La sicurezza delle donne non viene dalla polizia
Sarah Everard è stata uccisa a Londra da un poliziotto. La Metropolitan Police, pur guidata da una donna, ha attaccato le veglie in sua memoria. La sicurezza delle donne non può essere demandata alle forze dell'ordine
Sabato 13 marzo, la polizia londinese ha represso con grande violenza una veglia nel parco di Clapham Common per commemorare la morte di Sarah Everard. Quello stesso giorno, le autorità avevano confermato che i resti di un corpo femminile trovati qualche tempo prima appartenevano a Everard, scomparsa il 3 marzo scorso mentre tornava a casa dal lavoro. Everard si trovava proprio nella via principale del sobborgo di Clapham, che la Bbc descrive come «una delle zone più popolate, illuminate e affollate della capitale», quando è stata rapita e assassinata da Wayne Couzens, un ufficiale della Metropolitan Police Service, che ora è in stato di arresto.
La notizia del rapimento e della morte di Everard, e ancor più il fatto che a causarle sia stato un poliziotto, ha subito acceso molte proteste, anche perché il fatto si è verificato durante le celebrazioni della Giornata internazionale della donna all’insegna dell’empowerment femminile. Proprio nei giorni in cui un sondaggio di YouGov rendeva noto che il 97% delle giovani donne inglesi tra i 18 e i 24 anni ha subìto molestie sessuali nel corso della propria vita, Sarah Everard diventava l’incarnazione più palese della sistematicità della violenza di genere, che può colpire chiunque, anche in una strada affollata, ed essere agita da chiunque, anche da un agente della New Scotland Yard.
Proprio la Metropolitan Police, a causa delle restrizioni dovute al Covid-19, ha però vietato le 32 veglie in memoria di Everard organizzate dal movimento #ReclaimTheseStreets. Nonostante le promotrici si fossero rivolte anche all’Alta corte di giustizia per poter organizzare l’evento con tutte le precauzioni possibili e appellandosi al diritto di protesta, il tribunale ha rimesso la decisione alla polizia, che ha ribadito il divieto nonostante le rimostranze di varie organizzazioni per i diritti umani: permessi simili erano già stati accordati in passato anche con le restrizioni in vigore. La sera del 13 marzo centinaia di donne si sono riversate comunque nel parco di Clapham Common, dove era stata organizzata la veglia principale. La polizia, che era già pronta all’arrivo di una folla di persone, dopo qualche ora ha caricato duramente le manifestanti, ufficialmente per disperdere gli assembramenti, ma con un uso della forza sproporzionato rispetto agli eventi.
Al di là della repressione, la cui intensità non può che essere collegata al fatto che proprio un ufficiale di quella stessa forza di polizia è accusato del crimine contro cui si stava protestando, è il comportamento che la Metropolitan Police ha tenuto sin dall’inizio a dimostrare che la polizia non può essere in alcun modo l’istituzione a cui le donne possono demandare la loro sicurezza. In questi giorni, New Scotland Yard e in particolare la sua capa Cressida Dick si sono dimostrate insofferenti rispetto alla rabbia dell’opinione pubblica e sono state accusate di non fare abbastanza per prendere le distanze da Wayne Couzens. In particolare, l’insistenza sulla sicurezza delle donne, con gli inviti a non uscire da sole la sera o ad adottare comportamenti prudenti, è sembrata ipocrita dal momento che è stato proprio chi dovrebbe garantire questa sicurezza ad aver commesso la peggior violenza possibile.
La commissaria Dick, durante la conferenza stampa per confermare che i resti ritrovati erano quelli di Sarah Everard, ha voluto poi ribadire che «è incredibilmente raro che una donna venga rapita per strada». Questa sorta di rassicurazione suona però come una delegittimazione delle assai legittime paure delle donne che camminano sole per strada a qualsiasi ora del giorno. Nei giorni successivi alla notizia della morte, sui social media molte hanno condiviso le testimonianze degli abusi subiti negli spazi pubblici e gli screenshot di un messaggio che molte donne conoscono bene: «Fammi sapere quando arrivi a casa». Bisogna inoltre considerare che, come succede anche nel nostro Paese e ovunque nel mondo, la maggior parte delle violenze di genere si consuma in casa ed è perpetrata dal partner o dall’ex partner. È evidente allora che la violenza è sistemica e strutturale e, che sia tra le mura domestiche o fuori, «raro» è l’ultimo aggettivo che verrebbe in mente per descriverla. Se quasi la totalità delle giovani donne inglesi ha detto di aver subito una molestia in pubblico, cosa c’è di rassicurante nel pensare «almeno non sono stata rapita e uccisa da un poliziotto»?
Cressida Dick, di cui oggi sono in molti a chiedere le dimissioni, è una figura fondamentale in questa vicenda. Dick ha sessant’anni e nel 2017 ha fatto coming out come lesbica. È la prima donna a ricoprire l’incarico di Commissioner of Police of the Metropolis, fatto che la commissaria ha tenuto a ricordare nel difendersi dalle accuse per la cattiva gestione dell’ordine pubblico durante le proteste dello scorso sabato: «Quello che è successo a Sarah mi ha sconvolta. Come sapete, sono la prima donna commissaria del Met, forse mi sconvolge ancora di più proprio per questo», ha affermato nella stessa intervista in cui ha dichiarato che non è intenzionata a dimettersi. «Ciò che è successo mi rende ancora più determinata, e non meno, a comandare la mia organizzazione». Sia la Segretaria di Stato per gli affari interni Priti Patel che il sindaco di Londra Sadiq Khan hanno ritenuto insoddisfacenti le spiegazioni di Cressida Dick e hanno chiesto di condurre ulteriori indagini, anche indipendenti, sulle azioni della polizia a Clapham Common.
Ma anche Priti Patel, nonostante le belle intenzioni, non è estranea a questa vicenda. Proprio in questi giorni, il Parlamento inglese sta discutendo la riforma sulla polizia promossa dalla Segreteria di Stato per gli affari interni. Se passasse, la legge darebbe all’Home Office e alla polizia un ampio margine di repressione delle proteste, anche quelle non violente, rendendo di fatto permanenti le restrizioni ora in vigore per il Coronavirus. Nella riforma è previsto anche il contrasto agli «accampamenti non autorizzati», misura presente nel manifesto Tory del 2019 i cui destinatari sono chiaramente le comunità rom. Il Police Bill non farebbe altro quindi che aumentare le possibilità che scenari del genere si ripetano, rafforzando i poteri delle forze dell’ordine per disperdere anche le manifestazioni autorizzate.
È importante che in questo caso siano coinvolte due donne di alto profilo come Cressida Dick e Priti Patel. Ed è significativo anche che una delle organizzatrici di #ReclaimTheseStreets abbia detto di non volere che Dick si dimetta dalla sua carica perché «siamo un movimento di donne che vuole supportare e favorire l’empowerment di altre donne, ed [essendo Dick] una delle più alte cariche femminili nella storia della polizia britannica, non vogliamo aggiungerci al coro». Eppure, l’identità di Dick non può essere un giustificativo dal momento che la commissaria è a capo di quella stessa forza che non solo ha prodotto la violenza di Wayne Couzens, ma che ha anche caricato migliaia di donne che protestavano pacificamente, dopo aver sminuito per giorni la loro legittima rabbia. Né quella di Patel, che in Parlamento difende «il diritto di protesta», ma a patto che sia approvata dal governo con una serie di regole rigidissime e francamente inverosimili.
Pretendere che Cressida Dick sia responsabile delle sue scelte, o forse sarebbe meglio dire della sua negligenza, non significa fare scacco a una sorellanza obbligatoria per genere, né tanto meno mettere a repentaglio un fantomatico empowerment incarnato da una poliziotta. Il genere non può essere usato come uno schermo per proteggersi dalle giuste critiche, a maggior ragione se l’oggetto delle critiche è aver caricato delle donne che stavano protestando contro la violenza di genere. Violenza, è bene ricordarlo, di cui sono responsabili anche le istituzioni che alimentano un sistema di cui la polizia è il cane da guardia.
Che a opprimerci siano uomini o donne, che a impugnare il manganello sia una mano maschile o femminile poco importa, se quel manganello finisce comunque sulle nostre teste. Avere un approccio intersezionale, al di là dell’uso spesso svuotato che si fa di questa parola, significa riconoscere che le maglie del potere non vengono condizionate dall’identità di chi lo esercita. Che è necessario ribaltarlo alla radice per avere un cambiamento reale e che non basta mettere «una donna», «una lesbica», «una persona di colore» a esercitarlo per migliorare le condizioni di chi lo subisce. Sarah Everard era una donna bianca e di classe media e se, come ha detto Cressida Dick, è «incredibilmente raro» che brutte cose accadano a una come lei (anche se non è affatto così), sappiamo che la statistica non è la stessa per le donne Nere, trans, povere o marginalizzate. Donne che subiscono violenza in primis dal sistema che le esclude e non dà loro alcuna possibilità di riscatto o fuoriuscita dalla povertà materiale.
Nei prossimi mesi il Parlamento britannico voterà una serie di riforme per contrastare la violenza di genere. Si parla di una legge sulla violenza domestica, che prevede aumenti delle pene per i reati sessuali e l’istituzione di un registro pubblico dei sex offenders, dell’aumento dei fondi per installare telecamere e illuminazione pubblica nelle strade e del Project Vigilant, un programma già adottato dalla Thames Valley Police che aumenterà i controlli in borghese in luoghi come i parcheggi dei locali. Il tutto mentre si discuterà anche la Police Bill che, secondo i laburisti, non farà nulla di concreto per le donne in situazioni di violenza e renderà ancora più difficile le proteste. È plausibile che il governo userà il caso di Sarah Everard come occasione per ribadire il giustizialismo e il ruolo delle forze dell’ordine nel contrasto alla violenza di genere. Ma come dimostra tutta questa vicenda, come è stata gestita e anche solo dalle parole che sono state spese dalle autorità per parlarne, è evidente che la risposta alla violenza non può risiedere nella polizia, anche se rappresentata da una donna.
*Jennifer Guerra è giornalista professionista, lavora con The vision per cui ha curato anche il podcast femminista AntiCorpi. Per le Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà.
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