Il potere meritocratico
Immaginare un mondo completamente meritocratico. È quello che ha fatto il sociologo inglese Michael Young (membro del partito laburista e fondatore della Open University, istituzione creata cinquant’anni fa con lo […]
Immaginare un mondo completamente meritocratico. È quello che ha fatto il sociologo inglese Michael Young (membro del partito laburista e fondatore della Open University, istituzione creata cinquant’anni fa con lo scopo di favorire l’accesso della classe lavoratrice all’istruzione universitaria) nel suo libro The rise of meritocracy, pubblicato nel 1958. È qui che appare per la prima volta il termine «meritocrazia». Da allora, il vocabolo è stato appropriato e storpiato da gran parte della politica e oggigiorno in pochi negherebbero di voler aspirare a una società meritocratica.
Il libro è un viaggio nel futuro, in un mondo dove l’apparato aristocratico è stato sostituito da uno basato sull’istruzione e sul merito in cui i cardini del potere vengono occupati da individui che hanno intrapreso i migliori percorsi di studio.
Diversamente da quanto ci potremmo aspettare, l’opera di Young non costituisce la celebrazione dell’utopia borghese che connota l’uso contemporaneo della parola meritocrazia. Al contrario, si tratta di un monito che si scaglia contro la società neoliberista che stava emergendo in quegli anni. Il modello di meritocrazia oggi dipinto come un punto d’approdo ideale da molti nostri contemporanei, da colui che coniò il termine era considerato piuttosto una minaccia da scongiurare.
Una volta accettate le fondamenta del sistema meritocratico l’arroganza e i privilegi di chi sta ai piani alti vengono legittimati sulla base delle capacità individuali, mentre si avalla l’idea che chi si trova alla base della piramide sociale è artefice dei propri fallimenti, magari anche per via di una buona dose di svogliatezza. In questo modo si crea l’impianto ideologico che permette di giustificare le disuguaglianze più estreme: non più sulla base della discendenza e sul binomio popolo vs. aristocrazia, ma in base al merito.
Young era riuscito a intravedere, già sessant’anni fa, le derive di una società basata su una presunta meritocrazia. Ora, i risultati di questo processo sono più che mai evidenti. I meccanismi di immobilità sociale si sono cristallizzati in un modello formativo che non scalfisce lo status quo. Come lo stesso autore ripeté più volte negli anni, l’apparato educativo, per quanto formalmente egualitario, non fa che fossilizzare strutture sociali preesistenti. Disuguaglianze che si consolidano a colpi di test, numeri chiusi, scuole d’élite, prove e abilitazioni di vario tipo. Un sistema in cui solo i pochi possono permettersi di stare al passo. In altre parole, il mazzo è regolare, ma il tavolo è truccato.
Non solo. Il messaggio dell’autore inglese è ancora più radicale. La società meritocratica non va rifiutata per via del suo fallimento nel promuovere una mobilità sociale genuina. Quello di Young è un avvertimento contro qualsiasi meccanismo che istituzionalizza le disuguaglianze, sia esso il sistema di caste o la meritocrazia liberale.
Eppure, non tutto è perduto. Il libro immagina una rivolta contro il regime meritocratico nel 2033 che ribalta l’ordine meritocratico e il sistema di disuguaglianze che l’accompagna. Mancano solo 14 anni.
*Davide Villani, PhD in Economics alla Open University. Si occupa di struttura produttiva e finanziarizzazione dell’economia.
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