Dsa, la novità socialista nel Midterm
Nelle elezioni statunitensi di metà mandato verrano elette due candidate socialiste al Congresso. Il loro successo si spiega anche con il ruolo e la crescita dei Democratic Socialists of America
Il 6 novembre gli Stati uniti d’America andranno alle urne per le elezioni midterm. Queste elezioni, così chiamate perché si tengono a metà del mandato presidenziale, sono spesso considerate un referendum sull’azione del presidente in carica. Nel 2010, a due anni dalla prima vittoria di Obama, il Partito repubblicano ha stravinto le midterm, ottenendo la maggioranza nella Camera dei Rappresentanti, la camera bassa del Congresso. Questa sconfitta per il Partito democratico ha avuto degli effetti duraturi sugli altri sei anni della presidenza Obama.
I democratici possono sperare in una simile svolta vittoriosa questo novembre? I sondaggi indicano l’85% di possibilità che i democratici prendano il controllo della Camera. Le elezioni per il Senato invece favoriscono candidati più conservatori a causa della distribuzione dei seggi tra gli stati (quelli piccoli e rurali sono sovrarappresentati).
Se i sondaggi prevedono un’”ondata blu” per il Partito democratico (ma gli istituti d’opinione non hanno saputo prevedere la vittoria di Trump nel 2016) l’interesse di queste elezioni non si deve soltanto all’opposizione tra i due partiti tradizionali. Nel voto del 6 novembre c’è anche la possibilità che i socialisti democratici raggiungano un’apice storico, facendo eleggere candidati molto diversi dal mainstream Democratico. Ma chi sono, e cos’è il Democratic Socialists of America?
Ostacolati
Far eleggere i candidati socialisti non è mai stato un compito facile. Un retaggio della nascita degli Stati Uniti d’America, da colonie separate a un’unione di stati, attraverso la rivoluzione borghese dell’Ottocento e la guerra civile di 1861-65, è che ogni stato gestisce le proprie elezioni dentro gli ampi limiti concessi dal governo federale e dalla Costituzione. In termini pratici, ciò permette agli stati dominati dai repubblicani di imporre una serie di regole per privare gli elettori del loro diritto di voto. Le radici di tali regole rinviano al “Jim Crow”, cioè al sistema razzista usato per lo più dagli Stati del Sud per rafforzare la sottomissione razziale contro i neri dopo la Guerra Civile. Include tasse di partecipazione al voto e test di alfabetizzazione. Sebbene sia stato stabilito che queste regole non siano consentite dalla Costituzione, ci sono ancora molti limiti sulla partecipazione elettorale delle minoranze etniche e della popolazione a basso reddito.
Il giorno delle elezioni (è sempre un martedì) è, per quasi tutti, un giorno lavorativo. La maggior parte degli stati richiede agli elettori di mostrare l’identificazione fotografica convalidata dallo stato prima di poter votare. In molti luoghi i criminali non possono votare anche a condanna scontata (e anch’essa è una discriminazione razziale). Perché queste regole? Perché i repubblicani sanno che se queste fasce di popolazione votano di meno è più probabile che vincano.
Questa tattica ha sempre avuto un effetto importante sull’affluenza alle urne. Nel 2014 solo il 36,4% degli elettori aventi diritto ha votato. L’affluenza è particolarmente bassa tra i giovani. Altri fattori che contribuiscono alla bassa partecipazione al voto sono i distretti “gerrymandered”, cioè i confini delle circoscrizioni tracciati dai governi statali che cercano di frammentare il voto urbano e operaio in modo tale da indebolirne il peso.
Ma la vera causa della bassa affluenza alle urne è che molte persone non capiscono perché valga la pena votare. Dopo essere stati fottuti dalle politiche di tutti e due i principali partiti, non capiscono perché sia importante far eleggere un milionario anziché un altro.
Due partiti dominano tutte le elezioni degli Stati Uniti e le leggi elettorali rappresentano un ostacolo significativo per qualsiasi terzo partito, che spesso non ha il diritto di stare sulla scheda elettorale. Il Partiti democratico e il Partito repubblicano possono avere coalizioni non ufficiali al loro interno, ma sono comunque molto più coesi delle coalizioni italiane. Ogni partito ha un solo leader e una sola piattaforma. Con solo due scelte praticabili non c’è da meravigliarsi che molti americani scelgano il terza: “Chi se ne frega!”.
L’affluenza alle urne quest’anno dovrebbe essere più alta del 2014, e molte persone prevedono un’”ondata blu”, vale a dire una vittoria del Partito democratico. Si prevede che la profonda impopolarità di Trump tra la base dem spinga le donne e i giovani alle urne. Ma cosa offrono i democratici? Non possono essere sicuri che il loro slogan non ufficiale, “almeno noi non siamo Trump” motivi la base e nemmeno i militanti che devono fare campagna per “get out the vote” (far votare gli elettori). Ma i messaggi deboli dell’establishment democratico offrono un’opportunità per i socialisti che possono esprimere orgogliosamente il loro atteggiamento nella difesa dei diritti del lavoro, femminista e ambientalista.
Il risorgere del socialismo democratico
I socialisti si sono sempre scontrati tra l’importanza di lavorare dentro il sistema attuale e il lavoro per smantellare il sistema. La più grande organizzazione di sinistra negli Usa è il Democratic Socialists of America, o Dsa. I Dsa sono un’organizzazione di “chapters” liberamente associati in tutto il paese che agiscono indipendentemente l’uno dall’altro e dall’organizzazione nazionale. La candidatura presidenziale di Bernie Sanders – che si proclamava un “socialista democratico” nonostante il fatto che non è un membro dei Dsa – nel 2016 ha contribuito a rinvigorire un movimento socialista a lungo stagnante. I Dsa sono cresciuti in due anni da 8mila militanti ai 52mila.
La crescita dei Dsa ha inaugurato molti cambiamenti nella sua organizzazione, alcuni dei quali strategici mentre altri hanno una valenza più ideologica. L’età media dei membri è scesa da 68 nel 2013 a 33 anni nel 2018. I Dsa sono stati trasformati in una “dimora” politica per chi si è radicalizzato con la crisi finanziaria del 2008, la guerra in Iraq e i movimenti sociali. L’organizzazione è diventata più diversificata, più marcatamente di sinistra e più attiva; la sua attività è alimentata dagli sforzi di giovani sommersi dai debiti e che non arrivano a pagare l’affitto.
Il trionfo elettorale di Obama nel 2008, e la sua incapacità di realizzare le sue promesse trasformatrici, ha fatto sì che negli anni ‘10 molti giovani non credessero più nell’opportunità della politica puramente elettorale. Quindi la crescita di Dsa negli ultimi due anni ha anche visto una svolta nelle sue attività. In alcune città il chapter Dsa conta diverse migliaia di persone; in quei casi, l’organizzazione è in grado di organizzare lavoratori nei sindacati, sostenere le lotte dei locatari e fare pressione sul comune per attuare le riforme.
Forse l’aspetto più importante dell’attività dei Dsa è quello di diffondere un messaggio socialista e la formazione politica in un paese in cui il mercato è venerato e l’individualismo è la mitologia fondatrice nazionale.
La decisione di sostenere un candidato o un altro è scelta libera e democratica di ogni chapter. Assai spesso questa decisione è fonte di divisioni e disaccordo. In sostanza, la domanda è sempre “cosa possiamo fare per costruire il socialismo”? Se la maggioranza dei cittadini vedono la partecipazione politica solo attraverso il prisma delle elezioni, quest’ultime non possono non essere un terreno in cui lottare.
I Dsa e la loro tattica elettorale
I Dsa sono stati fondati nel 1982 come espressione della nuova sinistra proveniente dal ‘68. I dibattiti su strategia, tattica, politica estera e lavoro elettorale hanno diviso i socialisti americani sin dal periodo della Guerra del Vietnam. Il fondatore dei Dsa Michael Harrington, un accademico, ha sostenuto il Partito democratico, esortando i Dsa a rappresentare la sinistra di ciò che è possibile. Harrington riteneva che l’organizzazione potesse lavorare nel Partito democratico per spingerlo verso sinistra. Ha difeso con entusiasmo le sue posizioni progressiste dentro il partito, anche in un momento in cui assumeva un’ideologia sempre più neoliberale. Dal 1982, quando Harrington ha fondato i Dsa, il Partito democratico è diventato non solo sempre più destrorso ma sempre più dominato da manager e capitalisti.
La scommessa di Harrington non è stata del tutto infruttuosa. Sin dalla campagna di Sanders l’espansione dei Dsa ha fatto eleggere qualche suo candidato. In particolare il militante dei Dsa Lee Carter, un ex-soldato di 31 anni, è stato il primo socialista a diventare un deputato della Camera dei delegati della Virginia (uno stato “rosso” per le sue affiliazioni repubblicane). A ogni turno i repubblicani cercano di denigrare Carter pronunciando la parola “socialista”; persino membri del suo stesso partito, i democratici, hanno tentato di delegettimare l’idea del socialismo.
Ma per una porzione crescente dell’elettorato la retorica risalente ai tempi della guerra fredda è un ricordo d’infanzia, come uno Stereo8, e la parola “socialismo” evoca il benessere di Svezia e Danimarca e non il grigiore della fila per la distribuzione dei viveri.
Al di là del successo shock di Carter, un altro elemento chiave della crescita dei Dsa nella sua rappresentazione istituzionale è stata la sua partecipazione alle primarie interne del Partito democratico. Tutti e due i principali partiti organizzano delle primarie per scegliere i candidati per il ballottaggio. Poiché le primarie sono soggette alle leggi statali e federali, così come alle regole dei partiti, tendono ad essere un gioco tra insiders in cui pesano le potenti macchine elettorali dei candidati già selezionati. In molti collegi, siccome uno dei due partiti gode di un’egemonia stabile, le primarie sono le elezioni. Le primarie repubblicane decidono chi sarà il governatore del Texas così come le primarie democratiche decidono il sindaco di Chicago.
L’affluenza alle primarie (soprattutto negli anni in cui non si tiene un’elezione presidenziale) è molto bassa. Tuttavia, anche questo fatto può offrire l’occasione per superare il potere delle corporation democratiche, attraverso la mobilitazione dell’elettorato di sinistra. Quest’anno i Dsa sono cresciuti approfittando di questa opportunità per mandare i candidati socialisti al Congresso o alle Camere degli stati.
E’ questo l’esempio di Alexandria Ocasio-Cortez, militante dei Dsa a New York City. Una giovane donna ispanica (sua madre è nata in Porto Rico), nelle primarie ha sconfitto Joseph Crowley, un leader dell’establishment democratico di lunga data. Il suo avversario, che ha ricevuto il sostegno degli attuali leader democratici, nonché di gruppi liberali e anche dei sindacati, ha speso 18 volte più della campagna di Ocasio-Cortez. Ma la sua scommessa si basava su chi solitamente non vota, proponendo un programma di riforme radicali nel contesto americano, dall’accesso garantito all’assistenza sanitaria, all’università pubblica gratis, alla garanzia di un lavoro universale a una riforma del sistema giudiziario. I militanti dei Dsa hanno bussato alle porte, hanno fatto il phonebanking (si organizzano per chiamare in massa gli elettori), e (forse questo era lo strumento più importante) creato dei video diventati virali sui social.
Ocasio-Cortez aveva bisogno di soli 15.897 voti per vincere le primarie e poi rappresentare le 691.715 persone nel suo distretto nel Congresso degli Stati Uniti. In questo quattordicesimo distretto di New York (è la parte orientale del Bronx nonché il nord-est di Queens) la sua vittoria sul candidato repubblicano è probabilmente scontata. Ma l’impegno dei militanti Dsa non è servito solo per far eleggere Ocasio-Cortez, ma anche a far crescere l’organizzazione stessa. Molti chapters hanno capitalizzato questa vittoria organizzando candidature di candidati progressisti e socialisti nelle loro città.
È probabile che Ocasio-Cortez non sarà l’unico deputato Dsa nel prossimo Congresso. Rashida Tlaib, una donna palestinese-americana, si presenta nel tredicesimo distretto Michigan e non ci sono altri candidati. Il suo forte sostegno per i diritti degli immigrati e per l’aumento del salario minimo è tipico dei candidati proposti dai Dsa. Il sostegno ad un boicottaggio contro Israele le ha fatto guadagnare l’odio dei gruppi sionisti. Ma per l’elettorato di Detroit, la vecchia “Motor City” segnata dalle lotte operaie e dalle storiche tensioni razziali, è molto più importante la sua reputazione di avvocata.
Nelle elezioni per le legislature degli stati, spiccano tra i candidati Dsa Julia Salazar a New York; Summer Lee in Pennsylvania; e Jovanka Beckles in California. Mentre i Dsa sono spesso accusati di essere in maggioranza maschi bianchi, quasi tutti i candidati che hanno proposto sono donne, la maggioranza sono giovani e non pochi rappresentano le minoranze etniche.
I Dsa a livello nazionale hanno proposto 28 candidati, ma ogni chapter può anche proporre propri candidati o impegnarsi nelle loro campagne. Non tutti i membri dei Dsa sono d’accordo sull’opportunità del lavoro elettorale. Mentre la linea ufficiale dell’organizzazione vede le elezioni come una tattica spesso utile, altri militanti le vedono come una distrazione dall’impegno sindacale e nei quartieri.
Medicare for all
Al centro del programma elettorale dei Dsa c’è una proposta chiamata “Medicare for all”. È un disegno di legge al Congresso che gode di un consenso consistente. Amplierebbe il sistema di accesso all’assistenza sanitaria e conferirebbe a tutta la popolazione un diritto che attualmente appartiene solo a chi ha più di 65 anni. La rivendicazione principale è che l’accesso al sistema sanitario dev’essere gratuito
Attualmente milioni di persone negli Stati Uniti non hanno un’assicurazione sanitaria. Un parto vaginale non complicato ha un prezzo di base di $ 30.000. Assai spesso accade le vittime di un incidente stradale insistano con i passanti per non chiamare l’ambulanza, per paura dei costi all’ospedale.
La proposta di assicurare il Medicare per tutti non prevede un sistema sanitario statale ai pari del Servizio Sanitario Nazionale; il finanziamento della cura diventerebbe pubblico ma non i servizi stessi. Ma dal momento che molti americani attualmente ricevono la loro assicurazione sanitaria attraverso il datore di lavoro, sarebbe un passo importante per emancipare i cittadini da questo legame con il padrone e dal ricatto che ne consegue.
Far eleggere i deputati Dsa al Congresso rafforzerebbe il sostegno per questo disegno di legge, anche come pressione sugli altri deputati democratici, che temono la sfida socialista nelle primarie del prossimo turno elettorale. Abbinato a questo lavoro c’è la pressione sui sindacati perché si associno alla lotta per la giustizia sul terreno dei servizi sanitari.
Immigrazione
Gli Usa come l’Italia hanno una forte destra cresciuta fomentando la paura razzista. La base repubblicana viene mobilitata con la retorica anti-immigrazione di Trump e con il suo stile sfacciato. Molti lo tacciano di essere il Berlusconi statunitense; forse il paragone più lecito sarebbe con Matteo Salvini. Tutti e due condividono uno stile provocatorio, un certo uso dei social e il fatto di dar voce all’ansia di gran parte della popolazione sul terreno dell’immigrazione e delle minoranze. Tengono insieme una (motivata) sfiducia nei confronti delle élite con un programma nazionalista e reazionario.
Fanno parte di un’ascesa generale della destra spinta dalla crisi finanziaria e dall’insicurezza che deriva dai capricci del mercato. In America, nei brevi anni dell’amministrazione Trump, abbiamo visto l’emanazione di politiche xenofobe, una riduzione delle tasse che avvantaggia solo i ricchi, il taglio delle nostre già misere protezioni sanitarie, così come la nomina alla Corte Suprema di due giudici reazionari.
Ogni giorno per i socialisti si presenta un’occasione per lottare per dei bisogni materiali della classe lavoratrice; il giorno delle elezioni non è un giorno diverso dagli altri. La sinistra deve attaccare le decisioni prese durante la crisi. E’ un attacco nei confronti dei repubblicani ma anche di Obama e dei democratici. È quindi, allo stesso tempo, un attacco nei confronti di Berlusconi, Renzi e l’Unione europea. Nelle urne c’è tanto da fare, ma non può essere il progetto complessivo dei Dsa. Il compito più lungo è quello di rimodellare la società stessa.
*Rachel Castignoli, avvocata e “organizer”, è una militante dei Dsa. Traduzione di David Broder.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.