In Bolivia i golpisti hanno paura delle elezioni
Dopo che al primo turno il Mas si è confermato il primo partito, il governo che ha rimpiazzato Evo Morales cerca scuse per spostare il voto. Nel mezzo della crisi economica, i sindacati si organizzano per difendere il diritto della gente a decidere
Nove mesi dopo che gran parte dei media occidentali ha salutato il «ritorno della democrazia» in Bolivia, il governo di transizione guidato da Jeanine Áñez ha rimandato di nuovo le elezioni presidenziali. Nonostante il violento colpo di stato militare che ha rovesciato Evo Morales a novembre, nelle ultime settimane il candidato per il suo Movimiento al socialismo (Mas), Luis Arce, aveva raccolto circa il 40 % dei voti al primo turno, il triplo della percentuale della destra di Áñez.
I sostenitori del Mas temevano che le elezioni sarebbero state cancellate; e questa settimana, il regime di Áñez ha annunciato che il voto non avrà luogo il 6 settembre come previsto, ma il 18 ottobre. I movimenti sociali sono in ebollizione. Il segretario esecutivo della Central Obrera Boliviana (Cob) Juan Carlos Huarachi ha lanciato un ultimatum di settantadue ore per cancellare il rinvio, altrimenti la più grande organizzazione sindacale della Bolivia avrebbe indetto lo sciopero generale e praticato blocchi stradali in tutto il paese.
Huarachi è un minatore ed è il più importante rappresentante del movimento sindacale del paese. Con Anton Flaig, collaboratore di Jacobin, ha discusso delle condizioni in cui si trovano i lavoratori dopo il colpo di stato militare di novembre, degli effetti della pandemia di Covid-19 sul paese e degli sforzi della destra per impedire al Mas di tornare al potere.
In che condizioni si trovano al momento i lavoratori boliviani?
Già negli ultimi mesi del 2019, molte società statali stavano chiudendo i bilanci in deficit e ora si avvertono i primi effetti di una crisi economica sia interna che globale. Tutto questo ci colpirà direttamente. Quindi, abbiamo davanti giorni difficili. Oggi registriamo licenziamenti di massa, non solo nel settore pubblico ma anche in quello privato.
Il governo aveva dichiarato pubblicamente che non ci sarebbero stati licenziamenti, ma hanno fallito. Sono statti i primi a iniziare a licenziare. I ministeri della cultura, dello sport, della comunicazione e altri vice-ministeri e direzioni sono stati chiusi. C’è un gran numero di lavoratori licenziati e, peggio ancora, nel settore produttivo si tagliano i salari. Giorno dopo giorno, ci arrivano sempre più lamentele.
Secondo l’ex presidente Evo Morales, la crisi causata da Covid-19 potrebbe trasformarsi in una crisi umanitaria. Come pensi se ne possa uscire?
Abbiamo sempre proposto che il governo nel reagire a questa situazione si coordinasse con le organizzazioni sociali del paese. In questo caso, era importante gestire queste situazioni prima dei decreti emanati dal governo durante l’emergenza sanitaria e la quarantena: la popolazione non era preparata a tutto questo. Ci sono ancora molti settori della società boliviana che si chiedono se il Coronavirus esista o meno. Questa è la nostra preoccupazione. È importante coordinarsi e considerare anche come possiamo riattivare l’economia reale.
Vi è una grande percentuale della popolazione nel settore del lavoro informale. Cosa ne pensi della situazione in cui si trovano, nel mezzo della pandemia?
Per il governo, dare un’indennità di 500 bolivianos [meno di 60 euro] a famiglia è un risultato apparentemente senza precedenti. Ma per i boliviani che lavorano, giorno per giorno, quella somma non significa nulla. Esistono famiglie composte da quattro, cinque, sei o anche dieci persone. Sfortunatamente, questa è la realtà che sta vivendo il nostro paese.
I primi settori a essere colpiti economicamente sono stati il turismo, l’ospitalità, la gastronomia e, naturalmente, il commercio informale. Il loro reddito è stato ridotto e ciò li ha colpiti molto, e potrebbe essere impossibile tornare indietro. Anche i lavoratori informali vengono colpiti irreversibilmente. Un’altra area interessata è il trasporto, dove si concentra gran parte del contributo economico dello stato.
Presumibilmente, esiste un decreto per riattivare l’apparato produttivo con una proposta per un piano per il lavoro. Innanzitutto, ci hanno detto che sarebbero stati creati 600 mila posti di lavoro. Ma poi ci hanno detto che sarebbero stati solo 11.000… La crescita che lo stato ha perso in questi mesi è irreversibile. Per recuperare qualcosa ci vorrà come minimo una legislatura quinquennale. La Bolivia è un esportatore di risorse naturali. Purtroppo questa è la nostra realtà, non siamo un paese industrializzato. Quindi, per riavviare la crescita economica, abbiamo bisogno di pianificare.
Che misure adotterà la Central obrera in assenza di elezioni a settembre?
In questo momento, la situazione politica cambia ogni momento, giorno e ora, ma c’è un limite. Stiamo vivendo una vera crisi economica e sanitaria. Quindi, i lavoratori chiedono di poter votare. Dopo le elezioni avremo un governo eletto democraticamente e saremo in grado di discutere le nostre esigenze sociali, settore per settore, con nuove politiche, con nuovi programmi. Questo è il minimo che i boliviani si aspettano.
Hai incontrato l’ex ministro dell’economia Luis Arce, che è il candidato del Mas in queste elezioni. Com’è il rapporto tra lui e la Cob?
Abbiamo portato sempre al governo la richiesta di aumentare gli stipendi. Quindi, negli ultimi anni, abbiamo avuto discussioni con Luis Arce, che ha sempre cercato di occuparsi dell’economia. Dal primo governo di Evo Morales fino al 2019, ci sono stati aumenti salariali e la Bolivia è stata il primo paese in tutto il Sud America per la crescita economica e lo sviluppo. Non sono io a dirlo, ma le organizzazioni internazionali. Come candidato alla presidenza, devi avere proposte forti per fare ripartire l’economia in qualche modo.
Quindi ora, con la crisi economica causata dal Covid-19, secondo la Cob Arce è un buon candidato?
È facile vedere chi ci ha governato bene e chi ci ha governato male. Il modello economico che lo stato segue è decisivo per riattivare l’apparato produttivo. Oggi, il popolo boliviano è consapevole che negli ultimi quattordici anni i salari sono cresciuti. Abbiamo generato entrate allo stesso tempo sviluppando e facendo un passo fondamentale verso l’industrializzazione. Ora è arrivata questa crisi, questa pandemia, che è diventata una crisi globale. Lo ripeto: sicuramente non sarà facile rilanciare l’economia. La domanda per noi non riguarda solo il candidato ideale, ma il più professionale e tecnicamente orientato, in modo da far ripartire l’economia.
Quali sono le differenze tra le relazioni della Cob con l’attuale governo e il precedente governo sotto Evo Morales?
È semplice. Il governo attuale non ci ha mai incontrato. Gli abbiamo inviato documenti, è stata loro presentata la richiesta dei progetti per il 2020. Non abbiamo ricevuto alcuna risposta, né pubblicamente né formalmente. Neanche le rivendicazioni sui diversi settori – in termini di produzione, estrazione, produzione, costruzione, estrazione di idrocarburi e petrolio – hanno ricevuto risposta, tantomeno le nostre richieste sociali.
Ad eccezione del ministero del lavoro – che, sotto pressione, ha in qualche modo affrontato le questioni legali di molte organizzazioni sindacali affiliate alla Cob – non siamo nemmeno stati convocati per un incontro. Nemmeno per discutere delle questioni strutturali che investono i lavoratori, nonostante la loro importanza per l’economia boliviana.
In confronto, come sono stati gli incontri con il gabinetto dell’ex presidente Evo Morales?
Ogni secondo martedì del mese, Evo Morales aveva in programma di incontrare molte organizzazioni sociali, per discutere di questioni strutturali. Si stava coordinando anche con le autorità locali, perché i lavoratori non si affidano solo allo stato centrale. Ci sono lavoratori che dipendono dal settore privato, così come i governatori e i sindaci comunali.
Dico sempre che qualsiasi domanda sociale in qualsiasi settore, grande o piccolo, diventa sempre una questione economica più ampia. Una richiesta non sarà [soddisfatta] al 100%, ma abbiamo sempre superato il 60 o il 70% delle richieste sociali [durante il governo di Morales]. Potremmo farlo con la stabilità economica e politica. La domanda sociale viene soddisfatta con il denaro. Con Evo, in questi ultimi due anni sono stati fatti sforzi strutturali, costruendo la cosa più importante: l’assistenza sanitaria gratuita per tutti i boliviani.
I partiti di destra in Bolivia hanno dimostrato di essere pronti a unirsi per affrontare il Mas. Cosa ne pensi di questo?
Dopo aver visto la realtà e il contesto politico-elettorale che sta vivendo il paese, penso che abbiamo già tracciato una linea. Il Mas vincerà le elezioni al primo turno. Quindi, l’ala destra sta cercando un’alternativa per far fronte a questa situazione. Sono tutti uniti, tutto a destra, tutta l’opposizione [contro il Mas]. Il governo di transizione sta commettendo molti errori, non solo con atti di corruzione. Ma non hanno altra scelta che unire le forze.
Il presidente di transizione afferma che le elezioni potrebbero causare un’emergenza sanitaria. . .
È solo un’altra scusa per evitare le elezioni del 6 settembre. Hanno persino inviato un documento al Tribunale elettorale supremo per dimostrare che non ci sono le condizioni affinché abbia luogo il voto. Ma tutto questo non corrisponde a quello di cui i boliviani hanno bisogno e si aspettano.
Invece di cercare scuse, dovrebbero fare un lavoro di sensibilizzazione sociale. Dopo tutto, le elezioni si sono svolte nella Repubblica Dominicana e in altri paesi. Ci sono famiglie che soffrono per situazioni pesanti, che nessuno si augura. Ma quello che stiamo vivendo, riguarda anche altri paesi. Per questo siamo solidali con molti fratelli a livello internazionale.
*Juan Carlos Huarachi è segretario della Central obrera boliviana. Anton Flaig è attivista nel Wiphala Movement Germany e studia scienze politiche e sociologia.Questo testo è uscito su JacobinMag. La traduzione è di Giuliano Santoro.
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