta. Si sono organizzati contro chi li voleva espellere, separare dai figli e deportare. Il secondo elemento, quello decisivo, è la mobilitazione senza precedenti della comunità afroamericana. È stato il movimento Black Lives Matter e la rivolta per la morte di George Floyd a spostare gli Stati che andavano spostati, a irrompere nella società e nelle strade e persino a difendere il diritto di ciascun voto a essere contato. A riprova di ciò, è stato pubblicato uno studio dei dati del New York Times in cui si scopre che, mentre il Covid è solo il quarto punto cui l’elettorato Usa è sensibile, 9 americani su 10 hanno votato in base alle rivolte antirazziste degli ultimi mesi, in un modo o nell’altro (il 56% per Biden e il 44% per Trump). Questo chiarisce non solo la polarizzazione politica prima e intorno alle elezioni, ma anche il peso e la dimensione assunta da una vittoria innanzitutto politica prima che elettorale.
Infine un confronto dei risultati delle elezioni del 2016 e del 2020 evidenzia come il fattore principale che ha trasformato le elezioni è la crisi prodotta dalla pandemia. L’aumento dell’affluenza della classe operaia e della classe medio-bassa ha aiutato Biden ad ampliare il margine della sua vittoria nel voto popolare (in cui si legge il peso demografico anche della California). Tra questi settori, malgrado l’aumento dei votanti, non c’è stato alcun guadagno di voti per Trump (i famosi «maschi, bianchi e senza laurea» del 2016). Biden invece ha conquistato i voti di 8,6 milioni di maschi rispetto a Hillary Clinton nel 2016, mentre il voto di Trump tra gli uomini è aumentato di solo 2,2 milioni dal 2016. E se comunque tra tutti gli elettori bianchi, Trump ha raccolto il 57% (come nel 2016) Biden con il 42% ha prodotto un avanzamento in quel segmento demografico dal 37% di Clinton del 2016 di altri 5,4 milioni voti. In altre parole Biden ha battuto Trump nel suo «classico» segmento sociale di riferimento 60 a 40. Questo spiega il ritorno del «blue wall» del Midwest.
Ci sono stati circa 23 milioni di voti in più da elettori con redditi familiari inferiori a 100.000 dollari rispetto al 2016. Tra quelli inferiori a 50.000, Trump ne ha guadagnati 2,1 milioni in più. Ma Biden ben 4,9 milioni.
Viceversa tra i più ricchi Trump ha aumentato significativamente il numero di elettori. Mentre Gop e Dem nel 2016 erano pari con 21,8 milioni di voti tra i ricchi, nel 2020 diversi milioni di persone benestanti si sono spostate verso Trump. E guardando le aree interessate corrispondono a quelle cui si faceva riferimento rispetto all’enorme incidenza di casi di Covid19 nelle Great Plan. È lecito pensare, come fa il Washington Post, che questo spostamento di elettorato possa essersi verificato per la gestione della pandemia Presidente che nei fatti ha arricchito questa fascia di reddito che non ha mai fatto alcun lockdown. Sfortunatamente per Trump questi elettori con reddito familiare superiore ai 100.000 dollari sono diminuiti sostanzialmente, dal 34% al 28%, ben 3 milioni di voti in meno in quattro anni. E questo dato dimostra come la pandemia e la crisi conseguente abbiano fatto precipitare grandi parti della classe media nella fascia di reddito più bassa che, comprensibilmente, non ha votato Trump.
La fascia di reddito più bassa dell’elettorato, gravato dalla crisi e dalla disoccupazione di massa, è ben il 38% dell’elettorato totale, un aumento enorme dal 30% nel 2016. Poi ci sono i nuovi elettori nella categoria 50.000-100.000 dollari che si sono divisi 56%-43%. Nel 2016 la Clinton aveva perso in questa categoria con il 46%. Biden ha ottenuto quindi 14,1 milioni di voti in più sul 2016 mentre Trump solo 5,2 milioni.
Inspiegabilmente (o quasi) negli exit poll statunitensi non disaggregano il voto afroamericano, asiatico o latino per fascia di reddito come per i bianchi, segnalano solo il livello di istruzione, che è, almeno indicativamente, l’indice che si avvicina di più al reddito. Particolarmente significativo è quindi il dato che emerge. Trump ha visto aumentare il proprio sostegno innanzitutto tra le donne e tra le fasce ricche e ultra ricche degli afroamericani, latini, asiatici e Lgbt. Tra gli afroamericani addirittura Trump è passato dal 13% nel 2016 al 18% nel 2020, 500.000 afroamericani in più. 600.000 è invece il numero di afroamericani in più che hanno votato Biden. Quindi la crescita del voto afroamericano dal 2016 si è divisa in modo uguale ma il black capitalism e tutta l’élite nera ha votato per Trump mentre la classe operaia e i poveri per Biden (cui comunque è andato complessivamente l’82% degli elettori neri). Su per giù lo stesso discorso si fa con gli altri gruppi. E si torna, quindi, alla differenza tra i cubani di Miami o i messicani della Valle del Rio Grande in Texas e portoricani o messicani in Arizona, Nevada o California. Molto probabilmente anche sull’elettorato Lgbt triplicato per il religiosissimo Gop dal 2016 (il 28% degli elettori Lgbt ha votato Trump) bisognerebbe incrociare i dati sul reddito che, ancora una volta, negli exit poll non vengono indicati. Infine, malgrado non vi sia stato un aumento dell’affluenza alle urne tra i giovani (18-29 anni), questa è la categoria che più di tutte in proporzione ha punito il presidente uscente segnando una differenza tra Trump e Biden di ben 3 milioni di elettori, un’enormità.
Trump aveva battuto di misura la Clinton grazie alla reazione fredda per la candidatura di Hillary da parte degli afroamericani. Il presidente aveva fatto leva sul risentimento della classe operaia bianca e sulle paure delle aree suburbane, nel Midwest in particolare. Dopo quattro anni, la mobilitazione di massa degli afroamericani è stata determinante per la sua sconfitta in Pennsilvanya, Michigan e, incredibilmente, in Georgia. E un po’ come Kanye West il Presidente si è rivolto a un’élite afroamericana ricca per allontanare da sé l’accusa di razzismo. Nello stesso modo la sua politica disumana con i migranti ha costruito le condizione per la nascita di una sorta di Brown belt (California, Arizona, Nevada, Colorado, New Mexico) democratica contro di lui a cui ha provato a opporre un’élite latina in Texas e Florida. Infine, persa la classe operaia bianca e gli abitanti delle aree suburbane di quattro anni prima, ha ripiegato sul voto delle aree rurali che però hanno un peso specifico molto più basso delle metropoli che da mesi sono in rivolta. La coalizione costruita da Biden di contro è omnicomprensiva e ha segmenti dell’elettorato tradizionalmente repubblicano insieme alla sinistra socialista, agli antirazzisti e all’establishment tradizionalmente democratico.
La crisi economica negata e una sottovalutazione di Blacks Lives Matter è costata a Trump la presidenza. E a questo punto non possiamo neanche immaginare cos’altro.
*Nicola Carella è ingegnere e attivista. Dal 2012 vive a Berlino occupandosi di welfare, precarietà e cambiamenti macroeconomici.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.