Cornel West: «Fermiamo la mercificazione della vita»
Il filosofo e attivista afroamericano parla di elezioni presidenziali, del rapporto tra spiritualità e materialismo e della necessità di combattere il capitalismo per preservare la specie
Cornel West è una delle voci più eloquenti e provocatorie della sinistra americana. Ricercatore alla Harvard Divinity School, ha iniziato la sua vita politica tra i tumulti del movimento per i diritti civili, diventando un cristiano radicale, poi socialista e alleato del Black Panther Party.
Ma la sua storia va oltre la sua carriera accademica come filosofo o il suo percorso politico a sinistra: è stato impegnato nella cultura, dalle collaborazioni musicali con Prince e Talib Kweli a un’apparizione nella serie The Matrix. Ha condotto numerosi programmi radiofonici e ora un podcast, The Tight Rope, con Tricia Rose.
In questa recente conversazione con Grace Blakeley per il suo podcast A World to Win, Cornel West discute delle elezioni presidenziali statunitensi, del movimento Black Lives Matter e dell’importanza della spiritualità per la politica radicale.
Hai detto in una recente intervista, «con il gangster neofascista alla Casa Bianca, dobbiamo essere parte di una coalizione antifascista». Pensi che una coalizione anti-Trump possa avere successo? E pensi che una presidenza Biden porterà qualcosa che si avvicini al cambiamento di cui gli Stati uniti hanno bisogno in questo momento?
Dobbiamo essere coerenti nella nostra critica all’impero, al capitalismo, al patriarcato, all’omofobia, alla transfobia e alla supremazia maschile e alla supremazia bianca. Lo facciamo mantenendo la nostra integrità intellettuale e il nostro coraggio politico: dire la verità su Donald Trump, il neofascista, il gangster, i suoi collaboratori e fiancheggiatori. Sta spingendo il paese verso il vero fascismo: il totale disprezzo della legge, il governo dei grandi militari, il governo dei grandi capitali, Wall Street e la Silicon Valley. Sta schiacciando i lavoratori, emarginando le donne, utilizzando come capri espiatori messicani, musulmani, ebrei e neri, latinos e indigeni.
Ora, penso che con Biden hai qualcuno che può fermare la rapida discesa verso il fascismo americano. Ciò è molto importante, anche se il suo governo neoliberista sarà ancora legato a Wall Street, al capitale, al militarismo, ad Africom, a politiche profondamente reazionarie in Medio Oriente con Netanyahu e così via. Non vogliamo mentire su Biden. Non vogliamo farci alcuna illusione, semplicemente perché ci troviamo di fronte a un orribile Frankenstein fascista come Trump. Quindi siamo tra l’incudine e il martello, cioè la situazione in cui la sinistra si è trovata spesso negli ultimi cinquant’anni.
Un recente sondaggio della Cnn mostra che il supporto per il movimento Black Lives Matter è calato da giugno. La maggioranza sostiene ancora la protesta al 55%, ma è in calo rispetto al 67% di giugno. Ti preoccupa? C’è un modo in cui pensi che possiamo invertire la tendenza, o tutto questo sia frutto della strategia di Trump?
Penso che sia frutto della strategia di Trump. C’è stato un attacco diffuso al movimento Black Lives Matter per rappresentarlo come un movimento terroristico, un movimento di odio. Questo è un segno di successo. Ciò significa che in realtà costituisci una minaccia sostanziale allo status quo, non solo per la polizia che usa il suo potere per uccidere la gente, ma si collega a una critica del potere di Wall Street e dei crimini di Wall Street, a una critica al potere del Pentagono e ai crimini del Pentagono. In questo senso, l’intensità dell’attacco che subisci è misura di quanto minacci lo status quo. Penso che sia proprio questo il punto. Dobbiamo contrastare queste bugie con delle verità e creare una sorta di movimento, istituzioni, riviste e individui che si schierino dalla stessa parte.
Mi interessa la tua opinione sulla pandemia. C’è un sondaggio condotto da Npr che mostra che la pandemia sta allargando la disuguaglianza razziale. Il 60% delle famiglie nere, il 72% delle famiglie latine e il 55% delle famiglie native statunitensi hanno dovuto affrontare seri problemi finanziari dall’inizio della pandemia contro quasi il 36% delle famiglie bianche. Sappiamo che disoccupazione, sfratti e anche l’effettivo peso della malattia sono tutti sentiti più duramente dai neri e dai latinoamericani. Dunque, come possono organizzarsi le persone per uscire da questa crisi profonda e pervasiva?
Ecco perché abbiamo bisogno di una critica del sistema, e di visioni e modi di essere alternativi che sostengano la nostra resilienza di fronte al sistema. Finché abbiamo problemi isolati, finché restiamo nei nostri silos e nei nostri rispettivi spazi senza solidarietà, non abbiamo alcuna possibilità.
È facile feticizzare la razza o il genere come identità e non collegare quell’identità alla critica di un sistema capitalista predatorio, critica che ci permetterebbe di riconoscere il grado di solidarietà che dobbiamo avere con i lavoratori e le persone povere. Non dobbiamo isolare le identità perdendo di vista l’integrità e la coerenza della nostra critica al capitalismo predatore.
Hai avuto una vita e una carriera incredibili e di ampio respiro come filosofo, attivista, intellettuale pubblico, artista e figura morale per la società statunitense. Ovviamente hai trascorso la tua carriera di scrittore in accademia, studiando e insegnando filosofia e teologia. Cosa ti ha spinto a studiare quelle grandi idee, per cominciare?
Vengo da una famiglia occidentale molto amorevole. Il più grande onore che abbia mai avuto è stato essere il secondo figlio di Irene e Clifton. Non sarò mai l’essere umano che era mio padre, è morto ventisei anni fa. Mia madre è ancora viva, ha ottantotto anni e una scuola elementare intitolata a lei. Lei e papà hanno davvero fornito così tanto amore e sostegno; mi ha liberato, perché da piccolo sono stato un gangster. Picchiavo le persone. Sono stato cacciato dalla scuola per aver picchiato un ragazzo rifiutandomi di salutare la bandiera. Il mio pro zio era stato linciato e venne avvolto nella bandiera, quindi ho associato quella bandiera a qualcosa di molto brutto e corrotto.
Ma quando ho intrapreso la mia crescita intellettuale, ero radicato sia nella chiesa – mi sono sempre considerato un cristiano rivoluzionario, nell’eredità di Martin Luther King e Fannie Lou Hamer – e ho lavorato a stretto contatto con il Black Panther Party. Quindi criticavo già il capitalismo, l’impero, l’omofobia e il patriarcato, perché è di questo che discutevamo nel quartier generale delle Pantere nere.
Insegnavo nel Breakfast Program. Insegnavo nel penitenziario Norfolk Prison, dove si trovava Malcolm X. Non avrei mai potuto iscrivermi al partito perché ero cristiano e loro erano profondamente laici. Andava bene così. Avevano forti critiche alla chiesa, posso capirlo. Ma avevo la mia idea di Dio e Gesù, della lotta e della rivoluzione. Quindi siamo rimasti molto vicini, ma non ho potuto aderire.
Quando sono andato al college, sono stato esposto a una magnifica ondata di idee e di vita. Mi sono innamorato di tanti giganti intellettuali: Karl Marx, William Morris, William Hazlitt, Virginia Woolf, Raymond Williams e poi Edward Said. Tutte queste persone hanno significato molto per me.
Facevo parte dell’accademia, quindi studiavo con John Rawls e Hilary Putnam e Stanley Cavell e Martha Nussbaum e Martin Kilson e Preston Williams, e poi a Princeton con Richard Rorty e Sheldon Wolin. Erano figure imponenti che mi hanno aperto la vita intellettuale e hanno distrutto gran parte del mio minimalismo. Sono sempre rimasto una specie di nero libero amante di Gesù, preoccupato per i poveri e i lavoratori. Ma sono entrato in un dibattito più ampio.
C. L. R. James e Du Bois e Nkrumah e altri, e Nandy e Ambedkar in India, Sister Roy in India. Mi stavo divertendo molto. Mi piace la vita della mente, ma cerco sempre di usarla come un’arma per potenziare e nobilitare le persone vulnerabili, non importa chi siano.
Credo che ci siano molti elementi eterogenei nella Bibbia ebraica riguardo il genocidio e il patriarcato che dobbiamo tenere a debita distanza. Ma c’è il concetto di «chesed». Ossia che la forma più elevata dell’essere umano è diffondere gentilezza e amore costante all’orfano, alla vedova, alla madre, all’oppresso. E così ho sempre creduto che se volevo far parte di ciò di cui Mosè era preoccupato, ossia l’emancipazione e la liberazione, dovevo fare una profonda critica non solo del Faraone, ma del sistema che teneva il Faraone al suo posto.
Ecco perché non sono mai stato affascinato dalle piramidi, perché i lavoratori e i poveri non avrebbero mai potuto essere sepolti lì dentro. Potevano costruire le piramidi, ma non potevano mai essere seppelliti al loro interno. Sono avverso ai Faraoni, qualunque sia il loro colore e il loro sesso. Anche quando produce magnifici edifici tecnologici, se guardi veramente il sistema, dici: «No, sto con i poveri, con i lavoratori che hanno costruito le piramidi». Con coloro che vengono sempre respinti, dimenticati, resi invisibili. Ecco con chi sono solidale.
L’ho imparato per la prima volta in modo serio dalle scritture ebraiche: essere solidale con gli oppressi. Allo stesso modo Gesù entra in città scacciando i cambiavalute. Chi sono i cambiavalute nell’impero americano? Wall Street, il Pentagono, la Casa Bianca, il Congresso, Hollywood, tutti nello stesso posto. Harvard, Yale, Princeton, tutti nello stesso posto. Gesù li scacciò tutti. E questo è il motivo per cui è stato messo su una croce e crocifisso dal più potente impero dell’epoca.
È quella che io chiamo la scintilla profetica della scrittura ebraica; da Gesù, Maometto fino a Malcolm X, per esempio. Anche molti dei miei fratelli e sorelle laici, che amo molto, dovrebbero riconoscere che la loro profonda solidarietà con i popoli oppressi, una volta demitizzate le storie, deriva da questo amore, cura, preoccupazione per i vulnerabili che è stato portato all’interno di queste istituzioni religiose, anche se quelle stesse istituzioni religiose tendevano a violarlo. Ciò che ha scritto R. H. Tawney, in The Acquisitive Society, Equality e in Religion and the Rise of Capitalism è sempre stato un mio punto di riferimento.
Ciò mi trova d’accordo. Mi considero cristiana e socialista. Tony Benn è uno dei miei grandi eroi. Sono convinta che non si possa ottenere una trasformazione sociale collettiva senza una qualche forma di trasformazione spirituale, qualunque sia la religione o la spiritualità da cui proviene.
Bisogna essere onesti su questo perché uno dei modi in cui il capitalismo si riproduce è la mercificazione di tutti e di tutto – creare quegli uomini vuoti di cui parlava TS Eliot, creature moralmente e spiritualmente vuote, il cui senso di essere al mondo deve essere stimolato dal bombardamento delle merci. Non hanno risorse per valori non di mercato, come l’amore profondo, la giustizia, la solidarietà, il servizio per il prossimo, il correre il rischio di essere al servizio degli altri, stare insieme, non al di sopra, ma al fianco degli altri.
E, naturalmente, Martin Luther King, lui stesso socialista democratico è per me un altro grande esempio. Ce ne sono così tanti. Reinhold Niebuhr, che scrisse Moral Man and Immoral Society, era un socialista democratico. Esiste una corrente di persone che ha svolto un ruolo importante nel tentativo di mantenere vivo un senso di profondo amore e giustizia. Ma anche di amore per la bellezza.
Vengo da un popolo la cui forma predominante di spiritualità – dopo 244 anni della più barbara schiavitù moderna in cui non potevi imparare a leggere o scrivere, non potevi pregare Dio senza la supervisione dei bianchi, e in cui lo schiavo medio moriva a ventisei anni – era l’amore per il bello. Schiarivi la voce, ti allontanavi furtivamente di notte, tenendoti per mano. E cantavi bellissime canzoni, Swing Low, Sweet Chariot e Wade in the Water, God Go Trouble the Water.
Non era solo folle, era artistico. Era un modo per aggrapparsi a qualcosa di bello di fronte al terrore e al trauma. Il genere di cose che Rainer Maria Rilke ci ricorda nelle sue poesie, il modo in cui la bellezza diventa essa stessa una fonte di resilienza di fronte al terrore e al trauma che vengono istituzionalizzati decennio dopo decennio, così che la musica diventa fondamentale nella tua vita. Le arti in generale diventano fondamentali. Il legame tra l’amore per la verità e l’amore per la bellezza e l’amore per la giustizia e, per me, l’amore di Dio, sono tutti intrecciati.
Sostieni la teoria secondo cui in ogni concetto o schieramento contenga il seme del suo opposto. Lo vedi, ovviamente, in molte religioni. Sicuramente all’inizio del cristianesimo. Ma anche nel socialismo e nelle sue analisi del capitalismo, che postulano che il capitalismo è pieno di contraddizioni che alla fine porteranno alla sua stessa distruzione.
Karl Marx divenne uno dei grandi profeti del diciannovesimo secolo perché non aveva solo una preoccupazione per la sofferenza, ma nella sua Critica dell’economia politica avanzava un’analisi di quali strutture sul posto di lavoro creano rapporti asimmetrici di potere tra padroni e lavoratori, capitale e lavoro; creano la lotta, la lotta di classe, la tensione di classe, il conflitto di classe.
Qui Marx è molto vicino al migliore dei romantici, vuole che l’individualità si sviluppi e fiorisca. Pensa alla sua meravigliosa descrizione ne L’ideologia tedesca. Non sopporta la specializzazione, la burocratizzazione, il dominio sui lavoratori comuni. Crede che le loro vite abbiano lo stesso valore della vita di chiunque altro. È una sensibilità democratica radicale che va controcorrente.
Marx ed Engels erano in fuga dalle classi dominanti che li braccavano. Adesso stiamo vivendo un momento di contraddizioni: la catastrofe ecologica, le catastrofi economiche. Le contraddizioni possono essere regionali, come nell’Ue. O essere legate allo stato nazione. Possono essere regioni all’interno di uno stesso stato nazione. Sono tutte forme di dominio del capitale sul lavoro. E sono attraversate da varie forme di patriarcato e pratiche suprematiste bianche.
In The Age of Empire, il fratello Eric Hobsbawm ci ha ricordato cos’è l’imperialismo. L’impero americano e quello sovietico emersero dopo il 1945 con il decentramento e, nel tempo, il completo indebolimento dell’Impero britannico, l’impero sul quale il sole non tramontava mai. Chi avrebbe mai pensato che quell’impero sarebbe finito? Tutti pensavano che sarebbe andato sempre avanti. Hanno pensato per un po’ la stessa cosa anche i portoghesi e gli spagnoli.
Ebbene, ora l’impero americano sta attraversando il suo declino. Bisogna essere in grado di tenere traccia dei modi in cui il capitalismo predatorio attraversa queste unità imperiali e stati nazionali e questi regimi e organizzazioni regionali, e anche come filtra in ogni angolo dei nostri cuori, menti e anime. Come crea il modo mercificato di guardare il mondo, la manipolazione, il dominio, l’eccitazione e la preoccupazione per le transazioni economiche piuttosto che per la vita in comune. È quasi Martin Buber, I-Thou contro I-It. Quel Io-Tu di cui Marx era preoccupato nei manoscritti del 1844. Come fai a trascendere queste forme di alienazione sul posto di lavoro, alienazione delle specie, alienazione personale? Sono nozioni ricche e indispensabili per qualsiasi discorso serio sull’emancipazione delle persone comuni in un momento in cui l’avidità sta solo impazzendo nelle sue forme istituzionali e strutturali.
Hai menzionato l’impero statunitense. Quali sono secondo te le implicazioni del ruolo imperiale dell’America nel sistema capitalista nella struttura della società statunitense?
Il reverendo Martin Luther King diceva: «Quando sganci bombe sul Vietnam, cadono anche nei ghetti in America». Cadono anche sui bianchi poveri in Appalachia. Cadono nei barrios dei nostri fratelli e sorelle di lingua spagnola. Cadono nelle riserve dei nostri preziosi fratelli e sorelle indigeni. Esiste una connessione diretta tra il militarismo all’estero e la mancanza di risorse per il lavoro, l’alloggio, l’assistenza sanitaria, l’istruzione e così con la militarizzazione del contesto nazionale.
Questo è anche il caso della polizia. La polizia è sempre stata una grande minaccia contro le persone vulnerabili, in particolare i neri, ma la militarizzazione totale è avvenuta sotto il governo neoliberista, quando i dipartimenti di polizia hanno cominciato ad assomigliare sempre più a unità militari a Baghdad. Ti impegni per un reato e ottieni una risposta militarista.
Pensa a Breonna Taylor: nel cuore della notte, entrano sbattendo la sua porta come se fosse un membro della mafia e avesse commesso un crimine, come se avesse effettivamente ucciso qualcuno. Cominciano cercando una bustina di droga e finiscono per ucciderla senza motivo. C’è una connessione diretta tra la politica estera, che è una dinamica imperiale, e la politica interna, che è guidata dalle multinazionali.
Il risultato, ovviamente, è una classe lavoratrice altamente impoverita. Il culmine è il bombardamento spirituale che colpisce i lavoratori e i loro figli perché aderiscono a valori non di mercato come l’intimità e la vulnerabilità. Devi sempre essere duro e disposto ad assumere una postura come se fossi pronto a combattere ogni secondo, perché l’obiettivo è la sopravvivenza dei più scaltri.
È quasi peggio del darwinismo sociale, in cui si teorizza la sopravvivenza del più adatto per dirla con Herbert Spencer, perché la sopravvivenza del più scaltro è davvero l’amplificazione di Trasimaco nella Repubblica di Platone. Tutto si risolve con l’idea che «il potere ha ragione». Che «l’avidità fa bene». Tutto è «dominio e manipolazione». Ciò ha a che fare con la tristezza del nostro mondo. Fa parte dell’oscurità gelida che Weber ha visto nei suoi scritti. Guardò fuori, non vide solo disincanto. Descrisse un’oscurità gelida che si espandeva con la combinazione di mercificazione, burocratizzazione, oggettivazione e dominio, che insieme creano questa gabbia di ferro per la specie.
Ho chiesto a [Noam] Chomsky l’altro giorno – abbiamo avuto un dialogo meraviglioso al Progressive International – «Cosa ci fa pensare che noi come specie abbiamo la capacità di evitare l’autodistruzione? Cosa ci fa pensare che la gente comune abbia la capacità di determinare il proprio destino, in una visione democratica radicale?». Sono domande speculative, ma sono i nostri scheletri nell’armadio. La conclusione è stata: «Be’, non lo sappiamo davvero». Guarda i precedenti storici. È una storia di crimini, follie e avidità, ma è anche una storia di resistenza a tutto questo. Proprio perché possiamo porre queste domande, diventiamo più forti, diventiamo più dediti, diventiamo più pronti a fare in modo che noi in quanto specie possiamo evitare l’autodistruzione.
Come esseri umani possiamo governarci sul posto di lavoro. Non abbiamo bisogno dei padroni. Possiamo avere consigli dei lavoratori. Una deliberazione democratica. Possiamo avere culture democratiche in cui impariamo gli uni dagli altri come se avessimo jazz e hip hop da una parte, flamenco e rebetiko dall’altra; o le canzoni folk che hanno commosso William Wordsworth nei suoi primi anni radicali e Robert Burns in Scozia. Non siamo nemmeno arrivati agli irlandesi. Ma bisogna avere quel tipo di incontro umano profondo che non omogeneizza le nostre specificità, ma usa le nostre differenze come un modo per approfondire la comunione e la comunità, piuttosto che approfondire il dominio e la subordinazione.
Ci viene propinata un’idea di democrazia rappresentativa che sta sempre accanto al capitalismo. Hai la democrazia nel regno della politica, ma devi avere mercati liberi nel regno dell’economia: sono cose separate e non si incontreranno mai.
E lì vedi l’ipocrisia. Perché i liberali vengono e dicono: «Siamo molto preoccupati per la concentrazione del potere all’interno della sfera politica. Abbiamo avuto monarchi, re e regine. Dobbiamo avere diritti e libertà. Dobbiamo avere l’uguaglianza sotto la legge».
Ebbene, che dire della concentrazione del potere nell’economia? Con gli oligarchi, i monopoli, gli oligopoli? Sono altrettanto dittatoriali. Quindi sì, siamo con i liberali nel senso che ci assicuriamo di non avere re e regine e un potere incontrollabile in campo politico. Ma ci ritroviamo con entità simili ai re nell’economia, a livello globale, nazionale e regionale.
Quindi si può dire ai liberali: «Oh, non siete seri riguardo alla libertà. Volete la libertà per pochi. Pensavo credeste davvero nell’universalità. Volete la selezione di classe». Sarebbe vero anche in termini di genere e razza. Marx e gli altri che hanno fatto questa critica sono voci indispensabili.
Pensi che la democrazia possa essere un’arma contro il capitalismo? Pensi che approfondendo la democrazia, sia che si parli di partiti politici che delle nostre istituzioni sociali, economiche, dei nostri luoghi di lavoro, delle nostre comunità, si possa iniziare a erodere effettivamente il potere sulle nostre vite di quei monopoli, oligopoli, di banchieri, politici e classe dirigente?
Vengo da un popolo di colore il cui inno è «Alziamo le voci». Alziamo le voci. E se riuscissimo a far pesare la voce di quelle che Sly Stone chiama Everyday People in tutti i processi decisionali e nelle istituzioni che guidano e regolano le loro vite, quelle voci non sceglierebbero la povertà. Non sceglierebbero scuole decrepite. Non sceglierebbero la mancanza di assistenza sanitaria. Non sceglierebbero case infestate dai topi.
La democrazia dal basso prende sul serio quelle voci mentre lottano con la miseria e la sofferenza sociali, e permette loro di plasmare i loro destini in modo tale che i loro figli possano essere in grado di frequentare scuole di qualità come i figli della classe dirigente. Che le loro madri e padri possano avere assistenza sanitaria come le élite del potere. La democrazia dal basso è una minaccia per qualsiasi potere gerarchico, sia nella sfera politica che in quella economica.
È qui che il gioco si fa serio, entra in gioco la grande accusa di Eugene O Neill contro la civiltà capitalista americana, nella più grande commedia mai scritta negli Stati uniti, The Iceman Cometh. Era un anarchico come il mio caro fratello Chomsky. Ma sosteneva, come Dostoevskij, che la maggior parte degli esseri umani avrebbe preferito l’avidità alla libertà, che avrebbe scelto anche la possibilità di unirsi con gli avidi al potere piuttosto che arrischiarsi a solidarizzare con i poveri, perché sembra troppo difficile. È più facile pensare che in qualche modo potrai diventare il prossimo Bill Gates o Rockefeller.
Questo è stato il progetto americano, la sua forma di individualismo. Ma lui e Dostoevskij, ovviamente, criticano la specie umana. Credono, infatti, che noi esseri umani preferiremmo scegliere l’autorità piuttosto che la libertà. Che preferiamo seguire il pifferaio magico piuttosto che organizzarci e gestire in prima persona i nostri luoghi di lavoro. Parte del progetto democratico radicale è mostrare che hanno torto. Ma non ci sono dubbi che sia una battaglia difficile.
*Cornel West insegna filosofia alla Harvard Divinity School, attivista politico e co-conduttore del podcast The Tight Rope. Tra le sue pubblicazioni Race Matters e Democracy Matters. Grace Blakeley scrive per Tribune ed è autrice di Stolen: How to Save the World from Financialisation.
Per supportare il podcast settimanale di TribuneA World to Win condotto da Grace Blakeley clicca qui. Questo articolo è uscito su Jacobinmag.com. La traduzione è a cura della redazione.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.