Bloccare l’autostrada per viaggiare nel futuro
Da due mesi a Vienna le tende di centinaia di persone invadono due cantieri autostradali per fermare la costruzione di un tunnel sotto il parco del Lobau. Una lotta che mette in discussione un sistema incapace di fronteggiare la crisi climatica
Girando tra gli accampamenti – uno autorizzato, su suolo pubblico, e due illegali, all’interno dei cantieri – si vedono occhi determinati, sorrisi, voglia di fare e organizzarsi. L’autostrada non si costruirà, questa è la certezza che accomuna gli occupanti. Per bloccarne la realizzazione, le sezioni austriache di numerose organizzazioni internazionali – come Extinction Rebellion, Fridays for Future e Greenpeace– e una varietà di movimenti locali – come System change not climate change, il collettivo Jugendrat, l’iniziativa popolare Rettet die Lobau e il partito cittadino Links – hanno lasciato alle spalle le differenze unendo sforzi e risorse. In effetti, non si tratta solo di fermare un progetto assurdo e anacronistico, si tratta di proporre e costruire un’alternativa. «Questo è un posto liberato, un posto dove un mondo diverso sembra possibile: la notte, intorno al fuoco da campo, tra polvere e ruspe inattive, ci sentiamo come dei pionieri, esploratori di una realtà post-capitalista. Nonostante il freddo, ci si gonfia il cuore di speranza» ci dice Mod – nome in codice di uno degli occupanti. Molti, qui, sono giovani o giovanissimi, pieni di voglia di fare e terribilmente preoccupati a causa degli stravolgimenti climatici che potrebbero colpirli in prima persona; ma ci sono anche tante attiviste e attivisti più esperti, figlie e figli – e in alcuni casi madri – di decenni di lotte ambientaliste. Così il Lobau è diventato un terreno di scontro concreto per una battaglia dai contorni transnazionali, un catalizzatore di intenti che è riuscito a unire generazioni e istanze, un piccolo enorme tentativo di rinegoziare il presente e rivoluzionare il futuro.
Il parco nazionale del Lobau e il progetto del Tunnel
Il Lobau, una delle ultime pianure alluvionali del Danubio in Europa centrale, è una regione paludosa e boscosa di 2.300 ettari, parzialmente ubicata all’interno dei confini della città di Vienna e habitat naturale di numerosissime specie animali e vegetali. All’inizio degli anni Ottanta, il progetto di una gigantesca diga a monte della capitale austriaca mise a repentaglio l’intera area, ma le organizzazioni ambientaliste si mobilitarono, riuscirono a fermarne la realizzazione e ottennero addirittura, nel 1996, l’istituzione del parco nazionale del Donau-Auen a protezione del delicato ecosistema locale. Questa storia potrebbe finire qui – con un lieto fine per l’ambiente e per i viennesi, che adorano il parco – se non fosse per la posizione strategica che il Lobau ricopre per il trasporto cittadino. Non ci fu neanche il tempo di festeggiare, infatti, che la commissione Strategische Umweltprüfung für den Nordosten Wiens – Valutazione Strategica Ambientale per il Nord-Est di Vienna – in breve SUPer NOW, venne incaricata di trovare un modo di aggirare il parco e collegare così i raccordi di Vienna con l’aeroporto cittadino e le autostrade internazionali. È interessante scoprire – e illuminante a riguardo dei meccanismi di funzionamento della politica – che tra tutti i progetti allora proposti (più di una variante di tunnel e diversi percorsi di superficie) quello attuale fu valutato come il peggiore (in termini di inquinamento, impatto ambientale e progettazione urbanistica). Solo dopo lunghi anni di estenuanti trattative e accordi di comodo, la scelta ricadde infine su quest’ultimo, convenientemente situato nella terra di nessuno al confine tra i due stati federali di Vienna e della Bassa Austria. E mentre gli anni passavano la crisi climatica ha completamente cambiato quelle che dovrebbero essere le priorità dei nostri piani di mobilità.
Così, la compagnia di costruzioni Asfinag, titolare dell’appalto, si ritrova ora fra le mani un progetto vecchio di più di vent’anni ed estremamente complesso dal punto di vista politico e architettonico. Un progetto così complicato da gonfiare e quasi raddoppiare i preventivi iniziali – arrivando a sfiorare i due miliardi di euro di costo – e che prevede la realizzazione di ben due strade a scorrimento veloce e di un tunnel a sei corsie di più di otto chilometri di lunghezza. Tra i maggiori sostenitori del progetto c’è l’amministrazione cittadina dell’Spö – erede politico per-modo-di-dire dello storico Sdapö, il partito socialista che diede vita alla Vienna Rossa negli anni Venti e Trenta – che, nella persona del sindaco Michael Ludwig e tramite costose campagne pubblicitarie, promuove il tunnel come un’opera pubblica fondamentale per la diminuzione del traffico cittadino, che porterà diffusi benefici economici e consentirà un’espansione demografica sostenibile dei quartieri circostanti il parco. Ma, come detto, le criticità del progetto sono tante e così il Ministero federale per la protezione del clima e dell’ambiente, guidato da Leonor Gewessler del partito dei verdi austriaci (Die Grünen), ha avviato una procedura di valutazione che si esprimerà entro la fine dell’anno sul futuro dei cantieri.
Intanto, a fine agosto, centinaia di attiviste e attivisti hanno portato le loro tende a Hirschstetten, quartiere periferico nel ventiduesimo distretto e immediatamente al confine settentrionale del parco, fermando le ruspe dell’Asfinag e inaugurando quella che già da ora si prefigura come una lunga stagione di lotta.
Le occupazioni
«Tutto è iniziato verso Gennaio. Io studio a Graz, a un paio d’ore di macchina da qui, e da alcuni mesi stavo collaborando con la sezione locale di Fridays for Future. È stato allora che si è iniziato a parlare del Lobau e del tunnel autostradale. Tutti i movimenti ambientalisti e climatici austriaci si sono allineati improvvisamente, capendo in un lampo che questa sarebbe stata l’occasione di costruire un simbolo e un potenziale punto di svolta nella lotta alla crisi climatica in Austria», racconta Bogdan gesticolando appassionato. Poi c’è stata la «dichiarazione di guerra», lanciata in primavera contro il municipio di Vienna: Lena, un’attivista ventenne dello Jugendrat, ha dichiarato in un’intervista che se il progetto fosse stato messo in pratica sarebbe stata battaglia non violenta senza quartiere. Da allora è nato un fermento di idee e progetti. Passando per il Climate Camp organizzato a maggio nella capitale austriaca e con tutta l’estate a disposizione, i movimenti, i collettivi e le organizzazioni locali hanno avuto tutto il tempo per definire la strategia della protesta, organizzarne la logistica e consolidarne i contenuti.
In questo processo ci sono state due principali influenze: da una parte l’esperienza delle veterane e dei veterani che da quarant’anni lottano in difesa del Lobau, dall’altra il solido bagaglio metodologico, simbolico e concettuale maturato dalle tante lotte ambientaliste di stampo tedesco dell’ultimo decennio – prime fra tutte quelle portate avanti da Ende Gelände e l’ormai leggendaria occupazione della foresta di Hambach, che solo dopo otto anni è riuscita, l’anno scorso, a sottrarre definitivamente la foresta all’industria carbonifera. Il neonato movimento del Lobau Bleibt – Lobau resta – ha poi potuto attingere al vastissimo materiale raccolto dalle iniziative popolari contrarie alla costruzione del tunnel, messo insieme scartabellando tra progetti, preventivi, modelli predittivi del traffico e studi sugli impatti ambientali.
Parte del frutto di questo lavoro è raccolto nel manifesto delle occupazioni Die Lobauer Erklärung – La Dichiarazione del Lobau. «L’Austria – si legge – non è ancora riuscita a ottenere nemmeno una leggera riduzione delle emissioni di gas serra rispetto al livello già estremamente elevato del 1990» e nonostante il traffico automobilistico privato sia uno dei principali fattori di tale fallimento «questo comportamento dannoso per l’ambiente è incoraggiato con la costruzione di nuove autostrade». La dichiarazione mette anche in discussione la presunta efficacia del progetto nel contrastare la congestione urbana in quanto «gli studi sul traffico di Asfinag mostrano chiaramente che l’autostrada porterebbe invece a un traffico maggiore sulla totalità della rete stradale esistente», ne questiona la sicurezza dal punto di vista ecologico e ne critica le implicazioni sociali: «l’autostrada del Lobau è socialmente ingiusta. Invece di fornire mobilità pubblica a basso costo per tutti, incoraggia il trasporto automobilistico per pochi». Infine, in accordo con quello che ormai molti esperti sostengono, si propone «la vera soluzione al problema del traffico è l’implementazione di una gamma completa di mezzi pubblici attraenti […] e la creazione di più percorsi per andare in bicicletta e a piedi». Rivendicando quindi anche il diritto di vivere in una società più giusta, gli attivisti hanno infine coronato i lunghi mesi di preparazione con l’occupazione dei cantieri.
A inizio novembre i campi sono già diventati tre – qui li chiamano Grätzl, l’equivalente austriaco del nostro rione. C’è il Grätzl 1 – soprannominato Octopus Garden in onore di una buffa scultura creata dagli occupanti – il Grätzl 3, che è il primo stabilito in ordine cronologico e l’unico a trovarsi in una zona verde, e il Grätzl 4 – una distesa di ghiaia e sabbia di un chilometro quadrato, evocativamente soprannominato Die Wüste – il Deserto. L’inverno non spaventa gli occupanti, che si preparano a restare a oltranza. Non solo: tra una campagna di volantinaggio e un evento per incontrare la cittadinanza, qui si guarda al futuro e si stanno organizzando, per fine novembre, delle grosse azioni di disobbedienza civile in tutta l’area della capitale austriaca.
Vita al campo
Tra persone che vengono ad aiutare per un pomeriggio, signori che passano per donare una torta fatta in casa e occupanti che dormono in tenda quasi ogni notte da due mesi, i campi scoppiano di attività. Si organizzano concerti e tornei di calcetto, orti condivisi e brunch comunitari. Tre o quattro sere a settimana ci si ritrova per partecipare alla Lobau Akademie, un’ottima occasione per affilare le lame ideologiche della protesta ascoltando lezioni tenute da accademiche e attivisti (nell’organizzazione di questa scuola di formazione alternativa è stato fondamentale l’apporto dei docenti della WU Vienna, dove il master Socio-Ecological Economics and Policies si concentra anche su ecosocialismo e decrescita). Ogni mattina, nei Grätzl, la divisione dei compiti è decisa nelle rispettive plenarie (nelle quali è sempre adottato un linguaggio inclusivo).
Quando visitiamo il Deserto, una musicista e attivista viennese improvvisa un concerto in pausa pranzo dal tetto di una ruspa. Si chiama Carol e nel pomeriggio la troviamo impegnata a piantare tra le tende alcune erbe e cespugli provenienti dal suo giardino: «Credo che a casa mia, una volta che me ne sarò andata, le lasceranno morire. Invece per il Lobau mi sembrano perfette. Una bella metafora, non trovi?». Poi aiutiamo Sam (uno studente di urbanistica di non più di venticinque anni) a interrare un pallet che farà parte delle fondamenta di una piramide di legno, a tre piani, con tanto di ballatoio di sorveglianza: «Sarebbe bello se fossimo tanti di più qui, centinaia: questa piramide sarebbe finita in un giorno! – ride lui – però te lo immagini che bello questo posto tra quindici anni? Tutto verde e pieno di casette e parchi giochi per i nostri figli, così lo faremo». Uno dei problemi principali per gli occupanti è il clima avverso: freddo, pioggia, neve e vento possono rendere la vita ai campi un inferno. Paul però non è troppo preoccupato: «La neve! – ride – qui a Vienna non nevica più a causa del riscaldamento globale. Una volta faceva anche un metro di neve e allora via di slittino, ma ormai se fa qualche centimetro già è tanto. Farà freddo si, ma per questo ci stiamo preparando» ci racconta, indicando sorridente una pila di imbottiture per tende che sta cucendo con ago e filo accompagnato dalla musica tecno del suo telefonino. Sugli alberi del Grätzl 3, invece, iniziano a sorgere le prime casette di legno proprio come nella foresta di Hambach e a pochi metri da un cartellone che ne ricorda l’occupazione. Serviranno per ripararsi dal freddo ma anche come castelli di difesa contro un eventuale sgombero della polizia.
Una protesta trasversale… ma ancora troppo isolata
Un altro degli aspetti che più colpisce entrando in contatto con il movimento Lobau Bleibt è la sua profonda consapevolezza e maturità politica. Le e gli occupanti combattono contro questo specifico progetto per creare un precedente. Sanno che questo potrebbe essere un punto di svolta per l’intera politica austriaca sulla mobilità. Nella chiamata pubblica per le azioni di disobbedienza civile di fine novembre, infatti, si legge: «Così come Zwettendorf [prima centrale nucleare austriaca, mai messa in funzione in seguito di un referendum del 1978, Ndr] ha sancito la fine del nucleare, prevenire la costruzione dell’autostrada del Lobau sancirà la fine della costruzione di autostrade in tutta l’Austria». Le attiviste e gli attivisti individuano inoltre le cause strutturali di questo progetto nella natura estrattiva e colonialista del capitalismo. «È tutto collegato: dallo sfruttamento delle risorse a quello delle persone, dalla deumanizzazione degli individui vittima di oppressione – razziale, di genere, di orientamento sessuale o socio-economica – alla disgregazione della dimensione di cura e collettività. Questa è una società che ci mette gli uni contro gli altri e poi sfrutta l’individualismo dominante costringendoci a una corsa perpetua al consumo. Per questo, qui, manifestando per la difesa dell’ambiente, non possiamo dimenticarci delle oppressioni che, come donne, abbiamo subito per millenni, o che questi progetti vengono portati avanti sulla base dello sfruttamento colonialista del sud del mondo», ci dice Nina, attivista di un collettivo femminista viennese che supporta la protesta.
Questa profonda comprensione delle intersezioni e interrelazioni dei diversi fenomeni oppressivi è manifestata dagli occupanti anche nei fatti. In primis nella gestione degli accampamenti, dove, come abbiamo visto, la cura – nel suo senso più ampio – e il concetto di bene comune sono principi fondanti della quotidianità. Ma anche nelle relazioni con l’esterno, come testimonia il lancio di un’iniziativa di raccolta fondi per gli operai dei cantieri occupati, le cui paghe sono state sospese dal momento del cessate i lavori: «La giustizia climatica e quella sociale sono legate inestricabilmente. La protezione climatica non può essere perseguita sulla pelle dei lavoratori!», si legge nel comunicato di solidarietà. Questo atteggiamento – insieme allo sforzo di stabilire e mantenere un dialogo con i cittadini di Hirschstetten e tutta la popolazione della capitale austriaca – ha permesso al movimento Lobau Bleibt di avere un solido appoggio della cittadinanza. Ciononostante, la sensazione è che ancora si fallisca in uno dei compiti fondamentali di ogni movimento: coinvolgere quelle frange di popolazione che più saranno investite dalle discutibili scelte della classe politica. Una persona su due, a Vienna, di fatto ancora neanche sa esattamente cosa sta succedendo al Lobau. In un contesto in cui l’individualismo della società neoliberista e i suoi meccanismi lavorativi e consumistici finiscono quasi sempre per vanificare a monte ogni possibile sollevamento delle maggioranze, c’è bisogno di sforzarsi ancora più intensamente per riuscire a confluire unitariamente in un’unica lotta di liberazione.
Alles für alle – tutto per tutt*
Se lo scorso decennio – iniziato sulle macerie della crisi economica del 2008 e culminato con l’inizio della crisi pandemica – ci ha progressivamente disvelato tutta la fragilità e mostruosità del sistema neoliberista, quello appena iniziato si delinea come cruciale per il futuro del nostro pianeta e della nostra civiltà. Le istituzioni appaiono ogni giorno più distanti dai bisogni dei cittadini, l’opinione pubblica sempre più polarizzata e la minaccia della catastrofe climatica sempre più concreta. In questo contesto esplosivo, su scala globale, i movimenti climatici hanno preso le redini dell’opposizione al sistema, rendendosi sempre più conto dell’importanza di metterlo in discussione in modo radicale e trasformativo.
Come previde Mark Fischer in Realismo capitalista, la questione climatica potrebbe configurarsi come la leva fondamentale per superare l’ideologia neoliberista e riappropriarci della lotta politica. Ma ciò sarà possibile solo se si riusciranno a unire le istanze di giustizia climatica a quelle di giustizia sociale (adottando allo stesso tempo una prospettiva femminista, antirazzista e inclusiva). La liberazione arriverà per tutte e tutti o per nessuno. Da questo punto di vista, l’esempio specifico del movimento Lobau Bleibt è estremamente prezioso (come anche quello del movimento No Tav e di tante altre simili realtà). Già il crudo lottare delle attiviste e attivisti austriaci, in sé, si configura come una rinegoziazione immediata del presente, che sposta i confini tra il possibile e l’impossibile. «Alles fur alle!» – tutto per tutt*! – si legge su uno striscione scritto a mano in mezzo al Deserto.
*Dario Feliciangeli vive a Vienna, dove ha conseguito un dottorato in fisica matematica presso l’Institute of Science and Technology Austria. È membro del collettivo Piko e dell’associazione Degrowth Vienna.
Credit foto: #lobaubleibt
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