I falsi pretesti della strategia imperiale
L'antropologo ucraino Volodymyr Artiukh spiega che l'invasione del suo paese è il tentativo di rompere la struttura di relazioni internazionali che avvinghia la Russia. Ma è una gabbia che Putin stesso ha contribuito a creare
L’invasione russa dell’Ucraina è un crimine e una tragedia umana. Si contano già circa due milioni di rifugiati, mentre bombe e missili piovono sulle città intorno all’Ucraina. Le prime battute d’arresto per le forze d’invasione hanno alimentato l’idea che le scelte di Vladimir Putin gli si potessero ritorcere contro. Tuttavia, gli ucraini hanno davanti la prospettiva di una guerra lunga, non si vede la fine nonostante la dura resistenza militare.
Volodymyr Artiukh è un antropologo ucraino specializzato in lavoro e migrazione nello spazio post-sovietico. Jana Tsoneva gli ha chiesto dell’agenda imperiale di Putin, degli ultimi otto anni di guerra e di quali auspici siano possibili per un processo di pace praticabile.
In che modo questa guerra è collegata allo scoppio della guerra civile post-2014?
In breve, le proteste di Maidan del 2013-2014, la successiva annessione della Crimea da parte della Russia e il sostegno alla rivolta nel Donbas hanno portato a un cambiamento nell’orientamento geoeconomico e geopolitico dell’Ucraina. L’Ucraina ha firmato un accordo di collaborazione con l’Unione europea, ha cambiato il suo orientamento culturale e politico a favore delle strutture euro-atlantiche e ha abbandonato l’idea di integrazione con il progetto russo di unione economica e politica. La Russia ha reagito rafforzando la sua narrazione anti-occidentale.
L’annessione della Crimea, che è stata in gran parte incruenta, ha portato a un aumento della popolarità interna di Putin. A quel punto, sperava di trarre vantaggio dalla rivolta nel Donbas, che era una rivolta contro il cambio di governo a Kiev. Questa rivolta è stata interpretata come un’autodifesa del «mondo russo» contro i nazionalisti ucraini sostenuti dall’Occidente. L’Ucraina è stata sempre più rappresentata come uno stato fallito con un governo illegittimo controllato dall’Occidente che terrorizza i russofoni. Tutti questi elementi ideologici sono parte degli argomenti di Putin a giustificazione dell’invasione: denazificazione, smilitarizzazione, decomunistizzazione.
Il nuovo governo di Kiev ha fatto qualcosa per innescare la rivolta nell’est?
È iniziata essenzialmente in modo simile a Maidan, come una mobilitazione di base, con barricate e acquisizione di governi locali in diverse città dell’est. Inizialmente era un fenomeno puramente oppositivo, contro qualcosa piuttosto che per qualcosa. Ma presto persone con un particolare mix di ideologia russo-imperialista e nostalgia sovietica – che speravano in un’unione con la Russia e che erano ispirati dall’annessione della Crimea – hanno preso il controllo di questa rivolta locale.
Pensarono di diffondere la rivolta nel resto dell’Ucraina sudorientale, che chiamarono Novorossiya, riferendosi al tempo dell’Impero russo. La Russia alla fine ha integrato questi signori della guerra semi-indipendenti nel suo apparato di sicurezza. Ciò ha portato a un tentativo del governo di Kiev di riprendersi il Donbas nell’estate 2014 con la cosiddetta operazione antiterrorismo.
È stata una guerra condotta contro i ribelli, che erano già abbastanza filorussi e combattevano per l’indipendenza dall’Ucraina e per l’integrazione con la Russia. Le truppe russe vi sono entrate in diverse occasioni nel 2014 e nel 2015. Queste incursioni hanno portato a sconfitte molto significative dell’esercito ucraino con una significativa perdita di vite e attrezzature, che ha costretto il governo ucraino a firmare gli accordi di Minsk.
In seguito, la diffusione della rivolta in Ucraina ha vacillato più ampiamente, ma è stata comunque mobilitata dalla Russia per reindirizzare il governo ucraino nel suo insieme, per utilizzare le autoproclamate «repubbliche popolari» come leva contro l’orientamento filo-occidentale di Kiev. Gli accordi di Minsk erano essenzialmente un’espressione diplomatica della superiorità militare russa. La vittoria militare russa è stata tradotta in questo documento diplomatico. Questi accordi hanno rappresentato una prosecuzione dei combattimenti piuttosto che fermarli.
Il governo ucraino ha rispettato questi accordi?
Nessuna delle parti li ha onorati: la divergenza di interpretazioni è emersa quasi subito. Gli accordi non avevano lo scopo, col senno di poi, di fermare la guerra ma di contenere l’azione militare, di smorzare gli interessi contraddittori delle élite ucraine e russe, di contenere l’azione militare in modo che le parti potessero riorganizzarsi e prepararsi per il prossimo round di combattimenti.
Quindi, il cessate il fuoco, che era solo una parte degli accordi, è stato depotenziato. A volte è tornata la guerra a tutti gli effetti; a volte quasi un vero e proprio cessate il fuoco, ad esempio per quasi sei mesi dall’estate 2020. Il ritmo dell’azione militare ha accompagnato i negoziati politici. In definitiva questi accordi erano solo una fase diplomatica della guerra, non la sua negazione.
Volodymyr Ishchenko scrive che solo il 20% degli ucraini approvava l’adesione alla Nato nel 2007, percentuale che è raddoppiata al 40% dopo l’annessione della Crimea, ma che non era ancora la maggioranza. Quindi, cosa ha accelerato il cambiamento geopolitico intorno al 2013 e a Maidan?
È vero che prima del Maidan del 2013, la società ucraina era piuttosto polarizzata; non c’era una maggioranza a favore né dell’integrazione russa né dell’Ue, tanto meno a favore della Nato. La causa della rivolta di Maidan era interna piuttosto che geopolitica; iniziò come una rivolta popolare contro un regime estremamente corrotto e autoritario, ma alla fine queste contraddizioni della società ucraina furono capitalizzate dagli oligarchi, anche per fini elettorali.
Quindi, la rivolta di Maidan è stata rapidamente dirottata da una di queste frazioni per semplificare il malcontento popolare in questa camicia di forza pro-Ue e pro-Nato. Un’intera fascia di volontari auto-organizzati, gruppi paramilitari, Ong, avventurieri politici e intellettuali è emerso dopo Maidan, che ha combinato nazionalismo, neofascismo, liberalismo economico e «occidentalismo», un’idea vaga della civiltà occidentale. Ciò è stato amplificato dal soft power occidentale e da una rete di Ong: è storia nota.
Quindi, più il conflitto procedeva su queste linee – con la Russia che giocava anche il suo ruolo nell’amplificare questo conflitto con la propria ideologia imperialista – più la percezione della gente veniva sempre indirizzata su questi binari molto ristretti: o l’Occidente o la Russia.
Tuttavia, c’era ancora una maggioranza silenziosa che per buon senso considerava questi temi superficialmente. Non erano queste le loro preoccupazioni, ma non avevano un altro modo di parlare pubblicamente dei loro problemi. Questa maggioranza ha eletto Volodymyr Zelensky nel 2019. Ha promesso di porre fine alla guerra, di non insistere sulle questioni dell’identità e della lingua. Ha fatto appello al buon senso della maggioranza mentre sorvolava su questi problemi divisivi.
Ma ha anche costituzionalizzato il nuovo orientamento geopolitico dell’Ucraina.
Sì, un anno dopo il suo incarico di presidente ha cambiato direzione. Inizialmente è stato accusato di essere filo-russo, accusato di prepararsi a capitolare alla Russia. Ma come essenzialmente fa ogni presidente dell’Ucraina, ha cercato di concentrare più potere possibile. Doveva sconfiggere i suoi nemici nazionalisti, attirare il loro collegio elettorale, e divenne questa figura napoleonica che bilanciava destra e sinistra, filo-russi e filo-europei, e in uno dei turni rimase bloccato nell’angolo nazionalista filo-occidentale. A questo punto è crollato tutto.
E ora la guerra ha radicalizzato questa posizione?
Sì, la guerra ha cambiato tutto.
Abbiamo discusso del coinvolgimento russo nel periodo che precede la guerra: che ruolo aveva la Nato?
Ci sono relazioni Russia-Nato che risalgono al 1991 e al confronto tra sovietici e Nato. Questo è un livello. Ma insisterei nel separarlo da un secondo livello che è quello dei rapporti tra Ucraina, Russia e Nato. Non puoi ridurre una cosa all’altra.
L’adesione ucraina alla Nato non era davvero sul tavolo, giusto?
Sì. E nei recenti colloqui diplomatici, prima della guerra, Joe Biden era disposto a considerare la possibilità di una moratoria sull’adesione dell’Ucraina alla Nato. Ha sottolineato che la Nato non sarà coinvolta nel conflitto tra Ucraina e Russia. Tra le altre grandi potenze occidentali, come Francia e Germania, nessuno considerava seriamente l’adesione dell’Ucraina.
Dunque la Russia ha usato l’espansione della Nato come una foglia di fico?
Decisamente. Prendiamo, ad esempio, l’ultimatum che il ministro degli esteri Sergei Lavrov ha emesso a dicembre sul ritorno del confine della Nato al periodo precedente al 1997. L’invito a decidere letteralmente il giorno successivo significava che nessuno poteva vederlo come un negoziato in buona fede. Penso che l’idea di andare in guerra in Ucraina, in un modo o nell’altro, fosse già lì e avevano bisogno della guerra stessa come meccanismo negoziale. Volevano usare la guerra come un modo per ottenere informazioni dall’Occidente, ad esempio, qual è il più alto livello di escalation che l’Occidente può permettersi? Fino a che punto possiamo spingerci? Cosa possiamo fare nel nostro giardino e quanto lontano possono spingersi in risposta?
Perché dovrebbero volerlo sapere?
Perché non finisce qui. Perché pensano al futuro. Se ascolti i funzionari russi e leggi i loro manifesti ideologici, se leggi le persone che interpretano i decisori di politica estera russi al Cremlino, vedono arrivare questi eventi apocalittici. Vedono il mondo cambiare nel profondo. Vedono che viviamo nel nuovo mondo e la Russia ha bisogno di trovare il suo posto, altrimenti sarà mangiata da questi predatori, dalla Cina o dagli Stati uniti. Stanno ragionando su questa falsariga: «Dobbiamo agire ora, è ora o mai più, c’è tempo e o sarà glorioso o moriremo». Sperano anche di unirsi alla Cina in una sorta di alleanza. E hanno già bisogno di marcare il loro territorio. La logica è: «Abbiamo davanti a noi sette anni brutti, ma poi avremo i nostri cento anni di impero». Questo è lo stato d’animo, se leggi attentamente quello che dicono i russi.
I media di sinistra enfatizzano il ruolo della Nato, ma la tua lettura mi fa pensare che il discorso sulla Nato fosse una specie di alibi per la Russia.
Non proprio, nella prospettiva a lungo termine degli ultimi tre decenni. Per Putin e per il suo affiatato gruppo d’élite, era un tema reale: la Nato che si spinge fino al confine è stata una sconfitta per loro. La maggior parte dell’espansione della Nato è avvenuta sotto la supervisione di Putin, a eccezione del primo round. Il resto è successo sotto la sua sorveglianza. Ovviamente parla dell’interesse della Russia in termini geopolitici. Ma la vede anche come la sua sconfitta personale, una questione di legittimità, non solo agli occhi dei russi medi, ma agli occhi dell’élite.
Ma la Russia non voleva a un certo punto aderire?
Putin ha detto qualcosa del genere, ma non era serio. Il problema più ampio, se mettiamo da parte la sua percezione delle minacce, è che l’Occidente non è riuscito a iscrivere la Russia in un accordo di sicurezza più ampio e in tutti gli accordi bilaterali e multilaterali. Quindi, per Putin, in parte ha rappresentato questa sconfitta cui ora bisogna porre rimedio.
Come quando parla del 1991 come di una «catastrofe».
Sì, e questa prospettiva a lungo termine ha avuto una rappresentazione caricaturale nell’ultimatum di Lavrov, che cercava di risolvere l’intero problema nel giro di due mesi. Ha detto che la Nato stava andando in Ucraina e stava per piazzare armi lì: uno spettacolo isterico, un’esibizione di tutte queste lamentele. Questo spettacolo diplomatico non aveva lo scopo di risolvere il problema trentennale.
Quindi, la guerra in Ucraina non è una diretta conseguenza dell’espansione della Nato. È il passo proattivo della Russia per cambiare, per rompere questa struttura di relazioni di potere in cui la Russia esisteva. Non è stata la reazione a una minaccia immediata, era l’attacco di un predatore nel momento in cui, secondo il Cremlino, il nemico era più debole. La messa in scena diplomatica è stata una distrazione.
Parliamo della visione liberale della situazione secondo cui Putin vuole ricreare il vecchio «impero sovietico» nelle sue ex terre di confine.
Abbandoniamo questa ridicola idea che Putin voglia restaurare l’Unione sovietica. Ascolta lo stesso Putin: ha utilizzato metà del suo discorso a criticare Lenin.
E ha promesso la «decomunistizzazione» dell’Ucraina.
Si, esattamente. Per lui, decomunistizzare significa distruggere questo «impero dell’azione affermativa» che era l’Urss. Putin vuole distruggere le unità economiche e nazionali che l’Urss ha creato nel corso della sua storia. Vuole essenzialmente ricostruire l’impero russo con un centro imperiale. Non necessariamente entro i confini del vecchio, ma con una struttura di potere simile a un centro imperiale che poggia su un apparato oppressivo senza alcuna ideologia egemonica che mobiliti le persone dal basso.
La leadership egemonica implica concessioni ai partner nel blocco di potere egemonico, come ha fatto l’Unione sovietica, facendo alcune concessioni alle nazionalità. Putin non è interessato all’egemonia. È interessato a costruire questo «potere verticale» che inizia e finisce con il Cremlino. Questa è una cosa molto diversa dall’Unione sovietica. Basta guardare come Putin parla al suo Consiglio di sicurezza, come agli scolari che hanno fallito i compiti. In confronto a ciò, il Partito comunista era un fulgido esempio di democrazia diretta.
Quando è avvenuta l’invasione il 24 febbraio, hai scritto di averla prevista. Come hai fatto?
Il processo che ha portato alla guerra era già visibile nella prima minaccia di guerra dell’aprile 2021, quando si è verificato il primo incontro Putin-Biden dopo che la Russia ha accumulato truppe al confine con l’Ucraina. Allora, tutti si aspettavano che a quel punto scoppiasse una guerra.
Invece, Putin e Biden hanno avviato colloqui sulla stabilità strategica e Putin ha avanzato alcune affermazioni sull’Ucraina, in particolare sugli accordi di Minsk. Nominalmente le truppe furono ritirate dai confini dopo questo incontro, ma tutti sapevano che ne restava un numero consistente. Tuttavia, subito dopo Putin ha parlato delle linee rosse, della risposta asimmetrica se le linee venivano superate; poi ha scritto il suo articolo sull’Ucraina, che era essenzialmente un ultimatum diretto a Zelensky. Questo articolo era la bozza del suo discorso di dichiarazione di guerra che abbiamo visto in due parti il 22 e il 24 febbraio. Probabilmente è stata registrata in un’unica occasione.
Dunque, dopo l’incontro Putin-Biden nel 2021, le infrastrutture militari e un numero consistente di armi sono rimaste sul confine. C’è stata un’impennata a settembre e ottobre con un’esercitazione militare su larga scala, l’esercitazione Zapad («Ovest»), quando il numero di truppe ha superato quelle attualmente attive in Ucraina, e queste esercitazioni riguardavano esplicitamente la conquista dell’Ucraina. Lo hanno fatto per esercizio. Allo stesso tempo, le regioni separatiste del Donbas sono state quasi integrate nella Russia. Più di mezzo milione di abitanti ha ottenuto la cittadinanza russa. I leader di queste repubbliche hanno ottenuto l’adesione al partito di governo russo.
Solo gli illusi potevano pensare che Putin volesse ancora portare avanti il processo di Minsk. A quel punto era chiaro che anche se Putin avesse voluto procedere con l’intesa di Minsk, avrebbe significato una guerra con altri mezzi, perché quel processo implica che l’Ucraina reintegri questi territori, ma di fatto erano già integrati nella Russia. Avevano un proprio esercito e così via, ma essendo costituzionalmente integrati in Ucraina, avrebbero avuto mano libera nel resto del territorio dove si sarebbero scontrati con i nazionalisti ucraini. In Ucraina, comunque, si sarebbe verificata una rivolta interna contro una tale attuazione degli accordi di Minsk. Quindi, il processo di Minsk era un modo per definire lo smembramento l’Ucraina e la guerra al rallentatore.
L’Ucraina li trattava come terre straniere: non pagava le pensioni, gli assegni sociali, tutti i legami finanziari e fiscali sono stati tagliati. Si poteva recuperare? C’è anche il problema della lingua.
Non credo fosse fattibile, anche prima della guerra. Le élite ucraine erano già rassegnate al fatto che questi non fossero i loro territori e l’élite in queste repubbliche separatiste non pensavano che si sarebbero riunite all’Ucraina. Quando Putin ha riconosciuto la loro indipendenza, c’è stato un breve sospiro di sollievo tra le élite ucraine. Non sapevano che la guerra stava arrivando. Fino all’ultimo momento non credevano che ci sarebbe stata la guerra. Erano sollevati di essersi finalmente sbarazzati di queste regioni travagliate.
L’Occidente ha reagito alla guerra con sanzioni che i media hanno definito senza precedenti. Credi che le sanzioni fermeranno Putin o ci sarà una guerra mondiale?
Le sanzioni non fermeranno la guerra. Solo carri armati e cannoni possono fermare carri armati e cannoni.
Bene, questi carri armati e pistole hanno bisogno di carburante e munizioni e solo i soldi possono comprarli. Come faranno a finanziare la guerra se si trascina?
Sto parlando di una prospettiva a lungo termine. Se le sanzioni restano per anni, probabilmente vedremo questo effetto. E anche questo non viene dato perché non sappiamo come reagirà la Cina, ma a breve termine le sanzioni non avranno alcun impatto sul corso della guerra.
E il movimento contro la guerra in Russia? C’è qualche speranza che i russi stessi mettano fine al regime e mettano fine alla guerra?
No. La maggioranza della popolazione in un modo o nell’altro sostiene la guerra. Questo è chiaro.
Davvero? Il Levada Center ha registrato solo il 40% di sostegno alla guerra.
Gli ultimi sondaggi mostrano una percentuale molto più alta.
Non sono controllati dal governo?
Sì, ci sono problemi con i sondaggi in Russia perché il tasso di mancate risposte è molto alto. Quindi, probabilmente non stiamo tenendo conto di una quota enorme della popolazione che per un motivo o per l’altro si rifiuta di rispondere. Ma diciamo che c’è un’indicazione che gli oppositori della guerra siano una minoranza. Inoltre, non c’è una struttura politica dietro di loro, perché la struttura è stata distrutta negli ultimi anni. A ciò si aggiunga l’immenso aumento dell’apparato repressivo in Russia e l’istituzionalizzazione della censura. Il movimento contro la guerra è necessario, ovviamente, è una buona cosa, dobbiamo sostenere e aumentare la cooperazione con quegli studiosi e attivisti russi e dobbiamo combattere la xenofobia contro di loro. Ma questo serve per il futuro.
Cosa bisogna fare a breve termine, ora che le persone sono sotto tiro e scappano?
Cercare di aiutare i rifugiati e alleviare il disastro umanitario in evoluzione in Ucraina. I governi occidentali non dovrebbero pensare solo a fornire armi e così via, ma anche a cancellare il debito estero dell’Ucraina, fornire assistenza economica e come aiutare a raggiungere il cessate il fuoco per tirare fuori le persone che si trovano sotto le bombe. Devono pensare a cosa accadrà molto presto all’economia ucraina e a come avrà un impatto sul mercato alimentare mondiale.
Sono queste le cose che possiamo fare e che i governi occidentali possono fare. Possono, ovviamente, influenzare l’azione militare lì. Lo stanno facendo, ma ora alla fine dipende dalla volontà degli ucraini di combattere, che ora è piuttosto considerevole. Anche gli ucraini di lingua russa si stanno radunando attorno alla bandiera.
L’Occidente manderà le sue armate a un certo punto?
Non accadrà. Stanno inviando pistole e armi anticarro, e si parla di inviare aerei da guerra: non so se ciò si concretizzerà o meno. Questo non cambierà il quadro strategico. Aiuta a trascinare e rimandare la vittoria della Russia. È meglio combattere con un missile anticarro che a mani nude.
Ma se si prende tempo, cosa devono fare gli ucraini?
Ci sarà una lenta conquista dell’Ucraina da parte della Russia, città per città, con immensa distruzione e immensa sofferenza.
Come la Cecenia.
Sì, ma non si può escludere che, a un certo punto, la Russia affonderà tutte le sue risorse in Ucraina. In realtà, la Russia sembra già essere a corto di risorse e dovrà mobilitare la sua economia e poi più reclute, riservisti e così via, e questo probabilmente cambierà in modo significativo il quadro all’interno della Russia. Probabilmente avrà un impatto negativo, molto più negativo delle sanzioni, ma resta da vedere. Rimango pessimista sull’esito di questa guerra. Continuo a non pensare che l’esercito ucraino possa prevalere. Quanto al fatto che Putin possa raggiungere i suoi obiettivi di cambio di regime: assolutamente no. Non c’è modo che possa sostenere un regime filo-russo stabile.
Altrimenti ci sarebbe un’altra Maidan seguita da un’altra invasione?
Sì, e lo vedi già – nelle città di lingua russa, intendiamoci – con proteste pacifiche nelle città conquistate dai russi. C’è un esercito. Ci sono attacchi nelle strade, ma la gente partecipa alle proteste disarmata. Se questo sta accadendo ora, accadrà sicuramente a qualsiasi regime che Putin possa instaurare.
C’è una via d’uscita per Putin?
Non credo che la conosca nemmeno lui stesso. C’è una situazione per cui ti imbarchi per la guerra e poi vedi: è quello che hanno fatto. Hanno fatto i conti molto male. Pensavano che l’esercito ucraino si sarebbe piegato e che la gente sarebbe venuta con i fiori ad applaudire, ma non è successo.
Anche l’Occidente rischia di perdere la faccia. L’anno scorso non ho visto alcun appetito per la guerra in Occidente, né da parte degli Stati uniti – che hanno affermato esplicitamente che non hanno bisogno di problemi in Europa, devono concentrarsi sulla Cina – né dall’Ue. Questo è anche uno dei motivi per cui Putin lo ha fatto, perché ha visto che l’Occidente non era pronto ad affrontare una guerra. Ricordi Emmanuel Macron che si è reso ridicolo proclamando che, oh, ho portato la pace e la settimana dopo c’è stata l’invasione di Putin. Quindi, l’Occidente non può fare nulla, a essere onesti. La guerra, purtroppo, deve essere combattuta tra l’esercito ucraino e quello russo. L’equilibrio del potere sul campo di battaglia deciderà praticamente tutto il resto. E non ci sono buone notizie. Solo morte, morte e morte.
Un’ultima domanda sulla produzione di conoscenza in guerra. Hai criticato i paradigmi incentrati sugli Stati uniti cercando di spiegare il conflitto. Sono d’accordo con te sul fatto che quando parlano di guerra, gli statunitensi hanno la tendenza a parlare principalmente di sé stessi. Di che tipo di strutture abbiamo bisogno per iniziare a comprendere questa guerra?
Penso che dobbiamo fare una pausa analizzando l’egemonia degli Stati uniti, perché sappiamo già praticamente tutto al riguardo e molto poco su come la Russia sia diventata così al di là di questa caricatura cliché che gli studiosi Usa dipingono addosso a Putin e la Russia.
Alcune parti della sinistra hanno anche bisogno di abbandonare l’idea che la Russia sia in qualche modo una continuazione dell’Unione sovietica, o che sia il perdente nella lotta imperialista che deve essere sostenuto. Dobbiamo prestare maggiore attenzione a ciò che hanno fatto gli studiosi russi. Dobbiamo pensare più a fondo a come i ragazzi del Cremlino si immaginano, cosa immaginano stia accadendo intorno a loro e cosa potrebbe motivarli al di là di ciò che l’Occidente immagina sia razionale. Chiaramente i loro obiettivi e il modo in cui lavorano sono diversi da come immaginiamo. Dobbiamo prestare attenzione alle dinamiche interne nelle relazioni Ucraina-Russia. Non è qualcosa di cui sappiamo molto al di là della semplicistica rappresentazione occidentale della buona Ucraina democratica contro la terribile Russia autoritaria o della malvagia Ucraina nazista contro la Russia eternamente maltrattata.
Abbiamo bisogno di una cooperazione molto più stretta con la sinistra in Ucraina, in Russia e in Occidente, cosa che non è avvenuta al di là di incontri occasionali. Perché la sinistra è portatrice di una conoscenza, di una conoscenza limitata, ma di una conoscenza non scontata e probabilmente perspicace sulla situazione. Molte persone di sinistra in Russia e Ucraina avranno bisogno di un aiuto materiale concreto, e hanno bisogno di comprensione, perché la nebbia della guerra distrugge il pensiero razionale e critico, e bisogna essere pazienti con le persone che si confondono e che sbagliano. È impossibile non sbagliare quando cadono bombe e muoiono i tuoi amici.
*Volodymyr Artiukh, PhD, è un antropologo ucraino specializzato in lavoro e migrazione nello spazio post-sovietico. Jana Tsoneva insegna sociologia all’Accademia delle scienze bulgara. Si occupa di sociologia politica e sociologia del lavoro ed è membro del Collettivo di intervento sociale di Sofia. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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