
La retorica securitaria non trova opposizione
Agli allarmi costruiti ad arte dal governo contro le manifestazioni per l'omicidio di Ramy si associa anche una parte della politica e dell'opinione democratica che odia le fake news ma che, come nel caso della sinagoga a Bologna, le alimenta
Rispondendo all’ormai celebre domanda del giornalista bulgaro Alexander Jakhnagiev durante la conferenza stampa di fine anno, Giorgia Meloni ha rivelato che lei, se le vede, non calpesta mai le formiche. Purtroppo non sempre la Presidente del consiglio dà prova di questa empatia.
Dopo il video trasmesso dal Tg3 il 7 gennaio scorso che ha mostrato la dinamica e gli agghiaccianti dialoghi tra i carabinieri all’inseguimento del motorino su cui viaggiava Ramy Elgaml – il ragazzo di 19 anni di origini egiziane residente a Milano fin da piccolo e morto nella notte tra il 24 e il 25 novembre schiacciato tra un palo stradale e la macchina dei carabinieri che lo inseguiva – ci si poteva aspettare un moto di indignazione verso l’operato dei carabinieri da parte di opinionisti e forze politiche. Se non da quelli della destra al governo almeno da parte di coloro che si autodefiniscono progressisti e democratici. Come minimo da tutti quelli che hanno aderito alla manifestazione dello scorso 14 dicembre contro il Ddl Sicurezza.
Invece la reazione dei media è stata criminalizzare le poche centinaia di giovani che hanno manifestato spontaneamente per denunciare la violenza e l’abuso di potere delle forze dell’ordine e per chiedere verità e giustizia per Ramy. Dando così l’opportunità al governo di provare a inasprire ancora di più il famigerato Ddl Sicurezza tentando di inserire con un emendamento uno «scudo penale» che limiti le indagini ai danni delle forze dell’ordine per reati commessi durante il servizio.
L’assoluzione dei carabinieri violenti
Del resto, fin dal giorno successivo al video trasmesso dal Tg3, nei talk show televisivi c’è stato un susseguirsi di giustificazioni per l’operato dei carabinieri, con in testa Corrado Augias – da qualche anno considerato un intellettuale di riferimento del mondo progressista – che a Di Martedì ha invitato a mettersi nei panni dei carabinieri sostenendo che, di fronte a dei ragazzi che non si fermano a un posto di controllo, non potevano far altro che inseguirli fino ad averli presi.
Eppure in un paese democratico l’operato delle forze dell’ordine dovrebbe sempre essere proporzionato al reato che si trovano di fronte. Non fermarsi a un posto di controllo è una semplice violazione del codice della strada, punibile con una sanzione amministrativa da 87 a 344 euro oltre che con la decurtazione di 3 punti dalla patente. L’inseguimento da parte delle forze dell’ordine non è assolutamente un atto dovuto ma è una scelta che dovrebbero compiere solo se ragionevolmente convinte della presenza di un reato grave e sempre senza rischiare di creare ulteriore danno ai soggetti coinvolti e a terzi. Infatti il più delle volte le forze di polizia dovrebbero semplicemente annotare la targa del veicolo che non si è fermato o eventualmente limitare l’inseguimento proprio alla lettura del numero di targa.
Nel video trasmesso dal Tg3 si documenta invece un inseguimento andato avanti per 8 chilometri con i carabinieri che hanno addirittura provato a speronare il motorino, pur sapendo che Ramy aveva perso il casco. E alla fine, secondo le dichiarazioni rilasciate dal testimone che passava al momento dell’incidente, hanno costretto il passante a cancellare immediatamente il video dell’accaduto che aveva girato. Per questo motivo infatti i carabinieri coinvolti sono indagati per depistaggio e omicidio stradale.

La criminalizzazione delle manifestazioni
Dopo la manifestazione studentesca di sabato 11 gennaio a Roma la Presidente del consiglio Giorgia Meloni è stata la prima a denunciare lo «spirito vendicativo» degli studenti e studentesse scese in piazza con lo striscione «Vendetta per Ramy». In un comunicato gli studenti hanno chiarito il significato politico di quello striscione: «vendetta significa non permettere che ci sia silenzio di fronte alle morti per mano della polizia». Un po’ come avviene negli Usa con le manifestazioni di Black Lives Matters, che pure, almeno nella sinistra democratica, hanno attirato un certo consenso nel nostro paese.
Ma quello che colpisce è una destra che si indigna per lo «spirito vendicativo» di quella manifestazione mentre osserva Matteo Salvini che giustifica la donna che ha ucciso investendolo con il proprio Suv il suo borseggiatore o Roberto Vannacci che porta la propria solidarietà all’uomo che sparò al vicino che con una ruspa gli stava distruggendo la macchina.
L’indignazione espressa da Giorgia Meloni ha comunque dato il via all’incredibile campagna mediatica verso presunte violenze e devastazioni avvenute nelle manifestazioni di sabato a Roma e a Bologna, con condanne unanimi da parte di entrambi gli schieramenti politici.
In realtà a Roma – come si vede bene da questo video – i giovanissimi manifestanti, tutti a volto scoperto, hanno semplicemente tirato per una trentina di secondi qualche fumogeno e un paio di petardi verso la polizia che ha reagito con una carica di alleggerimento, anch’essa durata poche decine di secondi. Scaramucce e slogan discutibili sul piano dell’efficacia politica, ma del tutto trascurabili sul piano dell’ordine pubblico. Del resto episodi del genere tra manifestanti e forze dell’ordine se ne contano a decine nelle piazze ogni anno con la differenza che questa volta gli studenti e le studentesse in piazza – molti dei quali liceali – sono stati descritti quasi come dei pericolosi terroristi, con annuncio di identificazioni e denunce per «devastazione» in arrivo.
A Bologna la criminalizzazione è andata ancora oltre con la fantasia. Anche qui c’è stata qualche scaramuccia con la polizia, oltre a qualche cassonetto dell’immondizia bruciato. Ma la campagna martellante dei media si è incentrata sulla presunta «devastazione della sinagoga di Bologna», accusando i manifestanti non solo di violenza e devastazione ma anche di antisemitismo.
Le accuse sono provenute non solo dalla destra ma anche dal sindaco del Pd Matteo Lepore che su Facebook ha espresso «particolare preoccupazione per gli atti vandalici e le minacce contro la sinagoga di Bologna». A cui sono seguite prese di posizione di molti giornalisti, politici e opinionisti anche di sinistra, con ampio dibattito su quanto fosse scandaloso «strumentalizzare la morte di Ramy per devastare una sinagoga».
Peccato che, come documenta bene facta.news, bastava una semplice verifica per rendersi conto che non c’è stato alcun assalto alla sinagoga di Bologna. Come ha confermato a Repubblica anche lo stesso Daniele De Paz, presidente della comunità ebraica bolognese, «le sinagoghe di via Finzi non sono state toccate, non c’è stato nessun danno. Su questo voglio essere chiaro. La sinagoga non c’entra, l’ha innescata il sindaco questa cosa, e io mi sono impegnato tutta la mattina a cercare di chiarirla».
Ad aver dato fastidio sono state delle semplici scritte «Free Gaza» sul muro di una strada parallela alla sinagoga, dove passava la manifestazione e dove si trovano le mura di alcuni uffici della comunità ebraica, peraltro in alcun modo riconoscibili come tali. E non stiamo parlando di una «devastazione» ma solo di una scritta sul muro che chiede di fermare la guerra a Gaza, definita «genocidio» anche dalla Corte internazionale di giustizia dell’Onu. Solo che ormai la notizia falsa sulla devastazione della sinagoga era passata e non si poteva più tornare indietro. Tanto che se ne è continuato a discutere precisando solo, nel migliore dei casi, che si è trattato di «devastazioni nei pressi della sinagoga». E pensare che quelli che hanno fatto circolare questa falsa notizia sono spesso gli stessi che si dicono molto allarmati per la manipolazione prodotta dalle fake news che circolano sui social network.
Sfuggire alla cattura della retorica securitaria
L’operazione della destra al governo è politicamente chiara e, dal suo punto di vista, efficace: costruisce una narrazione per criminalizzare ogni dissenso di piazza e per arrivare all’approvazione del Ddl Sicurezza ancora in discussione anche per alcuni rilievi di incostituzionalità mossi dal Presidente della Repubblica.
L’accodamento della sinistra politica alla criminalizzazione delle piazze e alla difesa delle forze dell’ordine appare invece una mossa non solo politicamente inquietante ma anche suicida, trattandosi di un puro regalo al governo Meloni.
È legittimo mettere in dubbio l’efficacia politica di alcune azioni o slogan, così come è giusto rispettare gli appelli a manifestare pacificamente fatti dalla famiglia di Ramy. Il problema però è che la sinistra politica dopo anni di retorica sul decoro, di scritte sui muri definite come «devastazioni», di competizione con la destra sul tema della sicurezza, è diventata la più facile delle prede delle trappole della retorica securitaria della destra. Una retorica divenuta così pervasiva da catturare perfino chi, come Ilaria Cucchi, conosce sulla propria pelle meglio di chiunque altro quanto siano forti i meccanismi di impunità per i reati commessi dalle forze dell’ordine.
Di fronte a un Ddl Sicurezza che si presenta come un vero e proprio manuale della repressione, con l’aggiunta adesso dello «scudo penale» per le forze dell’ordine, è urgente invertire questa dinamica e sfuggire alla cattura della retorica securitaria, chiedendo verità e giustizia per Ramy, fermando la richiesta di impunità per gli agenti e rilanciando la mobilitazione contro il Ddl 1660. Riconquistando l’agibilità politica delle mobilitazioni di piazza, di cui nei prossimi mesi avremo bisogno come non mai.
*Giulio Calella, cofondatore e presidente della cooperativa Edizioni Alegre, è editor di Jacobin Italia.
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